Femen – L’Ucraina non è in vendita: trailer italiano e locandina del film documentario di Kitty Green
Femen – L’Ucraina non è in vendita: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul film documentario di Kitty Green nei cinema italiani solo il 12 giugno 2014.
Esce nei cinema italiani per un evento unico il prossimo 12 giugno Femen – L’Ucraina non è in vendita, film documentario di Kitty Green che racconta le gesta delle Femen, gruppo femminista in topless ucraino che ha scatenato una frenesia mediatica in tutta Europa.
La Green ha trascorso quattordici mesi vivendo a stretto con quattro attiviste delle Femen in un appartamento sovietico di due stanze nella periferia di Kiev, intervistando e filmando il quotidiano e le attività del gruppo.
QUI trovate le sale del circuito UCI Cinemas che proiettano il film.
La trama ufficiale:
Oltraggiate dall’immagine che il mondo ha delle donne ucraine, viste o come spose per corrispondenza o come prodotti per il turismo sessuale, le Femen mostrano il loro seno nudo come forma di protesta. Femen – L’Ucraina non è in vendita offre uno sguardo intimo nel mondo dell’organizzazione femminista più provocatoria del mondo. Movimento iniziato sulle strade innevate dell’Ucraina post-sovietica, la guerra nuda delle Femen al patriarcato sta prendendo slancio al livello internazionale. Però, prima di poter conquistare il mondo, queste donne coraggiose e bellissime dovranno confrontarsi con le forze contraddittorie che mettono in moto la loro organizzazione femminista.
Intervista con la regista Kitty Green:
Cos’è Femen?
Femen è un movimento femminista di protesta in topless che è cominciato a Kiev, in Ucraina. Il gruppo di giovani donne all’inizio si è riunito per combattere il crescente tasso di turismo sessuale e di prostituzione nel loro paese. Da allora, le Femen si sono espanse, dichiarando guerra al patriarcato al livello mondiale.
Quando ne sei venuta a conoscenza per la prima volta?
Ho letto per la prima volta delle Femen in un tabloid che ho raccolto dal pavimento di un treno a Melbourne. C’era una foto di una giovane bionda con le calze a rete, l’eyeliner nero e pesante che teneva un cartello dipinto a mano che diceva ‘L’Ucraina non è un bordello’. Era un’immagine stupendamente contraddittoria, un’immagine che mostrava contemporaneamente la loro forza e la loro ingenuità.
Cosa ti ha spinto a seguirle?
Dopo essermi licenziata dalla ABC (Australian Broadcasting Corporation) a Melbourne, ho fatto i bagagli e ho sono partita per l’Ucraina, il paese natale di mia nonna. Ho passato un mese a fare fotografie nel suo paese e a filmare interviste con i suoi parenti. Sulla strada di ritorno per Kiev, ho letto che le Femen avrebbero protestato il giorno seguente alla fontana in Piazza Indipendenza. La protesta si chiamava ‘Niente acqua nei nostri lavandini! Verremo a lavarci nella fontana!’ La mattina seguente, sono arrivata in piazza con la mia reflex digitale, ho preso posto tra la stampa agitata e i passanti curiosi, e ho inseguito queste bellissime ragazze mentre venivano portate via urlanti dalle forze di sicurezza ucraine. Dopo aver filmato una sola protesta, ero già una fanatica.
Come hai preso i primi contatti e con chi?
Ho incontrato le ragazze la prima volta al Café Cupidon, il loro vecchio quartier generale a Kiev. Ho mostrato loro il filmato che avevo ripreso durante la loro protesta in Piazza Indipendenza. Era molto diverso dai filmati dei notiziari in cui le ritraeva la stampa di Kiev, forse a causa della mia esperienza nel cinema. Il mio filmato aveva primi piani dei loro volti e dei dettagli più sottili, ghirlande di fiori sgualcite, facce arrabbiate del pubblico, eccetera. L’hanno adorato. Da quel momento in poi, ogni volta che facevano una protesta, volevano che andassi a filmarla. Ero invitata nel loro circolo privato.
Per quanto tempo le hai seguite?
Ho passato quattordici mesi a vivere con quattro attiviste delle Femen in un appartamento sovietico sgangherato di due stanze nella periferia di Kiev. Il mio operatore, Michael Latham, ha passato quattro mesi a Kiev (dormendo sul pavimento) e la maggior parte delle interviste sono state girate in sua presenza. Non avrei potuto fare questo film con un gruppo di lavoro troppo ampio. La forza di questo film deriva dalla relazione stretta che avevo con le ragazze.
La tua scelta di usare le interviste come espediente strutturale è nata dall’inizio o è venuta fuori dal montaggio del materiale?
Ogni giorno mentre giravamo, c’erano tre o quattro organizzazioni mediatiche, molte di cui internazionali, che venivano a incontrare le Femen per intervistarle. Le ragazze sono esperte nel controllare i media e hanno la risposta pronta a qualsiasi domanda che un giornalista possa far loro. Stavo cercando un modo di ottenere risposte oneste da queste donne, e appena abbiamo cominciato a stringere il rapporto, si sono fidate di me un po’ di più e si sono aperte ai loro desideri e alle loro paure.
Quale è stata la sfida più grande che hai dovuto affrontare mentre giravi con le Femen?
Quando le ragazze stavano pianificando un viaggio in Bielorussia, “l’ultima dittatura Europea”, sono entrata subito in apprensione. I miei amici ucraini mi avevano detto che non era un posto sicuro, ma ho deciso di correre il rischio. La protesta contro il regime di Lukashenko doveva avvenire di fronte al quartier generale del KGB a Minsk. Per le strade di Minsk c’era un silenzio tombale quella mattina. Si sono presentati circa cinque giornalisti che volevano riportare la protesta delle Femen. Due di loro sono spariti dopo aver fatto alcuni scatti. Mi sono chiesta perché non siano rimasti a guardare l’arresto. È stato allora che un uomo dei servizi segreti mi ha preso per un braccio e mi ha trascinata via dalla scena in una stanzetta sul retro dell’edificio del KGB. Si sono presi la mia fotocamera e il mio telefono e mi hanno lasciata lì per ore. Dopo qualche ora, degli uomini sono entrati e mi hanno portata via e messa in un furgoncino e trasportata in un altro luogo. Ho chiesto varie volte di avere un traduttore ma hanno rifiutato le mie richieste. Dopo qualche ora in una stanza buia, mi è stata resa la fotocamera. Le riprese erano state cancellate. Mi è stato detto che sarei stata scortata alla stazione. L’uomo che mi scortava è stato seduto di fronte a me sul treno per tutto il viaggio verso la Lituania. Alla stazione di Vilnius mi ha sorriso in modo minaccioso e ha detto ‘Arrivederci’ in Russo. Ho cominciato a correre per le strade buie di Vilnius. Le ragazze hanno ricevuto una punizione peggiore. Sono state spinte in un furgone e portate in una foresta vicino al confine con l’Ucraina dove sono state spogliate e picchiate.
Qual è la tua opinione personale circa i loro scopi e i loro mezzi?
Mentre ho molte riserve circa il modo in cui Femen viene gestito, ho una fiducia incondizionata in queste donne. Inna e Sasha Shevchenko sono due tra le donne più coraggiose che conosco. Non ho dubbi che possano ottenere quello che le loro menti si prefiggono. Ho già visto ciò di cui è capace Inna in Francia e spero sinceramente che Femen possa crescere e diventare un’organizzazione produttiva e sostenibile che non solo sensibilizzi sulle questioni femminili ma che abbia anche la capacità di proteggere e difendere i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il mondo.
Hai visto dei cambiamenti in Ucraina dal momento in cui Femen è attivo?
Lo scopo principale delle Femen in Ucraina è di sensibilizzare l’opinione pubblica circa l’assoggettamento delle donne. Secondo me, la presenza delle Femen nella stampa, che vengano dipinte in maniera positiva o negativa, ha avuto un effetto positivo sui giovani in Ucraina. Femminismo non è più una parolaccia. Che la gente le ami o le odi, le Femen stimolano il dibattito e, così facendo, giocano un ruolo importante nel politicizzare i giovani in Ucraina.
Hai scelto la musica per il film come se fosse un commento che scorre sugli eventi?
Le tracce musicali usate nel film sono molto famose in tutto il blocco post-sovietico. Le ho sentite molte volte, sui treni e durante le parate, mentre viaggiavo attraverso tutta l’Ucraina. Sono rimasta attratta in particolare dal Coro dell’Armata Rossa, per via del tono patriarcale rimbombante delle sue musiche. Questo grande coro di voci profonde e maschili è diventato un contrappunto perfetto ai gemiti e agli urli acuti emessi dalle attiviste Femen.