Ecco i film in corsa per il Queer Lion
Ok, si è capito cos’è questo Queer Lion. Quando la news ha incominciato a fare il giro, non tutti ne erano proprio entusiasti, anzi: da quel che si era capito, con non poca confusione, ci sarebbe stata una “categoria a sè” e un premio a parte per i film a tematica omosessuale, che sarebbero di
Ok, si è capito cos’è questo Queer Lion. Quando la news ha incominciato a fare il giro, non tutti ne erano proprio entusiasti, anzi: da quel che si era capito, con non poca confusione, ci sarebbe stata una “categoria a sè” e un premio a parte per i film a tematica omosessuale, che sarebbero di conseguenza stati tagliati fuori dalle altre categorie con premi (in concorso e Orizzonti, per fare due noti esempi). Non è così.
Il cinema gay a Venezia non sarà un concorso a parte, e il Queer Lion non sarà una sorta di “contentino” per alcuni film che non sono stati inseriti nelle varie categorie. E’ semplicemente un Leone in più da assegnare a quel film che più si è distinto, per contenuti e altro, nel rappresentare il mondo lgbt. Per fare più chiarezza: fra i 12 film in gara per il Leone Gay, troviamo film che concorrono già al Leone d’Oro, film di Orizzonti, Settimana della critica, Giornate degli autori e fuori concorso.
Ecco i film in gara per il Queer Lion: fra quelli in concorso per il Leone d’Oro troviamo The Darjeeling Limited di Wes Anderson, Sleuth di Kenneth Branagh, The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford di Andrew Dominik, Nessuna qualità agli eroi di Paolo Franchi, Bangbang wo aishen (Help Me Eros) di Lee Kang Sheng, Sukiyaki Western Django di Miike Takashi, Il dolce e l’amaro di Andrea Porporat; poi Tiantang kou (Blood Brothers) di Alexi Tan (fuori concorso, e film di chiusura), Searchers 2.0 di Alex Cox (Orizzonti), Freischwimmer (Head Under Water) di Andreas Kleinert (Settimana della critica), The Speed of Life (Superheroes) di Ed Radtke (Giornate degli autori).
Sembrava che anche Greenaway, con il suo Nightwatching, all’inizio dovesse entrare in concorso, ma evidentemente era solo una voce; sorprende che Todd Haynes, che comunque in almeno tre film su quattro diretti aveva affrontato il tema dell’omosessualità, non abbia parlato ancora una volta di uno dei temi a lui più cari in I’m not there.