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Gigolò per caso: Recensione in Anteprima del film con Woody Allen

Una New York da fotodiario fa da sfondo alle vicissitudini di un gigolò ed un pappone, entrambi improvvisati, alle prese con la quotidianità. In una piccola commedia, teneramente sarcastica, in cui si sorride e si riflette pure

pubblicato 4 Aprile 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 02:54

«Il mestieri più ancico deil mondto» biascica in un italiano per forza di cose americanizzato Fioravante, rievocando una conversazione con il suo amico di una vita Schwartz. In quell’occasione quest’ultimo dovette trovare il modo convincere il suo interlocutore che farsi pagare per fare sesso fosse una cosa semplicemente… già vista. Ora, a Fioravante date il volto di John Turturro, mentre a Schwartz quello di Woody Allen e la scena prende forma in maniera di gran lunga più interessante.

Gigolò per caso è un film piccolino, a tratti quasi intimo. Questi due amici di vecchia data nelle primissime sequenze discutono all’interno di una libreria che a breve sta per chiudere, perché di leggere libri, lo dice Allen, non gliene frega niente più a nessuno. Quasi subito, però, viene instaurata quell’aura che ci accompagnerà per tutto il film, ossia quella che ci parla di fugacità: ogni personaggio, evento o tematica evocata in Gigolò per caso è sfuggente. Le immagini sgranate in una sorta di 8mm che letteralmente aprono il film ci informano di questa nostalgia che ci attraversa lungo l’intero arco della storia, non importa se e quanto tutto ciò a cui assistiamo ci sia familiare o meno.

Si divide in due tronconi, come due diverse fasi di una sinfonia che vengono alternate. Trattandosi di un racconto che scivola via con una certa placidità, accompagnato (termine appropriato) da un sottofondo jazz discreto, Turturro si è fatto bene i conti e ciò che ne è venuto fuori è un risultato alquanto semplice: in un contesto dai contorni così delicati serve qualcuno che tenga desta l’attenzione, che smorzi i toni. Woody Allen serve esattamente a questo, cioè ad alleggerire una progressione che diversamente apparirebbe troppo cadenzata.

È Allen, “out of the blue” come direbbero gli anglofoni (vale a dire inaspettatamente, senza alcun appiglio precedente), a proporre all’amico di vedersi con una signora in cerca di un’esperienza nuova. Fioravante è “giovane”, è uno che si sporca le mani; un vero uomo insomma. Non bello come Mick Jagger, ma chi se ne frega. Questi sono gli argomenti con cui, in buona sostanza, Schwartz cerca di coinvolgere in questa nuova impresa il suo stralunato amico. Fioravante ascolta, cosciente ma non del tutto convinto dall’intera faccenda: farsi pagare da un’avvenente donna in carriera per fare sesso? Che c’è di male?, incalza il più anziano interlocutore. Qualche accenno di scrupolo morale («queste donne sono vulnerabili»), qualche riserva sul proprio grado di virilità e via, la società entra in pista.

Turturro riserva per sé il ruolo più serioso, quello da cui in fondo passa la portata di questo suo film formato mignon, esternando qualche battuta di spirito qua e là, senza però mai esporsi più di tanto. Il suo è un personaggio per lo più taciturno, un Ulisse in balia degli eventi tra i quali però si destreggia con una rassegnazione tutta post-moderna, dunque consapevole ma al tempo stesso mesta, senza lamentele.

Gli affari procedono a gonfie vele, anzi, alla prima prestazione Fioravante (per un po’ Virgilio), si becca pure una mancia pari a un terzo del cachet. Niente male per un novellino. Finché, tra una cosa e l’altra, Fioravante non incontra la donna che lo fa innamorare, o che lo conduce da qualche parte lì vicino. Si tratta di un’ebrea ortodossa, vedova con sei figli a carico, che Schwartz conosce allorquando ha bisogno di qualcuno che sappia togliere i pidocchi al figlio. Il primo incontro tra i due è un coacervo di freddure, battute sottili in puro stile Allen. Come questa: Schwartz: «No, non intendo toccarlo, prima che i pidocchi si attacchino pure a me», vedova: «Non si preoccupi, i pidocchi non si attaccano agli adulti, per via del loro sangue: è più acidulo (acidic, in inglese) rispetto a quello dei ragazzini», Schwartz: «Cosa, hassidico (hassidic, in inglese)»?

Sebbene pochi siano i dubbi riguardo a chi abbia scritto certe battute, a ben vedere Turturro gioca molto con queste differenze etniche. Quella di Gigolò per caso è una New York marcatamente multietnica, dove di americani quasi non se ne vedono, a parte l’insoddisfatta Sharon Stone. Lo stesso duo composto da Turturro ed Allen si prende simpaticamente gioco di certi luoghi comuni, fondati o meno che siano, dei rispettivi popoli a cui appartengono: Fioravante e l’uomo latino trasognante, poetico, grande amatore per vocazione, di poche parole ed apparentemente avulso da ciò che lo circonda; Murray Schwartz è invece l’ebreo con la naturale propensione per gli affari, abile affabulatore, testardo senza essere mai molesto.

Eppure non si tratta di macchiette, o di personaggi standard; ciascuno dispone dei propri tratti, di un carattere proprio, difficilmente catalogabile. Perché più di ogni altra cosa, sono entrambi newyorkesi, quelli che, con la sua incisiva ironia, David Foster Wallace descriveva come segue: «hanno la capacità incredibile di badare ai fatti propri, di starsene per conto loro e non accorgersi che succedono cose sconvenienti, una capacità che mi colpisce ogni volta che vengo qui (a New York, ndr.) e che sembra sempre collocarsi a un certo punto del continuum tra stoicismo e catatonia».

Tutto ciò emerge, o per lo meno si percepisce. A conti fatti Gigolò per caso è girato col medesimo atteggiamento, quello di chi prende la vita così com’è, senza l’eccesso di speculazioni intellettuali à la Basta che funzioni. Un film che si rilassa un bel po’ nella parte centrale (quando, guarda caso, Allen scompare, impegnato com’è in una partita a baseball tra goym neri ed ebrei sotto la soglia della pubertà), per poi dare un senso a quel “rilassamento” a pochi passi dall’epilogo, quando la piega esilarante degli eventi ci mostra da un lato Fioravante impegnato in un threesome con la Stone e Sofía Vergara da fare invidia ai tre maggiori siti porno in circolazione sotto la categoria MILF, mentre dall’altro Schwartz deve vedersela con la corte di un tribunale ebraico per un processo a suo carico. Prima del colpo di scena finale, che rimette tutto in discussione riaprendo un cerchio destinato a non chiudersi.

E tutto scivola via così, tra un corteggiamento reciproco da amor cortese ed il muto affanno dei nostri tempi. Senza essere mai volgari, né troppo ovvi, senza sentenze e dunque assoluzioni. Una parentesi dolce che scorre sotto i nostri occhi disattenti senza infastidire la lettura. Storia di un amore non consumato e che proprio per questo non verrà dimenticato; ché per il sesso c’è sempre qualche facoltosa donna disposta a pagare. Così, giusto per infrangere un altro tabù.

Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 6.5

Gigolò per caso (Fading Gigolò, USA, 2014) di John Turturro. Con John Turturro, Woody Allen, Sharon Stone, Sofía Vergara, Vanessa Paradis, Liev Schreiber e Bob Balaban. Nelle nostre sale da giovedì 17 aprile.