Roma 2016, Florence di Stephen Frears: Recensione in Anteprima
Dopo Marguerite di Xavier Giannoli, la vita di Florence Foster Jenkins torna al cinema grazie alla divina Meryl Streep, al sorprendente Hugh Grant e a Stephen Frears.
[quote layout=”big”]’Qualcuno potrà dire che non so cantare ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato’.[/quote]
Un anno dopo Marguerite di Xavier Giannoli, presentato in Concorso al Festival di Venezia e interpretato da una stupenda Catherine Frot nei panni di Florence Foster Jenkins, la vita del soprano statunitense, diventata famosa per la sua totale mancanza di doti canore, torna in sala grazie a Florence di Stephen Frears, dal 22 dicembre nei cinema d’Italia.
In programma alla Festa del Cinema di Roma, il film del regista di The Queen e Philomena vive sulle spalle della più grande attrice vivente, Meryl Streep, come al suo solito spaventosa nel saper indossare la maschera di una donna fragile e al tempo stesso solida nella sua passione per il canto, matura eppure ‘fanciullina’, da 40 anni malata di sifilide ma ancora in vita grazie all’irrefrenabile amore che prova nei confronti della musica.
Una Streep dalla fisicità appesantita e dal volto dolce, sognante, che suscita grandi risate ad ogni stecca esibita. Florence Foster Jenkins è una ricca ereditiera da decenni protagonista dei salotti dell’alta società newyorkese. Siamo nel 1944, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, e Florence, affiancata dal devoto marito, vuole tornare a calcare il palco in qualità di ‘cantante’. Peccato che la donna, convinta di essere un eccellente soprano, sia in realtà disastrosa. Un pianto greco per oltre 20 anni protetta proprio dal marito, costretto a pagare giornalisti e a ‘provinare’ il pubblico dei suoi concerti privati onde evitare crolli d’autostima. Tutto cambia quando Florence, sempre più certa della propria voce paradisiaca, decide di organizzare un concerto alla Carnegie Hall, senza invitati controllati e con un lancio pubblicitario trainato da una registrazione finita persino in radio. A New York non si parla d’altro, tanto da vedere addirittura Cole Porter in prima fila, con il povero St. Clair Bayfield, marito infedele eppure ciecamente innamorato della donna, chiamato a dover gestire la più incredibile e rischiosa sfida della propria esistenza.
Chiunque abbia visto Marguerite di Xavier Giannoli, commedia ‘tragica’ lo scorso anno passata al Lido e liberamente ispirata alla vita di Florence Foster, non potrà non notare le evidenti differenze con la versione più leggera e facilmente fruibile di Frears, qui affidatosi allo script dell’esordiente Nicholas Martin. Una leggerezza forse persino troppo marcata, per una sorta di ‘Corrida’ cinematografica spesso centrata sull’effetto del controcampo, con i volti inorriditi, scioccati e neanche a dirlo esilaranti dei poveri spettatori/ascoltatori della Foster Jenkins incaricati di suscitare risate.
Al fianco di una strabordante Streep, in passato più volte apprezzata ‘cantante cinematografica’ e in questo caso eccellente persino nelle stecche, un sorprendente Hugh Grant. Invecchiato e dedito marito, il 56enne attore britannico si è forse concesso la sua più riuscita prova d’attore in oltre 30 anni di carriera, dando forza e credibilità ad un uomo che mente spudoratamente per amore. Un uomo votato alla felicità di questa donna dall’ugola orrenda ma dal cuore d’oro, talmente ingenua da suscitare affetto e rispetto nei confronti di chiunque. Perché persino una voce come quella, quando emessa con il cuore, può meritare applausi ed ovazioni.
Impronosticabile e sorprendente l’alchimia tra i due attori, per un rapporto di coppia che nel finale prende la strada del malinconico sentimentale. Ridicoli eppure commoventi, grotteschi ma anche genuinamente amabili, Florence e Bayfield si sono trovati. Attore fallito e squattrinato lui, malata e con un disastroso divorzio alle spalle lei. Apparentemente un matrimonio di pura facciata e di reciproco interesse, se non fosse che dietro quelle nozze sessualmente mai consumate si celi il vero amore, venato di passione per l’arte. Frears, decisamente più in forma tanto con The Queen quanto con Philomena, si affida ciecamente ai suoi attori e ai disastrosi acuti della protagonista, lasciando sullo sfondo Rebecca Ferguson, fidanzata di Bayfield da anni costretta a doverlo dividere con Florence, e Simon Helberg, eccellente nell’indossare gli abiti di Cosmé McMoon, pianista passato alla storia per aver accompagnato la ‘peggior cantante al mondo‘.
Gradevole ma senza mai spiccare particolarmente, il film si limita a suscitare empatia nei confronti della protagonista, accennando interessi poi mai approfonditi nei confronti del delicato momento vissuto dal mondo intero e in particolar modo dagli Stati Uniti d’America, da poco entrati in guerra. Frivolo ma con garbo, Florence conferma essenzialmente l’irreplicabile capacità trasformista di un’attrice unica nel suo genere (qui agghindata come neanche la Lucia Mondella di marchesiniana memoria), la vendibilità cinematografica di un personaggio fino a 12 mesi fa ai più sconosciuto, l’inattesa bravura di un attore a lungo sottovalutato e l’assoluta efficacia di un genere, la commedia britannica, in grado di risultare credibile persino dinanzi al biopic ‘lirico’.
[rating title=”Voto di Federico” value=”6.5″ layout=”left”]
Florence Foster Jenkins (Uk, 2016, commedia, biopic) di Stephen Frears; con Meryl Streep, Hugh Grant, Simon Helberg, Rebecca Ferguson – uscita in sala: 22 dicembre