Festival di Berlino: considerazioni finali dall’inviato speciale
Cause di forza maggiore, tipo dormire, hanno impedito il regolare proseguio di questa improvvisata corrispondenza dal Festival del Cinema di Berlino. Ora che le proiezioni del concorso ufficiale sono ufficialmente finite, ora che si respira quella triste aria di sbaracco e che lo spettacolo circense sta per finire, sembra giusto, per completezza, recuperare i tre
Cause di forza maggiore, tipo dormire, hanno impedito il regolare proseguio di questa improvvisata corrispondenza dal Festival del Cinema di Berlino. Ora che le proiezioni del concorso ufficiale sono ufficialmente finite, ora che si respira quella triste aria di sbaracco e che lo spettacolo circense sta per finire, sembra giusto, per completezza, recuperare i tre giorni perduti e fare una carrellata di tutti i film in concorsi dsaltati in queste ultime giornate.
Martedì si sono esibiti tre film molto diversi tra loro: Night and Day, un non totalmente riuscito omaggio a Rohmer da parte di uno dei migliori giovani registi coreani contemporanei, Hong Sansoo; la bella commedia dell’inglese Mike Leigh (nella foto), Happy-go-lucky, che, almeno a sentire le entusiaste reazioni della stampa, rischia di far vincere al regista il l’Orso d’Oro, e diventare così il primo regista della storia ad aggiudicarsi il premio per il miglior film nei tre festival più importanti al mondo, avendo già vinto a Venezia con “Vera Drake” e a Cannes con “Segreti e Bugie”; e il primo documentario in concorso della storia del berlinale, Standard Operating Procedure del veterano Errol Morris, discutibile esempio di cinema che ha fatto molto discutere gli spettatori della Berlinale.
Mercoledì è stata la volta dell’unico italiano in concorso, Caos Calmo di Antonello Grimaldi, di cui potete leggere qui la recensione; io posso solo aggiungere che fare uscire in sala in Italia un film prima che venga proiettato all’importante festival del cinema cui sta partecipando nel concorso ufficiale mi sembra una strategia pubblicitaria e di marketing decisamente lacunosa.
Parlando del film in sè, la stampa non se l’è filato più di tanto, anzi. E non una singola persona accreditata a Berlino è sembrata minimamente scandalizzata o turbata dalla vituperata scena di scesso fra Moretti e la Ferrari. A fare compagnia a Grimaldi in concorso, mercoledì sono stati presentati anche due film di calibri molto importanti: Kabei, del giapponese Yoji Yamada, e Lady Jane, del marsigliese Robert Guèdiguian. Il primo è un lungo ritratto, tratto dalla biografia della scrittrice Teruyo Nogami, a tratti molto bello e toccante, di una famiglia nel Giappone degli anni ’40. Il secondo è uno strano noir, non molto riuscito peraltro, ambientato a Marsiglia, fatto di vendette e triangoli amorosi; peccato, perchè Guèdiguian è uno dei migliori registi transalpini in circolazione.
Ieri è stata la volta, invece, dell’atteso debutto alla fiction del documentarista di nascita italiana Luigi Falorni, autore dell’acclamato “La Storia del Cammello che Piange”; il suo Heart of Fire, storia di una bambina soldato in Eritrea, però, non solo delude, ma a tratti indispone persino.Un po’ meglio l’israeliano Restless, del giornalista e scrittore Amos Kollek, che narra le vicissitudini di un padre che ha abbandonato il figlio ancora nel grembo della madre per scappare a New York, in fuga dalle responsabilità e in cerca del successo; imperniato di forte senso critico, di cinismo e di ironia, il film si fa apprezzare per l’ottima sceneggiatura e per l’estrema sincerità. In odore addirittura di Orso d’Oro è invece l’esordio dietro la macchina da presa dello scrittore di successo, nonchè pittore, Philippe Claudel, Il y a Longtemps Que Je T’Aime… , che tratteggia con profondità e passione la storia di due sorelle; la maggiore è appena uscita dal carcere dopo quindici anni di reclusione, e trova ospitalità a casa della sorella minore, che in tutto questo tempo ha imparato a pensare alla sconosciuta sorella come a un mostro,
Oggi, invece, la berlinale ha terminato il programma dei lungometraggi in concorso, con l’ultimo film. Fuori concorso è stata proposta, invece, una delle pellicole della cinquina candidata ai prossimi Oscar come miglior Film Straniero; parliamo di Katyn, del maestro polacco Andrzej Wajda, che presto vedremo anche in Italia (è proprio di questa settimana la notizia della sicura distribuzione nel nostro paese del film) e che racconta della strage perpetrata a cavallo fra il 1939 ne il 1940 dall’esercito sovietico nella foresta di Katyn: 12000 ufficiali dell’esercito polacco massacrati e seppeliti. L’altro film fuori concorso è The Other Boleyn Girl, esordio al cinema del regista televisivo Justin Chadwick, con Scarlett Johansson, Natalie Portman ed Eric Bana. Ennesimo polpettone su una delle tante regine inglesi, stavolta Anna Bolena, il film è ben girato, ma si avvale di una esilarante sceneggiatura fumettisca. Di ben altra pasta è il duro Ballast, esordio alla regia dell’americano Lance Hammer, che ambienta nello squallore di una comunità di afroamericani del Mississipi una storia all’apparenza senza speranza, scritta molto bene e girata in maniera molto personale.
I giochi, quindi, sono conclusi. I premi stanno per arrivare; anzi, alcuni, come il Teddy, il premio per il miglior film dalle tematiche queer, è stato già assegnato, purtroppo non al bel documentario italiano, incentrato sui DICO, Improvvisamente, l’inverno scorso dei giornalisti Gustav Hofer e Luca Ragazzi. L’attesa ora, oltre alla cerimonia di premiazione, è tutta dirottata sul film di chiusura, nonchè ultimo film fuori concorso, ovvero Be Kind Rewind, di Michel Gondry, con Jack Black, Mos Def, Mia Farrow e Sigourney Weaver.