Fast & Furious 9, recensione, il cielo non è più il limite
Sfacciato, forse meno adrenalinico dei precedenti ma sempre sopra le righe. Fast & Furious 9 conferma la saga quale fiera dell’inverosimile che diverte
Dominic (Vin Diesel) si è accasato, o per lo meno, dopo otto capitoli, con Fast & Furious 9 questa sarebbe l’intenzione. Ha un figlio, ancora piccolo, e sa che per uno come lui trovare pace è un lusso arduo da concedersi. Ritiratosi in campagna, insieme a Letty (Michelle Rodriguez), il clima ordinario viene immancabilmente rotto dall’arrivo di Roman (Tyrese Gibson), Tej (Ludacris) e Ramsey (Nathalie Emmanuel); ovviamente si tratta di una missione, e siccome oramai al gruppo sono svariati capitoli che tocca salvare il pianeta, l’imperativo etico s’impone. Dall’altra parte il figlio di un dittatore, Otto (Thue Ersted Rasmussen) e una new entry non da poco, ossia Jakob Toretto (John Cena) – sì, il fratello di Dom.
Justin Lin si ritrova perciò a dover dare contezza di questo nuovo innesto, un parente di cui non si sapeva l’esistenza ma che tuttavia non ha certo un ruolo marginale, sia limitatamente a questa nona iterazione, ma anche in relazione all’intero universo della saga. Perciò le vicende al presente vengono alternate con altre ambientate nel 1989, un lasso di tempo relativamente breve che fa perno sulla morte del padre dei due Toretto, pilota professionista che ha perso la vita proprio nel corso di una gara. Da allora Dom e Jakob si sono persi di vista, e quest’ultimo è diventato una spia di livello internazionale.
Bando all’illustrazione di ciò che accade in Fast & Furious 9, credo sia più opportuno cercare per quanto possibile di contestualizzarlo. La direzione intrapresa dalla saga è oramai segnata; altra cosa rispetto ai primi capitoli, a cavallo tra i due decenni gli autori hanno operato delle modifiche sostanziali, ribaltando la formula, la stessa che oramai ci accompagna dal quinto a questa parte (sebbene la svolta cominci a segnarla il quarto). Di fatto Fast & Furious oramai è una sorta di 007 camuffato, dove, alla frenesia e la velocità delle quattro ruote, è sopraggiunto un ampliamento del concetto, oramai riferito all’azione tout court.
Messa da parte qualsivoglia velleità di verosimiglianza, il franchise si è inoltrato lungo un sentiero in cui non mancano le insidie, ossia quello di dover a conti fatti alzare di volta in volta l’asticella, sparandola sempre più grossa. Un gioco al quale certamente non chiunque può o vuole prestarsi, ma che, qualora lo si accetti, riesce a restituire qualcosa. L’aspetto interessante è che non è mai stata accantonata l’idea di proporre una storia, lavorare con gli archi dei personaggi, fare insomma come accade con certi prodotti seriali, creando persino una sorta di mitologia interna non indispensabile ma utile. Questo per dire che ciascun Fast & Furious è godibile per quello che è, senza al contempo però disdegnare uno strato ulteriore, con personaggi chiave che appaiono e scompaiono all’improvviso, legati direttamente o indirettamente ad altri personaggi.
Il ricorso, ammetto un po’ forzato, alla mitologia è utile se non altro ad introdurre una chiave di lettura che sembra assurda ma in fin dei conti non saprei. La piega che la saga ha infatti assunto si sta spingendo sempre più in là, e se oggi si può certamente parlare di riferimenti espliciti quantunque timidi alla fantascienza, veder sfrecciare certi veicoli per le strade di Tblisi o per le foreste del Sud America fa pensare a questa sorta di bestie fantasy in salsa semi-futuristica. Un immaginario a cui certamente contribuisce l’affermarsi di un fenomeno come Transformers da un lato, mentre dall’altro, quello dei videogiochi, per chi vi si è esposto, qualcosina la fanno pure titolo come Horizon Zero Dawn.
Eppure, a dispetto dei titoli appena menzionati, Fast & Furious 9 mantiene certe prerogative specifiche, tutte afferenti a quella che di fatto è l’anima del progetto, ossia quella coreografica. Fin dove si può, infatti, si cerca di non spingere troppo sulla computer grafica, girate quindi in camera, come si suole dire, al fine di mantenere quel senso di stupore dinanzi a certe rocambolesche scene, di cui anche questo capitolo è pregno. C’è qualcosa di atavico nel piacere che è possibile trarre da un mezzo che ne tira giù, trascina o travolge qualcun altro, da questi veicoli che si accartocciano o si frantumano in tutto o in parte. Dove invece si osa di più, cioè in quei frangenti dove l’irrealtà prende in toto il sopravvento, allora sì, via di CGI, purché però, se proprio si deve optare per l’inverosimile, lo si faccia sfacciatamente.
Che in tal senso non ci si pigli affatto sul serio, qualora la cosa fosse anche solo lontanamente in dubbio a questo punto, c’è il discorso paraculo di Roman, che abbatte la quarta parete e si siede tra noi del pubblico, domandando: «ma com’è possibile che in tutti questi anni abbiamo fatto le cose più assurde e non solo siamo ancora vivi ma ne siamo sempre usciti senza nemmeno un graffio?». Senz’altro fuori tempo massimo, di quattro/cinque capitoli, ma si tratta di una sorta di polizza, o quantomeno un lasciapassare per continuare a insistere, imperterriti, sulla natura vieppiù ignorante della saga. Eppure nessuno di questi spettacoli spinti, che fungono quasi da inserti alla trama, viene gettato nella mischia in modo scriteriato; al contrario, Lin e soci ci lavorano e cercano di rendere l’assurdo non solo commestibile ma piacevole, se non addirittura esaltante. Non tutte le volte ci riescono, però non si può negare né l’impegno ma manco il risultato, che qualche brividino almeno lo suscita pressoché in ogni occasione. Ci si concede persino una licenza più aulica, per via della scena onirica in cui Dom, sott’acqua, rivive dei momenti del passato attraverso un montaggio più particolare.
Il tutto mentre chiaramente si cerca di portare avanti un discorso, di cui in fin dei conti c’interessa il giusto, ovvero niente se si ragiona internamente alla vicenda del singolo film, mentre un peso più consistente ce l’ha in funzione all’entra ed esci di cui sopra, con personaggi che appaiono e ricompaiono e che con questa semplice dinamica conferiscono quel tanto che basta al film per reggersi pure su ‘sto fronte. La domanda tuttavia resta oramai questa: cosa s’inventeranno alla prossima? Sì perché, questo ce lo si lasci dire, con il numero nove si arriva finalmente nello spazio, ed il risultato, per improponibilità, ancorché voluta, non è tanto diverso a quello generato da Moonraker (visto che si è fatto cenno a James Bond).
Certo, due ore e venticinque, considerata peraltro l’intensità congenita di Fast & Furious, si rivelano eccessive, ma la performance resta di quelle che si lasciano seguire, vivere. Fast & Furious 9 è infatti quel tipo di esperienza che non può fare a meno della sala, concepito per quest’ambiente, a cui è totalmente votato. Ci sarebbe da interrogarsi, senza puzza sotto il naso, sul perché oramai il grande schermo, rispetto al grande pubblico, trovi sempre più di frequente la propria ragion d’essere in questa tipologia di prodotti. Mentre però osserviamo altri sgonfiarsi (con la Disney che tra Star Wars e Marvel ha perso colpi), la creatura di Vin Diesel continua a macinare, anzitutto al box office. Non guasta, suppongo, il far leva su un filone che sembra ancora bazzicato ma non lo è; mi riferisco sia a quanto espresso sopra in merito alla predilezione per il riprendere l’azione dal vivo, con stunt e tutto il resto, sia allo strizzare l’occhio ad un certo tipo di pubblico, talvolta in maniera esplicita, altre più velata. D’altronde, oggi, a certi livelli, chi girerebbe la scena di una mega-festa in un castello con decine di ragazze stupende, vestite di bianco, riprese mentre ballano e si divertono? Così, senza un reale motivo. Solo perché può starci.
Fast & Furious 9 (USA, 2021) di Justin Lin. Con Vin Diesel, Lucas Black, Tyrese Gibson, Charlize Theron, Helen Mirren, Finn Cole, John Cena, Cardi B, Jordana Brewster, Nathalie Emmanuel, Michelle Rodriguez, Michael Rooker, Amber Sienna, Anna Sawai, Ludacris, Vinnie Bennett e Humberto Martinez. Nelle nostre sale da mercoledì 18 agosto 2021.