Home Recensioni Enter the Void: recensione del film di Gaspar Noé

Enter the Void: recensione del film di Gaspar Noé

Cineblog recensisce Enter the Void, ultimo film del regista argentino Gaspar Noé

pubblicato 9 Dicembre 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 05:52

Quentin Tarantino lo ha schiaffato tra i suoi primi dieci film del 2010. Da noi Enter the Void giunge in cospicuo ritardo, visto e considerato che il film di Gaspar Noé è stato addirittura presentato al Festival di Cannes del 2009 – seppur in una versione provvisoria, non così per come lo aveva immaginato il regista. Immaginazione. Fervida, pure troppo, quella di Noé, che nella sua ultima opera infila tanta di quella roba da apparire come stipata dentro l’angusto spazio di una sola pellicola.

Difatti Enter the Void non è certo uno di quei film “leggeri”: 143 minuti di puro delirio, accompagnato da visioni di svariata natura su questioni di importanza capitale. D’altra parte la filmografia del cineasta argentino parla chiaro. Se questo è lo stesso regista (e lo è!) di Carne, Seul contre tous ed Irréversible, non ci si può certo aspettare un’epica ad ampio respiro dai toni concilianti.

Questo suo ultimo film è duro. L’effetto è quello non di uno, ma di più pugni nello stomaco – ben assestati per giunta. Una visione che lascia tramortiti e che si fa forte di temi a quanto pare cari a Noé. Per dirne uno, il complesso di Edipo di freudiana memoria torna qui ad essere riproposto, rielaborato e scaraventato in faccia a noi tutti con una violenza brutale, a tratti insostenibile. Sì perché in Enter the Void non è tanto ciò che si vede a devastare, bensì proprio ciò che si lascia “intendere”.

Le virgolette sono quanto mai opportune. Parlare di comprensione ripensando a questo film rappresenta uno step al quale mancano parecchi passaggi. Enter the Void si apre con una lunga soggettiva in piano sequenza del protagonista, Oscar, quasi segregato all’interno di una camera d’albergo a Tokyo. Esatto, la città dei neon, delle luci stroboscopiche. Ottima esemplificazione di una modernità esasperata, portata all’eccesso. Ergo, perfetta location per un’opera come quella di cui stiamo parlando.

Una stanza d’albergo, dicevamo. Oscar discute con quella che, poco più avanti, scopriremo essere sua sorella, Linda. Nessun indizio, nessuna spiegazione. Lo vediamo lì, stravaccato su un divano a farsi come e peggio di uno di quei “poeti maledetti” del passato, tanto celebrati da certa intellighenzia. Ma qui non c’è poesia. Il piano sequenza a cui abbiamo accennato poco sopra viene bruscamente interrotto da ripetute chiusure di palpebre calanti, alternate ad allucinazioni che poco si prestano a qualsivoglia descrizione. In qualche perverso modo, Noé qui ci restituisce la lucida incoscienza di Oscar, che vede tutto ma non capisce proprio niente.


E’ importante porre l’accento su queste primissime fasi, perché di lì a poco si assisterà ad una svolta totale. In questi primi frangenti, come in tutto il film peraltro, noi vediamo con gli occhi del protagonista. La differenza è che a suggerircelo sono proprio questi momenti, non quelli successivi. Qui gli stacchi di montaggio sono ridotti all’osso, per non dire quasi inesistenti. La vita come un lungo, pedante scorrere senza senso. Senza alcuna meta, se non quella che rimescola irrimediabilmente le carte in tavola, proiettandoci in quella dimensione altra, completamente diversa rispetto a quella che stiamo vivendo.

Per quanto attiene alla nostra trattazione, sappiate solo che improvvisamente Oscar muore. Lasciamo scoprire a voi come e perché. Fatto sta che è proprio in quell’esatto momento, nel medesimo istante della sua dipartita, che tutto ha inizio. Avete capito bene: inizio. Non fine. Enter the Void è costruito seguendo l’impronta delle teorie reincarnazioniste più in voga da secoli. Quella non-esistenza senza fine, ciclica nel suo dipanarsi, fino a raggiungere quello stadio di perfezione tale da non necessitare più di questo complicatissimo percorso.

D’ora in avanti, l’oblio. Quello di Noé è un viaggio che sembra, a prima vista, voler condurre alla vita, ottenendo però il prevedibile risultato di condurre ad una morte agghiacciante. Cos’è che vaga per le strade di Tokyo e per i sentieri ostili della memoria lo sa solo il regista, forse. E’ un’anima? Una coscienza? L’Io? Oppure è l’Es di cui parlava Freud nei suoi studi? Non lo sapremo mai. Noi no di certo, visto che la familiarità con la materia è pressoché base. Come vedete, però, è la seconda volta che ci si para davanti la psicoanalisi.

E ci mancherebbe! Quella disciplina che Karl Krauss definiva “la malattia di cui pretende essere la cura“, viene nel contesto in questione trattata con una scrupolosità quasi mistica. No, non storcete il naso. Credete che la mistica appartenga solo ai Santi? Ahinoi, senza assumerci competenze di cui non disponiamo, l’incontro con il soprannaturale ha tante facce. Alcune di queste negano la dimensione stessa di qualcosa che si collochi al di sopra della natura. Col risultato di restarne travolti, in totale balia di forze oscure e forse proprio per questo, appunto, mistiche.

Lo esplicita chiaramente Alex, un amico di Oscar, durante una conversazione. Si parla di ciò che avviene dopo la morte: “… la fase che precede la reincarnazione in un altro corpo? Beh, quello è il miglior trip che si possa sperimentare!“. Altro che droghe! In tal senso Enter the Void rappresenta proprio questo. Un lungo, estenuante trip verso gli anfratti più bassi ed intimi della coscienza. Un potpourri di immagini, suoni e associazioni sconnesse, fini a sé stesse, sovente al limite del pretenzioso.

Se si cercava l’esatto opposto di The Tree of Life è a questa pellicola che bisogna rivolgersi. Lì è la vita ad essere esaltata, senza negare il Male, né nascondendolo. Un perenne gioco di luci e ombre, in cui a tanto Male corrisponde almeno altrettanto Bene. Un’opera “completa”, quindi, che, nonostante tutto, riconosce di essere finita e quindi parziale. Non è così per Enter the Void. Qui solo una faccia della medaglia viene spudoratamente esacerbata.

Niente è messo a caso in un film che idolatra il Caso. A regnare incontrastato è un Caos senza soluzione di continuità. E d’altro canto come potrebbe essere diversamente? In un’immensa metropoli in cui non si capisce praticamente nulla, novella Babele di un mondo alla deriva, le esistenze sono regolate da dinamiche che non hanno nulla a che vedere con la volontà del singolo. Un lungo, mortificante proclama all’autodistruzione, deresponsabilizzante e senza merito alcuno. Peraltro nemmeno innovativo, visto che la letteratura passata, anche con qualche secolo sul groppone, ha già avuto modo di partorire sproloqui di siffatta specie, per giunta in maniera più efficace e forse pure più affascinante.


Il viaggio oltre la vita di Oscar conduce ad un abisso contorto, nel quale si può solo entrare e perdersi al suo sconfinato interno. Un ingresso nel vuoto, come riassume eloquentemente il titolo del film. Un vuoto che si nutre avidamente delle esistenze di noi esseri umani, fagocitandole con una ferocia tale che nemmeno nel più pericoloso dei carnivori si è mai veduta. Da tale condizione, come detto, non si esce. Il nulla non lascia nemmeno le briciole, ed il suo rigurgito non può far altro che ricreare quella situazione preesistente, tale da ricondurre ogni cosa allo stesso punto da cui è stata originata. Non a caso è il buio a predominare per l’intera durata: dal nulla tutto ritorna irrimediabilmente al nulla.

La vita non diventa altro, dunque, che un eterno istante di noia e sofferenza, dove a farla da padrone è l’esatto opposto della speranza. Certo, la vita del protagonista non è stata facile. Il destino con lui non è stato generoso. Basta poco per rendersene conto. Una volta caduto in quella fase intermedia post-mortem, i ricordi che rievoca Oscar sono atroci. La tragica morte dei genitori vissuta dal vivo. L’amore incestuoso verso una madre che ha accudito il proprio figlio e che lo ha certamente amato a sua volta… ma non come quest’ultimo avrebbe desiderato. Di conseguenza, la gelosia verso il padre che commette il terribile errore, agli occhi dello stesso figlio, di copulare con la di lui moglie.

E così, per un verso o per un altro, gli anni a venire di questa vita stroncata da assurde reminiscenze, si tramutano in un incubo. Noé ha parlato di un “melodramma psichedelico” in cui “due anime smarrite, che hanno bisogno di affetto, vogliono ricreare la famiglia che hanno perso, ma lottano per non diventare come i loro genitori“. Sarà, ma a noi qualcosa è sfuggito in relazione a tali premesse. Perché in assenza della madre, è in Linda, la sorella, che Oscar riversa il suo perverso attaccamento, per quanto apparentemente tenero. Di riflesso, il sangue del suo sangue è tutt’altro che contrario, anzi. Alla fine è il fratellone a porre un freno alle voglie di entrambi.

Il tutto, senza avere ancora nemmeno accennato alla crudezza delle immagini. Crude è la miglior definizione che ci viene in mente. Non tanto per lo scandalo che può suscitare un rapporto sessuale ripreso con una certa dovizia di particolari. Né probabilmente per le immagini di un aborto consumato, con tanto di primissimo piano sul feto estirpato, esanime, gettato su una scodella da sala operatoria come fosse una ciste. Salvo che per quest’ultimo episodio, non è certo una fellatio, un paio di tette o qualche allusione troppo spinta a scandalizzare.

Perché, checché ne pensi il motore di ricerca di Google (il quale, al termine fellatio, fa lo gnorri e non produce alcun risultato), le ultime generazioni sono state ampiamente preparate in tal senso. No, il demerito di Enter the Void è la sua smaniosa aspirazione all’ultrarealismo. Anche a costo di assumerci un’indebita paternità nel coniare una nuova definizione, quest’ultima ci sembra la più appropriata.

Ciò a cui assistiamo altro non è che pornografia del reale, assurda non in sé e per sé, bensì perché non intende condurre da nessuna parte. La pornografia “classica”, quantomeno, mira a stimolare i più bassi istinti… ma qui? Il vuoto che segue un atto meccanico esasperato, come quello che può essere generato da una sovraesposizione a certe immagini che fanno perno sulla mera sessualità, è almeno preceduto da una fase piacevole. Un godimento che reca scritto a carattere cubitali una quanto mai imminente data di scadenza, ma che allieta finché dura. Cosa elargiscono, invece, una logorante accozzaglia di inquadrature stranianti, contenitore di una serie di immagini deprimenti oltre misura? Pesantezza, non di più.


Capite bene che descrivere un film così inutilmente complesso ed oltremodo ridondante non è impresa facile. Quel che resta sono i postumi di una cattiva sbronza, quella in cui non si è soltanto alzato il gomito più del consentito, ma lo si è fatto mischiando roba di opposta gradazione e di pessima qualità. Enter the Void riesce nel non indifferente compito di risultare volgare al di là di un’inquadratura di una penetrazione dall’interno di una vagina. Volgare è il modo di maneggiare certe questioni, così delicate e che ben poco si prestano a certi pseudo-visionari sfoggi di stile. Un po’ come far recitare la Divina Commedia al più rozzo degli ignoranti.

E dato che siamo in chiusura, vediamo di intenderci. Tutto ciò è un peccato perché a Gaspar Noé non è certo il talento che manca. Anzi, non stentiamo a credere che negli anni a venire si parlerà di questo film come di un cult (i presupposti ci sono tutti), addirittura di un’opera spartiacque, nella peggiore delle ipotesi. I motivi per cui il sottoscritto non l’ha per nulla digerito saranno esattamente gli stessi per cui tanti altri lo adoreranno – o lo adorano già. Non mi stupirebbe affatto.

Ciò che, però, ha letteralmente fregato il regista argentino è stata la frenesia con cui ha voluto rompere gli schemi, oltrepassare chissà quali barriere, che forse nemmeno esistono. Incurante in merito a dove questa sua cieca ambizione l’avrebbe condotto, quel che si è lasciato dietro è qualcosa di analogo alla psicoanalisi per Krauss: “la malattia che pretende di curare“. E non ci si venga a rinfacciare che con questo lavoro non si puntava a “guarire” alcunché, perché colui che si facesse portavoce di una simile obiezione sarebbe parecchio fuori strada.

Voto di Antonio: 3

Enter the Void (Drammatico, Francia, 2009). Di Gaspar Noé, con Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno, Ed Spear, Emily Alyn Lind, Jesse Kuhn, Nobu Imai, Sakiko Fukuhara, Janice Béliveau-Sicotte, Sara Stockbridge, Stuart Miller e Emi Takeuchi. Da oggi, 9 Dicembre, nelle nostre sale – anche tramite Own Air. A voi il trailer italiano.