Fuocoammare: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016
Lampedusa oggi. Ma soprattutto i lampedusani, del luogo o acquisiti. Come in Sacro GRA, Gianfranco Rosi osserva persone, situazioni, come se fossero totalmente slegate l’una dall’altra. In questo caso, però, il risultato di tale apparente alienazione assume tutto un altro significato
A Samuele piace andare a caccia di uccellini ma soffre il mal di mare e di occhio pigro. Eppure a Lampedusa, come gli fa notare un suo compagno di classe, sono tutti marinai. È questo un primo, implicito segnale che Fuocoammare ci lancia: le cose non stanno esattamente come immaginiamo. Samuele è Lampedusa, le sue contraddizioni, la sua indolenza, la sua goffaggine, così come la sua innocenza, la sua incolpevole solitudine.
Come in Sacro GRA, però, le coordinate di un luogo a Gianfranco Rosi servono per descrivere una condizione, nulla o poco avendo a che fare con la geografia in senso stretto. Anche qui, a posteriori, non possiamo dire di saperne di più su quel luogo; ma anche qui, come in quella collezione di storie sul raccordo anulare, veniamo a saperne qualcosa su coloro che popolano certi luoghi. A Lampedusa, per esempio, è pressoché “naturale” immaginare una situazione di emergenza permanente; sì, magari a qualcuno non sfugge che nei tre mesi estivi il turismo cammina o che Claudio Baglioni possiede da anni una lussuosa villa che dà sul Mediterraneo. L’argomento immigrazione dall’Africa è però talmente caldo che è giusto un attimo arduo immaginare qualcosa di diverso da uno scenario funereo.Fattispecie che non viene però del tutto accantonata. In uno dei rari momenti, forse l’unico, in cui uno dei personaggi si rivolge direttamente alla persona dietro la macchina da presa, costui è il dottore che si occupa di verificare lo stato di salute delle persone recuperate dai barconi, così come delle autopsie sui cadaveri. Ecco, c’è la solitudine, l’umanità persino, di chi ha accettato lo status quo senza darsi però ad alcuna lamentosa rassegnazione. C’è la compostezza, il senso del dovere, il rispetto, la misericordia, ossia la civiltà. Se certi sentimenti e valori fossero maggiormente diffusi, più radicati come lo sono in questo affabile dottore, allora si potrebbe addirittura credere a quella favola bellissima, se non addirittura necessaria, dell’integrazione.
Samuele, non solo per via della giovane età, rappresenta invece lo stadio precedente, un’umanità più pura, dunque disordinata, maldestra, ma ad ogni modo amabile. Ci pare di avere individuato in loro due, Samuele e il dottore, la chiave di lettura più interessante di Fuocoammare, aiutati in questo da un esilarante siparietto tra i due. C’è una verità meno artificiosa del seppur brillante Sacro GRA, che traspare da come parlano, come gesticolano, come si muovono e che, unite alle immagini dei tanti immigrati che sbarcano sull’isola, generano pensieri interessanti. Samuele ed il dottore sono persone, la gente sui barconi no. Quest’ultimi sono carne, vittime non semplicemente di guerra, ma soprattutto di sogni e desideri che non esistono o che non sono affatto preparati a perseguire.
Arrivano nella cosiddetta Europa, con espressioni devastate e magliette del Real Madrid o dei Lakers, si comportano come alieni appena atterrati su un altro pianeta, perché il loro davvero somiglia ad un viaggio spaziale, verso l’ignoto. In realtà c’è chi si occupa di loro, come può, ma è un’impresa; non solo per la mole del flusso ma anche per questa nostra incapacità apparentemente invincibile nel trasmettere qualcosa. Perché accoglierli non basta. La narrazione di Rosi non è sentenziosa, ma neanche neutra; come in Sacro GRA era divertito da una popolazione così eterogenea, qui è incuriosito dai locali e mosso da questi gruppi che si spostano in mare come carne da macello e nulla più.
Fuocoammare è, nel suo piccolo, l’ennesima pietra tombale su quel sogno grandioso ma sgangherato di un unico Continente, disunito anzitutto sull’essenziale. Perché una terra, qualunque terra, in cui si permette che avvengano certe tragedie, invocando il concetto di accoglienza come mero paletto ideologico, non merita alcun posto nella storia. Perché odia il prossimo, ma prima ancora sé stessa.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
Fuocoammare (Italia, 2016) di Gianfranco Rosi. Con Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana, Pietro Bartolo, Giuseppe Fragapane, Maria Signorello, Francesco Paterna, Francesco Mannino e Maria Costa. Nelle nostre sale da giovedì 18 febbraio.