French Connection: recensione in anteprima
Non rifiuta le etichette French Connection di Cédric Jimenez, lasciando però subito da parte le premesse da poliziesco a tutto vantaggio di due storie di uomini contrapposti ma in qualche modo non così lontani
Scordatevi di William Friedkin e del suo French Connection, perché quello di Cédric Jimenez non è un remake né tantomeno un omaggio. La Marsiglia del 1975 è l’epicentro di una fitta rete di traffico di eroina che dalle coste del sud della Francia arriva sino a Nuova York. La Grande Mela; c’è più di quanto questo incipit induce a credere della «città che non dorme mai». French Connection versione 2015 riprende certi temi oltre che un certo stile smaccatamente scorsesiani, perché in fondo tale è la sensibilità dinanzi all’argomento.
C’è un giudice, Pierre Michel (Jean Dujardin), e c’è un boss della mala, Gaetan Zampa (Gilles Lellouche), e poi c’è per l’appunto il film che ruota attorno a questo scontro a distanza tra i due. L’aver tratto la vicenda da una storia reale non rappresenta alcun vincolo di sorta dato che a Jimenez non interessa neanche lontanamente fare inchiesta, ricostruire un caso. Piuttosto si mostra maggiormente attratto dall’aspetto, dall’atmosfera di un mondo di cui però si serve senza farsi asservire; gli anni ’70 marsigliesi ci sono e non ci sono, ché se non fosse per certi brani e certi indumenti nemmeno le automobili ci suggerirebbero una collocazione temporale a ritroso.
Tutto concorre a porre in rilievo queste due figure, trainanti dal primo all’ultimo fotogramma in cui compaiono, coi loro codici, le loro indoli. Capita che i due s’incontrino, sullo sfondo mozzafiato di uno strapiombo che dà sul mare al tramonto, una delle svariate concessioni di genere a cui Jimenez cede ben volentieri; qui t’aspetti che il confronto sia anche un punto di svolta, che segni l’apice o il culmine di una sfida tra gentiluomini di segno opposto. Nulla di tutto questo. Quell’incontro, come quasi ogni momento del film, è solo un passaggio.
Per alcuni potrebbe apparire limitante quanto appena evidenziato, mentre invece pare a me che questa ritrosia agli alti e bassi giochi a favore del film. Un film, è bene dirlo, patinato, ostinato nel suo rifuggire i toni di un cinema europeo che in passato si è occupato tanto bene d’intrecci scottanti tra giustizia, politica e criminalità (Rosi, o lo stesso Pontecorvo, su tutti), prediligendo piuttosto l’approccio vagamente hollywoodiano, meno incisivo ma per certi aspetti più accattivante. Senza andare fino in fondo però, dato il totale disinteresse a mettere in scena caricature, preferendo semmai, a tal proposito, indulgere in una seriosità tesa esattamente a smorzare una simile deriva.
È una linea davvero sottile quella su cui procede French Connection, al confine tra la spettacolarizzazione di un evento storico riveduto ed il desiderio di non trivializzare non solo la portata di certi personaggi ma di un delicato momento storico. Che il film non tace affatto, anzi, senza giri di parole viene evocata l’ascesa al governo di Mitterand dopo venti e passa anni di Destra al cosiddetto “potere”, episodio che anche nell’economia della storia ha un suo peso specifico. Sì, ma senza speculazioni di sorta, perché se vuoi anche solo accennare a tale questione non puoi fare a meno di citare la politica, o meglio, i politici, evitando al tempo stesso di lasciarti risucchiare dal gorgo di discussioni da cui sarebbe stato difficile uscire.
Si ritorna perciò a quei due, il giudice e il boss, visti da una prospettiva che tende a metterne in luce la componente anzitutto umana. Per almeno metà delle volte che sono in scena, infatti, li ritroviamo nei rispettivi focolari, ad occuparsi delle proprie famiglie, perché Michel e Zampa sono anzitutto questo: due mariti e due padri. Tenendo fede all’impostazione di partenza, non si segnalano approfondimenti o che so io in tal senso, ma certo è che French Connection, nell’approcciarsi ai due in quanto uomini, non riesce né tantomeno intende tacere quel fil rouge che in fondo li accomuna, a fronte di due esistenze votate all’estrema ed inconciliabile contrapposizione.
In tutta onestà mi pare questa la chiave di lettura più corretta per accostarsi a un film che, effettivamente, reca in calce tutt’altro. Senza voler semplificare oltremodo, ché al cinema spesso e volentieri descrivere è banalizzare; alla fine della fiera l’equilibrio precario su cui si regge French Connection poggia quasi interamente su questi due personaggi, i cui attori, non per nulla, sono la cosa migliore dell’intero progetto. Visto così il lavoro di Jimenez assume una forma diversa, che col poliziesco duro e puro ha poco o nulla che spartire. Ciò che, di fatto, questo film non è, a dispetto delle premesse.
Voto di Antonio: 6½
French Connection (La French, Francia, 2014) di Cédric Jimenez. Con Jean Dujardin, Gilles Lellouche, Céline Sallette, Mélanie Doutey, Benoît Magimel, Guillaume Gouix, Bruno Todeschini, Féodor Atkine, Moussa Maaskri, Pierre Lopez, Eric Collado, Cyril Lecomte, Jean-Pierre Sanchez, Georges Neri, Martial Bezot, Bernard Blancan e Gérard Meylan. Nelle nostre sale da giovedì 26 marzo.