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Dopo l’amore: trailer italiano del film di Joachim Lafosse

Dopo l’amore: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul film drammatico di Joachim Lafosse nei cinema italiani dal 19 gennaio 2017.

di cuttv
pubblicato 8 Dicembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:05

 

Bim Distribuzione ha reso disponibile un trailer italiano di Dopo l’amore, il dramma di Joachim Lafosse che arriva nei cinema italiani il 19 gennaio 2017.

 

Dopo l’amore racconta la vicenda di Marie e Boris che, dopo quindici anni di matrimonio, vivono le asprezze e i paradossi di una vita da “separati in casa” per amore delle figlie e per problemi economici. Il regista di Proprietà privata torna al cinema con un mélo dei nostri giorni, impeccabile, asciutto, buffo e straziante, con la straordinaria Bérénice Béjo, indimenticata protagonista di The Artist, e l’attore/regista Cédric Khan.

 

Bérénice Béjo tre anni dopo “Il passato” di Asghar Farhadi, interpreta di nuovo una donna sul punto di divorziare.

[quote layout=”big”]È vero che si tratta di una problematica che mi era familiare e peraltro è proprio per questo che ho esitato ad accettare il ruolo. Ma la situazione delle due Marie, anche il personaggio di Il passato si chiama Marie, è diversa e il tema che è sviluppato in questo film è piuttosto lontano da quello della pellicola di Farhadi. Marie, il mio personaggio, è ossessionata dai soldi. Conosco quell’angoscia, anche se ora non la vivo più. Quando ero bambina, ho sempre visto i miei genitori alle prese con delle difficoltà economiche. Andavano a dormire e si svegliavano pensando al denaro. Mi sono servita di quella esperienza.[/quote]

Bérénice Béjo ha anche collaborato alla sceneggiatura.

[quote layout=”big”]Joachim e io abbiamo trascorso due mesi a rielaborarla, poi di nuovo Cédric Kahn, Joachim e io, avendo costantemente in mente l’idea di difendere i nostri ruoli pur riequilibrando i rapporti della coppia. Già in quella fase, ti senti molto coinvolto nel progetto[/quote]

 

 

Dopo l’amore: la coppia di separati in casa a Torino 2016

Joachim Lafosse torna al cinema con Bérénice Béjo, Cédric Khan e il quotidiano di una coppia di separati in casa

Tra i film presentati in anteprima alla 34° Torino Film Festival, in programma dal 18 al 26 novembre 2016, c’è anche L’economie du couple di Joachim Lafosse, tradotto nell’italiano Dopo l’amore.

Un mélo sulle incompatibilità di coppia che convivono in ‘due camere e cucina’ con figli, problemi economici ed emotivi, scritto dallo stesso Joachim Lafosse con Fanny Burdino, Mazarine Pingeot e Thomas van Zuylen.

Dopo 15 anni di vita in comune, Marie e Boris si stanno separando. La casa dove vivono con le loro due bambine è stata comprata da lei, ma è lui che l’ha interamente ristrutturata.
In questa delicata fase sono costretti alla convivenza, dal momento che Boris non ha i mezzi per permettersi un’altra sistemazione. E quando arriva la resa dei conti, nessuno dei due è disposto a mediare sul contributo che ritiene di aver dato alla vita coniugale.

A dar corpo e volto alla storia di Marie e Boris, sono la straordinaria Bérénice Béjo di The Artist e de Il passato di Asghar Farhadi, con Cédric Khan, attore e regista di La noia e Roberto Succo, insieme a Marthe Keller (Christine), Jade Soentjens (Jade), Margaux Soentjens (Margaux).


Dopo l’amore
(L’économie du couple o After Love, Francia/Belgio, 2016) è una produzione Les films du WORSO, Versus Production, in coproduzione con RTBF (TÉLÉVISION BELGE), VOO, BE TV ET PRIME TIME (TBC), con la partecipazione di CNC, Canal +, Ciné +, Arte, il sostegno di Tax Shelter du Gouvernement fédéral Belge, INVER INVEST, in associazione con Le Pecte, O’Brother Distribution; con il sostegno di Eurimages, Vallonie, Indéfilms 4, Fonds Audiovisuel de Flandre (VAF) (TBC); con l’aiuto di Centre du Cinéma et de Audiovisuel, Fédération Wallonie-Bruxelles, VOO, Centre national du cinéma et de l’image animée.

Dopo la selezione alla 48. Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2016 e la presentazione nella sezione ‘Festa Mobile’ del 34° Torino Film Festival, arriva nelle sale cinematografiche italiane, distribuito da BIM dal 12 gennaio 2017.

Intervista Joachim Lafosse

Come è nata l’idea del film? Come ha impostato la scrittura?
L’idea è nata da un incontro con Mazarine Pingeot e da un desiderio di filmare la coppia. Avevamo entrambi voglia di mostrare le emozioni, molto intense, che sottendono i conflitti coniugali e di cui spesso il denaro è il sintomo. Mazarine ha l’abitudine di scrivere a quattro mani con un’altra sceneggiatrice, Fanny Burdino. Io lavoravo per conto mio insieme a Thomas van Zuylen. Quando Mazarine e Fanny ultimavano una versione ce la inviavano, noi la rimaneggiavamo e gliela rimandavamo. E via di seguito, sino alla fase della preparazione del film. A partire da quel momento, ho lavorato soltanto con Thomas e gli attori. Per quanto mi riguarda, la scrittura termina realmente solo quando le riprese del film sono completate. Per raggiungere un livello di giustezza, bisogna di continuo cercare e provare e, soprattutto, è necessario riuscire a liberarsi delle idee per permettere l’incarnazione. La scrittura deve anche appartenere agli attori affinché possano impadronirsi della recitazione con misura. Un film non sarebbe quello che è senza il loro contributo.

Il denaro è il sintomo o la causa dei loro conflitti? Boris, che è di estrazione sociale meno agiata, non ha soldi, mentre Marie non ha problemi economici.
All’interno di una coppia, il denaro rappresenta la cosa sulla quale si può litigare. Non è la causa di un litigio, non è il motivo per cui Boris e Marie non riescono più ad amarsi. Dietro il tema della discordia che i soldi rappresentano, c’è il modo in cui un individuo ottiene il riconoscimento oppure no, il modo in cui una persona desidera che quello che ha fatto o non ha fatto sia riconosciuto. E non si tratta unicamente degli sforzi economici o finanziari. Boris e Marie non riescono a intendersi sulla maniera in cui dovrebbero riconoscere quello che ciascuno di loro ha apportato alla vita coniugale, perché non hanno avuto la lucidità di affrontare a livello concreto e fin dall’inizio l’investimento di ciascuno nella coppia. Una buona contabilità è anche alla base di una grande storia d’amore.

Dunque non c’è una lettura politica dietro al titolo originale del film, «l’économie du couple», l’economia della coppia?
È un’interpretazione che può essere fatta. Il compito di un regista è quello di rendere il proprio film il più possibile molteplice, aperto al maggior numero di identificazioni possibili. Ma io non ho voluto affrontare il tema sotto questa angolazione. Sono partito dalla semplice idea che, in teoria, quando si fanno dei figli con qualcuno non è mai perché si è immaginato che la relazione non durerà. E questo ci obbliga a constatare che proviamo sempre un’emozione nell’osservare la tristezza di una separazione, di quello che non avevamo pensato potesse accadere.

La situazione di questa coppia è tanto più dolorosa che, non avendo Boris i mezzi per andare a vivere da un’altra parte, la coppia è obbligata a continuare ad abitare sotto lo stesso tetto.

Sarebbe stato impossibile non tenere conto di questa realtà economica: il costo degli affitti nelle grandi città è diventato tale che un numero enorme di persone impiega molto tempo a separarsi, perché entrambe le parti non riescono a trovare una diversa sistemazione. Un tempo due coniugi restavano insieme per ragioni morali, oggi lo fanno per motivi economici. Questo ci dice qualcosa della nostra epoca…

Perché ha voluto contrapporre una coppia di adulti a una coppia di gemelle?
Erano anni che volevo mettere in scena una coppia che si separa di fronte a due figlie che costituiscono una coppia di bambine gemelle: fin dalla loro nascita, e malgrado la fantasia che uno può coltivare nel momento dell’innamoramento di arrivare a formare un’unione gemellare, i genitori di due gemelli si trovano costantemente confrontati con quello che loro non potranno mai essere. Io stesso, che sono un gemello e sono fratellastro di una coppia di gemelli, ho vissuto questa realtà attraverso quello che ci hanno raccontato mio padre e mia madre e poi quello che mi ha detto mio padre quando ha di nuovo generato due gemelli con una donna che è lei stessa una gemella. Spero di essere riuscito a cogliere questa singolare condizione, in particolare filmando la scena della danza quando sono tutti e quattro insieme.

Si percepisce che le due bambine sono molto turbate dalla situazione. Eppure al tempo stesso si mostrano piuttosto comprensive nei confronti delle regole molto severe imposte da Marie a Boris, schierandosi a favore di queste quando il padre le trasgredisce. «Non è il suo giorno», dice Jade a Margaux per spiegare il disagio che provoca la presenza di Boris in casa un mercoledì pomeriggio.
In effetti, Marie sembra fissare le regole, tutte le regole. Tuttavia Boris, non stabilendone neanche una, di fatto non impone anch’egli in altro modo una sua regola? Nessuno dei due riesce a creare un terreno di gioco in comune. C’è un aspetto infantile nei loro litigi. Winnicott sostiene «La catastrofe ha sempre avuto luogo prima»: è interessante osservare gli adulti in funzione dei bambini che sono stati un tempo e dei litigi che hanno avuto a scuola durante la ricreazione. Ma voglio evitare di parlare di uno o dell’altra. Spetta agli spettatori scegliere se schierarsi dalla parte di uno dei due o non prendere alcuna delle parti. Il film permette questo.

La madre di Marie, interpretata da Marthe Keller, dal canto suo milita a favore di una riconciliazione della coppia.
Ragiona secondo la logica della sua generazione. È incline a una forma di compromesso che in amore è rappresentata dall’amicizia. Ho voglia di pensare che l’amore è qualcosa di diverso: viviamo con una persona perché la desideriamo. Ora, il desiderio è per sua stessa definizione la cosa più complessa, più rischiosa e più disagevole che ci sia. Il personaggio interpretato da Bérénice Béjo ritiene che sia possibile vivere in un modo diverso rispetto a quello dei suoi genitori. È una donna che vuole emanciparsi.

Torniamo alle bambine. Durante la scena della danza e poi quella in cui vanno a letto, sentiamo che provano un piacere immenso nel poter dire «papà, mamma» nello stesso momento.
Sono un figlio di divorziati, ma al tempo stesso sono anche un padre divorziato. È un vantaggio perché ti permettere di individuare varie opportunità, ma è anche un inconveniente perché è impossibile non vedere la tristezza che una simile situazione rappresenta. Una separazione è sempre un fallimento. Ma il film lascia intravvedere che esistono delle possibilità.

In effetti, nonostante i conflitti della coppia, tra i due personaggi circola un’enorme gamma di sentimenti.
Sì, non si tratta di un film drammatico. Per molto tempo forse la tragedia è stata per me un modo di difendermi nei confronti dell’esistenza e ora sono felice di svelare la tenerezza che anima i personaggi: si dilaniano e, malgrado tutto, hanno ancora delle cose da fare insieme. Se lo spettatore arriva a domandarsi come sia possibile dipanare una situazione del genere con il desiderio di prendersi cura uno dell’altro, avrò raggiunto il mio scopo.

Ci parli della scelta degli attori.
Il casting è sempre un momento complicato: io attraverso una lunga fase di dubbio e spesso mi capita di fare marcia indietro. La scelta degli attori finisce realmente solo quando questi si presentano sul set e iniziano le riprese. Una volta arrivato a quel momento, non rimpiango mai le mie decisioni. Sarà perché ha un padre e un marito registi, ma di fatto Bérénice Béjo è una complice straordinaria, perfettamente capace di essere insieme al partner. È una grande attrice, commovente e davvero impressionante. Bérénice non è una star ed è per questo che è così giusta nel film: è calata nella vita reale. Cédric Kahn ha apportato tutta la sua finezza e la sua intelligenza al personaggio di Boris, non soltanto per mezzo della sua interpretazione, ma anche grazie alle sue riflessioni su questa coppia. Non siamo sempre stati d’accordo, a volte ci è capitato di discutere, ma le nostre discussioni hanno dato forza al film. Come ho già sottolineato, scrivo sempre i miei film con i miei attori.

In che modo questa prassi si traduce sul set?
Io considero il regista come una specie di spugna: il suo compito non è fare in modo che i personaggi gli assomiglino, ma rendere il film il più complesso possibile. Per orientarmi verso questa complessità e riuscire a farla vivere, il mio lavoro consiste nell’ascoltare le persone, nel riconoscere i diversi punti di vista che si possono avere su una storia e nello spingerli ad essere il più vicini possibile a se stessi, il più soggettivi possibile. In seguito, la palla è nella mia metà campo e devo cercare di cucinare il mio pranzo con gli ingredienti di cui mi sono dotato. Nel caso di DOPO L’AMORE, ho costruito e decostruito numerose scene per riuscire finalmente ad arrivare a un risultato molto vicino a quello che avevo immaginato, ma forse con un tono più giusto. Durante le riprese, ho reso partecipi gli attori dei miei dubbi, non ho esitato a spiegare loro che cosa stavo cercando e a chiedere che mi facessero delle proposte. È stato piuttosto complicato per loro perché in un primo tempo li ho indotti a credere che fossero liberi e in seguito hanno capito che non avrei lasciato loro la responsabilità della scelta. Mi rendo conto che sia frustrante: hanno avuto bisogno di dar prova di grande generosità per accettare questa impostazione di lavoro. Spero che siano consapevoli e sentano tutti il contributo che hanno dato al film. Non si è mai fecondi da soli…

Ha chiesto agli attori di vedere qualche film in particolare?
Uno solo, CHI HA PAURA DI VIRGINIA WOOLF? di Mike Nichols. Ho detto loro: «Il film è ambientato in un unico luogo e questo ci obbliga a trovare l’essenza del cinema. Il mio sogno sarebbe che voi foste liberi come Mike Nichols è riuscito a far sentire liberi Elizabeth Taylor e Richard Burton». Per me quel film è un riferimento straordinario.

Come ha trovato Jade e Margaux, le due bambine?
La mia responsabile del casting aveva visto una cinquantina di bambine, tra cui una delle due gemelle. Quando l’ho vista arrivare, ho subito chiesto a sua madre se anche la sorellina avrebbe voluto recitare. Non ho fatto fare audizioni a nessuna delle due. Per me era evidente che le due gemelle erano formidabili e che avrebbero in un primo tempo recitato insieme e poi insieme a Bérénice e Cédric. Hanno rivelato di possedere entrambe un enorme talento. Mi è capitato di girare quaranta o cinquanta riprese di seguito insieme a loro. Sono state al gioco, due vere piccole professioniste.

La casa costituisce un vero e proprio personaggio a pieno titolo…
È uno straordinario strumento drammatico: è l’incarnazione di quello che questa coppia ha avuto la voglia di costruire insieme e dell’investimento che ciascuno ha messo sul tappeto. È la prova tangibile di quello che sono stati i loro desideri di un tempo e che ora non esistono più.

È una sorta di specchio…
Ed è stato appassionante parlare insieme a Olivier Radot, lo scenografo con cui avevo già lavorato nel mio film precedente, LES CHEVALIERS BLANCS, del modo in cui un ambiente può riuscire a rappresentare l’amore che nel corso del film si manifesta in modo così difficile. Che cosa rappresenta una casa nella quali si è vissuta la felicità? Secondo me deve simboleggiare l’alterità. Non è un luogo per il quale si acquistano insieme tutti gli oggetti, ma al contrario è uno spazio nel quale ciascuno può portare quello che conta per sé e dove si riesce a far coesistere gli oggetti di ognuno. Spero che la scenografia racconti tutto questo. La casa si è imposta, esattamente in un film come si impone un attore. Era importante che avesse un cortile: girando in uno spazio chiuso, c’era bisogno di un po’ d’aria.

In questo spazio chiuso che è la casa, sentiamo un’incredibile fluidità nei movimenti della macchina da presa…
Quello che mi interessa e che amo mettere in scena è il legame: poter passare da un personaggio all’altro senza alcuna brutalità. La steadycam offre questa scioltezza di movimento e sognavo da tempo di girare un film utilizzando esclusivamente questo strumento. Tuttavia, esige una padronanza che consente solo a pochi operatori di utilizzarla. Per puro caso Jean-François Hensgens il mio direttore della fotografia che è anche il mio operatore di ripresa, mi ha parlato di una nuova apparecchiatura, lo Stab-One, che consente un utilizzo più rapido e una maggior libertà di movimento nelle configurazioni di set esigui. L’aveva usata nel suo film precedete, mi ha mostrato alcune sequenze che mi hanno lasciato a bocca aperta e abbiamo deciso di girare tutto DOPO L’AMORE con questa nuova macchina da presa. Peraltro, Iñárritu l’ha adoperata per i suoi due ultimi film, BIRDMAN O (l’imprevedibile virtù dell’ignoranza) e REVENANT – REDIVIVO, utilizzando delle focali corte. Per quanto ci riguarda, noi invece abbiamo utilizzato solo delle focali lunghe che ci hanno permesso di girare una serie di piani sequenza in modo fluido e ci hanno soprattutto consentito di rendere al meglio i legami che uniscono tutti i vari personaggi. Sul piano formale, questo film mi ha regalato un piacere immenso.

Dopo LES CHEVALIERS BLANCS, con questo film torna a un registro più intimista…

La coppia è senza dubbio la grande costante della mia vita. Sono sempre stato due. Come ogni gemello, ho dovuto uscire dalla fusione gemellare, il che non mi impedisce da adulto di formare di nuovo una coppia con la donna che amo. A quarant’anni per me è importante non nascondere più l’importanza che questa realtà rappresenta ai miei occhi, è importante affermare la possibilità di essere una coppia. Parlo di questo tema attraverso una storia triste, ma è una storia che racconta anche che la coppia è un’emozione, un luogo dove esiste un affetto possibile. Da bambino, mio padre che era fotografo mi diceva: «Un fotografo è una persona che condivide il suo sguardo con gli altri e si assume la responsabilità della peculiarità del suo sguardo». Con questo film, ho vissuto il piacere di avere degli attori che si sono lasciati guardare da me e che mi hanno permesso, grazie al loro lavoro, di mostrare al pubblico una parte di quello sguardo che riconoscevo come mio, ma che non riuscivo a rivelare.

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