Venezia 2016, Frantz: recensione in anteprima del film di François Ozon
Festival di Venezia 2016: melò ambientato subito dopo la Grande Guerra per Ozon, che cambia contesto ma non pelle
La Guerra è finita. Quella del 15-18, detta la Grande. Adesso non rimane che contare i morti, ma soprattutto abituarsi all’idea di aver perso un figlio, un fratello, un amico. Sono i giovani ad averne fatto le spese, come in tanti hanno scritto nel corso del tempo. Anna (Paula Beer) è una di queste persone: Frantz, suo promesso sposo, è rimasto ucciso dai francesi. All’improvviso però arriva uno sconosciuto, Adrien (Pierre Niney), il quale si presenta alla famiglia di Frantz come un caro amico del giovane defunto. Ma per quale motivo è venuto fin lì? Che intenzioni ha?
Tutte domande che di primo acchito sfiorano i cari, che subito però devono arrendersi al fascino di questo ragazzo che ha per lo meno il merito di aver portato sollievo ed un pizzico di serenità in più in quella casa ancora devastata dal lutto. Adrien parla di Frantz, racconta di quando e come trascorrevano del tempo insieme; piccoli ricordi, episodi che riempiono il cuore dei genitori così come della bella Anna, invaghitisi del francese dai modi gentili e che, per forza di cose, diventa l’ultimo legame, il solo, con l’amato figlio e fidanzato.Tuttavia, come sempre nei film di Ozon, anche in Frantz si assiste ad un intricato gioco di identità, che si muove costantemente sul filo dell’ambiguo. Il regista francese riesce a destare interesse quanto basta pur non definendo mai del tutto i propri personaggi; anche in questa sua ultima fatica si fa leva sulle sfumature ed il vero mistero, come detto, non riguarda il racconto in sé bensì i suoi protagonisti. Risultato difficile da ottenere ma che Ozon consegue con una grazia pressoché naturale. Bella e brava Paula Beer, che è un po’ l’ago della bilancia, baricentro in questa rete di bugie bianche, di quelle perciò dette a fin di bene; ma che fanno soffrire comunque poiché nondimeno bugie.
Si è parlato di Lubitsch e del suo L’uomo che ho ucciso, le cui premesse sono più che simili a quelle di Frantz: sarà, fatto sta che non se ne fa menzione. Ad ogni modo Ozon rilegge a suo modo quella che anzitutto una pièce teatrale semmai, integrando pure un finale oltremodo appropriato, in linea col discorso del regista, che fino all’ultimo non intende svelarci esplicitamente il vero volto di chi abbiamo seguito per l’intero film, contraddistinto per lo più dalla diffidenza tra nazioni ed il senso di colpa collettivo tipico di quel periodo storico.
Il bianco e nero aggiunge quella nota di elegante malinconia mutuata più che da Haneke, come potrebbe inizialmente sembrare, dall’Edgar Reitz di Heimat, virate al colore incluse. Un’atmosfera che fa buon gioco con quell’impronta noir che Frantz ad un certo punto assume. Come s’intuisce, insomma, l’armonia che Ozon riesce ad infondere in questo suo ultimo lavoro rappresenta uno degli elementi più felici. A dispetto di un contesto apparentemente atipico, il suo è un film in costume che non disdegna affatto un certo classicismo senza però farsene travolgere, bensì servendosene per reiterare ancora una volta il suo cinema così come i temi che gli stanno maggiormente a cuore.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]
Frantz (Francia/Germania, 2016) di François Ozon. Con Pierre Niney, Paula Beer, Ernst Stötzner, Marie Gruber, Johann von Bülow, Anton von Lucke, Cyrielle Clair ed Alice de Lencquesaing. Nelle nostre sale da giovedì 22 settembre. Concorso