Giornata della Legalità: i dieci film sulla mafia che hanno fatto la storia
Da In nome della Legge a Gomorra, i film che hanno raccontato la mafia in Italia, per non dimenticare.
Ventun’anni fa a Capaci, il 23 maggio 1993, si consumava una delle stragi che più hanno sconvolto il paese: il Giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani vennero uccisi dalla mafia che per farlo fece saltare in aria un intero pezzo d’autostrada in prossimità di Palermo. Pochi mesi dopo venne ucciso il collega Paolo Borsellino, ma prima di loro i caduti in quella “sporca guerra” contro le mafie (non possiamo dimenticare camorra e ‘ndrangheta) furono molti: il 23 maggio venne poi scelto come data simbolo della legalità e oggi vi proponiamo 10 titoli tutti italiani sulla lotta tra Stato e antistato e gli uomini che la combatterono.
Partiamo con In nome della legge di Pietro Germi girato nell’ormai lontano 1948 e tratto dal romanzo autobiografico Piccola pretura del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo: un giovane magistrato di Palermo (Massimo Girotti) viene inviato come pretore nel piccolo paese di Capodarso in Sicilia e, per amore della giustizia e della legalità, si trova costretto a combattere contro varie ingiustizie sociali. Il suo zelo lo porterà a scontrarsi contro un notabile, il barone Lo Vasto e contro la mafia, rappresentata dal massaro Turi Passalacqua e dai suoi uomini: fu definito un western all’italiana, anche se in molti criticarono al regista un’ambiguità nella descrizione del fenomeno mafioso. In un’epoca dove dal cinema ci si aspettavano distinzioni nette tra il Bene e il Male la mafia venne descritta in maniera troppo romantica e lo stesso Leonardo Sciascia rimproverò il regista.
Sascia avrebbe poi scritto un classico della letteratura del genere “mafioso”, Il giorno della civetta, che divenne un film nel ’68 diretto da Damiano Damiani e interpretato da Franco Nero e Claudia Cardinale: come nello splendido libro da cui è tratto, anche nel film si respira la pesante cappa d’omertà che soffoca i paesi siciliani, rendendo quasi impossibile al capitano Bellodi (Franco Nero) proseguire le indagini per omicidio contro un boss mafioso. Riuscito a farlo incarcerare subirà l’umiliazione di vederlo uscire dopo poche ore grazie ai suoi agganci politici e di essere lui stesso trasferito, come “punizione”.
Un’altra storia di “promoveatur ut amoveatur” (promozione e rimozione) è quella che riguarda il Prefetto Mori, che lottò contro la mafia e le sue connivenze con lo stato fascista durante il ventennio: come il già citato capitano Bellodi, anche Mori era un “piemontese” (sinonimo di straniero e oppressore) e la sua figura, venne interpretata da Giuliano Gemma ne Il Prefetto di ferro, film del ’77 di Pasquale Squitieri.
Dal Prefetto al Generale, Dalla Chiesa, ovviamente, barbaramente assassinato nell’82 a colpi di kalashnikov in via Carini a Palermo, dopo essere stato quasi completamente abbandonato dallo Stato che avrebbe dovuto aiutarlo: Cento giorni a Palermo, interpretato da Lino Ventura e da una giovane Giuliana De Sio nella parte della moglie Emanuela, il film ben racconta la solitudine di un uomo di legge che vive consapevole di essere condannato a morte e si dispera non per la propria incolumità personale ma per non essere riuscito a compiere il proprio dovere.
Da un uomo di legge a un altro, passiamo a Il giudice ragazzino, film emblematico sulla vita di Rosario Livatino (Giulio Scarpati), che pagò con la vita lo zelo con cui condusse le indagini sul traffico di stupefacenti nella zona Canicattì-Agrigento. A proposito di “ragazzini” impossibile non ricordare anche la figura di Peppino Impastato, non un uomo di legge, ma un semplice cittadino che pagò con la vita le sue invettive radiofoniche contro il boss Don Tano Badalamenti e la cui figura venne splendidamente immortalata nel film I cento passi, con protagonista Luigi Lo Cascio.
Ma la mafia e i suoi omicidi sono anche stati spunto di risate ed è il caso di Tano da Morire, un “quasi musical” di Roberta Torre che ride dell’onorata società senza per questo smorzare i toni drammatici che la circondano e dipinge un ritratto grottesco della Sicilia stessa. Prima di passare dalla mafia alla camorra chiudiamo con Dimenticare Palermo, di Francesco Rosi, in uno dei rari ruoli drammatici di James Belushi, candidato sindaco di New York in luna di miele a Palermo, minacciato dalla mafia, che allunga i suoi tentacoli anche oltreoceano.
Mafia o camorra il risultato non cambia: violenza, traffico di droga e armi, intimidazioni, corruzione. Insomma la trama è sempre la stessa e Marco Risi ha ben descritto in Fortapàsc lo stesso senso di impotenza e solitudine che colse il giornalista Giancarlo Siani e che già aveva colpito alcuni dei protagonisti sopra descritti. Abbandonati dalle istituzioni, ghettizzati come lebbrosi: anche per Siani, giornalista scomodo, il destino era segnato e la sua condanna a morte venne eseguita a Napoli, quando aveva solo 26 anni.
Chiudiamo questa rassegna, cui si potrebbero perlomeno aggiungerne altrettanti, senza considerare i film stranieri, con Gomorra, di Matteo Garrone, il film che proseguendo sulla strada del libro di Roberto Saviano, contribuì a riportare nuovamente l’attenzione di tutta la nazione sulle condizioni in cui versa parte della Campania. Qui non ci sono eroi, magistrati, reporter d’assalto: solo gente comune, dei bassifondi, piccoli delinquenti o semplici lavoratori che ogni giorno convivono con la spada di Damocle appesa sul collo. Ma l’importante è farci l’abitudine, sembra.