Franklyn – di Gerald McMorrow: la recensione
Franklyn (Franklyn, Francia / Gran Bretagna, 2008) di Gerald McMorrow; con Eva Green, Jay Fuller, Bernard Hill, Art Malik, Kika Markham, Ryan Phillippe, Gary Pillai, Sam Riley, Chris Wilson, Mark Wingett.Certi film sembrano nati per dividere le platee. E, se si parte da un dato di fatto oggettivo, la questione si complica un po’ di
Franklyn (Franklyn, Francia / Gran Bretagna, 2008) di Gerald McMorrow; con Eva Green, Jay Fuller, Bernard Hill, Art Malik, Kika Markham, Ryan Phillippe, Gary Pillai, Sam Riley, Chris Wilson, Mark Wingett.
Certi film sembrano nati per dividere le platee. E, se si parte da un dato di fatto oggettivo, la questione si complica un po’ di più in questo caso. Il dato oggettivo è questo: Franklyn è stato distribuito, almeno in Italia (ma probabilmente anche negli altri paesi dove è uscito), come un film di fantascienza, magari fumettoso come gli ultimi film ispirati o diretti da Frank Miller.
Operazioni del genere, comunque, ne succedono decine ogni anno, e bisogna ormai farsene una ragione. Ma Franklyn, appunto, non è proprio una pellicola simil-cinecomix come la si intenderebbe, visti gli ultimi modelli. Sposa un certo filone distopico che anche alcuni cinecomix ci hanno recentemente portato, certo, primo fra tutti V per Vendetta, ma anche l’ultimo Watchmen, per poi invertire la sua rotta.
Intricato e senza spiegazioni per una buona metà, l’opera d’esordio dell’inglese Gerald McMorrow, costata forse un quinto di un medio blockbuster americano, racconta quattro storie che prima o poi sono destinate ad incontrarsi. C’è Emilia, studentessa d’arte depressa e con manie suicide; c’è Milo, alla ricerca di un’amica d’infanzia; c’è Esser che sta cercando il figlio. E infine c’è Preest…
Delle quattro storie, la sua è ambientata in un’altra dimensione rispetto a quella delle altre tre vicende, che prendono vita nella Londra contemporanea. La storia di Preest ha come sfondo la fantomatica Città di mezzo, dominata dall’obbligo di avere un culto. McMorrow, che ha scritto anche la sceneggiatura, sembra ispirarsi ai modelli prima citati per costruire il personaggio interpretato da Ryan Phillippe – lo si pensi come un mix di V e Rorschach -, e frulla stili architettonici e varie religioni per costruire la Città di mezzo, dove l’unico che non ha un culto proprio (ne esistono di tutti i tipi, anche i più imbarazzanti) è proprio Preest.
Dell’unione delle quattro storie, si diceva, non si capisce nulla almeno fino a metà, quando il giochetto inizia a tirare un po’ le fila e molti potrebbero già intravedere una soluzione. Alla fine, grazie ad un proiettile, tutti i nodi vengono al pettine. E il film si trasforma: da un film di “fantascienza” in parte figlio di Orwell, Franklyn diventa un film sulle conseguenze che il mondo contemporaneo ha in varie forme sull’essere umano.
Depressione, malattia mentale, guerra. Ferite, dolori insanabili e condizioni irreversibili. Ogni persona, e quindi ogni mente, soprattutto in casi estremi, ha quindi il suo mondo: i casini arrivano quando bisogna relazionarsi con gli altri. O forse è proprio dagli incontri inattesi che nascono i primi bagliori di speranza. C’è chi ha tirato in ballo Donnie Darko per cercare un paragone sulla presunta inspiegabilità del film di McMorrow: ma non si tiene in conto il fatto che, diversamente dal complesso film di Kelly, Franklyn difficilmente colpisce al cuore e si mantiene piuttosto freddino.
Forse non è quel gran film come qualcuno ha detto, e forse neanche il pacco che tanti altri hanno descritto: che un film del genere fosse destinato a spaccare pubblico e critica era fin troppo ovvio. Ed è anche vero che, per raggiungere il suo fine (originale, certo), Franklyn sembra un po’ pretenzioso, senza scavare troppo a fondo. Ma resta comunque un tentativo che difficilmente dall’altra parte dell’oceano qualcuno avrebbe osato mettere in atto. E a suo modo Eva Green riesce ancora col suo fascino e la sua bellezza a tenere lo spettatore incollato allo schermo.
Voto Gabriele: 6
Voto Simona: 7