Giorno 4 a Venezia 2009: Pepperminta – Io sono l’amore
Pepperminta – di Pipilotti Rist (Orizzonti) Nonostante un fuggi-fuggi dalla sala non indifferente, un lungo applauso alla fine della proiezione c’è stato. Sarà per la presenza del cast? Può darsi, ma i battiti di mani sembravano sinceri. Non ci si può credere, scusate la franchezza. L’irritante storia (?) del film della Rist si basa su
Pepperminta – di Pipilotti Rist (Orizzonti)
Nonostante un fuggi-fuggi dalla sala non indifferente, un lungo applauso alla fine della proiezione c’è stato. Sarà per la presenza del cast? Può darsi, ma i battiti di mani sembravano sinceri. Non ci si può credere, scusate la franchezza.
L’irritante storia (?) del film della Rist si basa su un sacco di siocchi appuntini da mettere assieme, colorando un mondo di trovate che per alcuni saranno anche simpatiche, ma che per 80 minuti non riescono a strappare neanche mezza risata. Colpa di una regia che vuole essere libera come la sua trama ma casca nella trappola dell’inutilità e della noia.
Certe immagini fanno accapponare la pelle (vi diciamo solo che ci sono in ballo mestruazioni: la Breillat potrebbe essere invidiosa), e tutto funziona nel verso sbagliato. Scusate ancora la troppa franchezza, ma crediamo che la Mostra di Venezia, che con Orizzonti dovrebbe segnare le nuove tendenze del cinema contemporaneo, non dovrebbe scegliere un quasi amatoriale corto allungato all’infinito, sperimentale ma già vecchio. Qui foto e (delirante) trailer.
Io sono l’amore – di Luca Guadagnino (Orizzonti)
Stesso discorso di Pepperminta: Orizzonti merita di meglio. E anche il cinema italiano merita di meglio che il cinema di Guadagnino, prima autore della versione cinematografica di un libro velocissimo e furbetto (Melissa P.), poi regista dalle velleità autoriali che si ritrova in manoc con un cast promettente ed un progetto non privo di interessi.
Niente da fare: Io sono l’amore è pessimo cinema. Dispiace dirlo, ma non c’è nulla che si salva. Nonostante dei titoli di testa creati e con i caratteri dei nomi che richiamano il classico, il tutto diventa ancora cinema piatto, che vuole fuggire correndo dalla tv ma la ritrova poco dopo, con la sua sceneggiatura da urlo.
Sarà anche per questo che nessun attore si salva, raggiungendo un livello globale nella recitazione disastroso che neanche Tilda Swinton (un pesce fuor d’acqua, sinceramente) riesce a salvare. Non è cinema freddo, perché almeno dopo un po’ taglierebbe l’anima come affilati coltelli. E’ invece un mix di romanzetto familiare e dramma da camera che sa di vecchio. Non tanto perché vorrebbe aspirare al cinema che fu, sin appunto dai titoli di testa, ma perché lascia di stucco ogni volta che la trama tenta di prendere una certa piega. Sempre già calpestata.
Una nota sulle musiche, atroci: anche qui si tenta di richiamare il cinema classico, ma l’uso che se ne fa va oltre ogni film di Tornatore. Guardate il finale, già lunghissimo di suo, da mani nei capelli per come enfatizza la situazione in modo spudorato. Guadagnino con la macchina da presa non ci sa fare, e il montaggio rischia di trasformare il film perennemente in encefalogramma piatto.