Giovani si diventa: recensione in anteprima
Avere quaranta o vent’anni. Oggi. Noah Baumbach racconta dell’odierno scontro generazionale con un cinismo lucido, senza rinunciare all’ironia in Giovani si diventa (While We’re Young)
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«Dov’è la vita? Datemi la vita». La domanda, il grido composto di While We’re Young (Giovani si diventa) potrebbe essere questa. Per tutto il film vi è questa tensione, tra il cinico e il realistico, che è più una disposizione interiore a fare i conti non tanto con l’anagrafe quanto con le ambizioni frustrate, le angosce, i rimpianti, così come con quelle cose che invece dovrebbero gratificarci ma che invece ci sfuggono. In altre parole si parla di quarantenni alle prime armi coi bilanci, e Noah Baumbach certa inquietudine sa come descriverla.
Ma soprattutto, inevitabilmente, si parla di scontro generazionale, che se fino all’altro ieri opponeva ventenni e sessantenni (o giù di lì), oggi traccia una linea impietosa tra generazioni in fin dei conti non così lontane. Quanto all’età almeno. Josh (Ben Stiller) e Cornelia (Naomi Watts), neo-quarantenni, vivono a New York. Lui è un documentarista, lei una produttrice figlia a sua volta di un altro documentarista, però di successo, a differenza del marito. La loro è un’esistenza borghese, vecchio stampo verrebbe da dire: middle class, amici, tutti sistemati, che stano cominciando a sfornare pargoli, vite tranquille, senza particolari impennate.
Un giorno incontrano Jamie (Adam River) and Darby (Amanda Seyfried), una giovane coppia di sposini a metà tra i venti e i trenta. Josh rimane colpito dal disincanto dei due, specie di Jamie, del suo vivere il momento, del suo mescolare alto e basso tipico del post-moderno. È esattamente la compagnia di cui sentiva il bisogno, senza nemmeno saperlo. Baumbach è molto bravo a descrivere passaggi importanti mediante piccole cose, come il cappello che Josh comincia ad indossare in un impeto di giovanilismo di cui in fondo il film si fa velatamente beffa. Perché Josh è estasiato dall’approccio alla vita di Jamie?
La risposta, da semplice quale in fondo sarebbe, a conti fatti non è così immediata; non a caso ci si mette un intero film a rispondere. Ed è il tempo che ci vuole per descrivere con così tanta efficacia ciò che comporta uno scontro di questo tipo, tra due esponenti di pianeti che oggi sembrano nemmeno toccarsi. La prosa di Baumbach è tipica non soltanto del regista in questione, bensì di tutti quei capaci esponenti di certo umorismo ebraico, così clinico e pungente nel tirar fuori la verità di un personaggio o di una situazione attraverso un sarcasmo dal marchio unico. Qui però è tutto verosimile, senza bisogno di sconfinare nell’irrealistico, nell’onirico o che so io. Le dinamiche che Baumbach descrive, senza calcare mai la mano, le conosce chiunque abbia conservato un briciolo di capacità ad osservare.
Prendiamo la questione smartphone e social per esempio. Giovani si diventa non si limita alla retorica del mezzo pacifico a secondo dell’uso né a quella della demonizzazione più o meno fondata; al contrario, dato che a Baumbach interessano i profili, le persone, l’attenzione viene sarcasticamente spostata altrove. Non più Facebook o Wikipedia di per sé stessi, bensì la capacità di servirsi di queste piattaforme anche senza utilizzarle. Più scene sono rivelatrici di quanto ho appena scritto, oltre che più eloquenti. Le due coppie si trovano a casa di Jamie, quando a nessuno dei quattro viene in mente un ingrediente del gelato; Josh e Cornelia si precipitano a tirar fuori l’iPhone, quasi per riflesso incondizionato, al che il giovane Jamie ne blocca estemporaneamente la foga: «aspettate! Troppo facile così. Proviamo a ricordarcelo». E quando, pur spremendo le rispettive memorie, non si arriva a capo della cosa: «pazienza, restiamo nell’ignoranza».
Giovani si diventa non vuole certo porsi, anche per i motivi accennati nel precedente capoverso, come uno studio sociologico, sebbene ci giochi alquanto, anche per via del contesto, in cui a darsi battaglia sono due documentaristi, due modi d’intendere il documentario. Che è poi volendo un’altra chiave di lettura interessante, per certi versi pure più affine a Baumbach, il quale probabilmente è il primo a chiedersi da chi e da cosa debba passare la verità o per lo meno l’autenticità di una vicenda, di un gruppo, di un personaggio. E la risposta, tutt’altro che netta, sembra essere che in fondo oggi più che mai la messa in scena rappresenti l’unica ancora di salvezza, in un mondo sommerso di operatori di camera, immagini “reali” e sedicenti cronisti.
Il punto è però che di un film di questo tipo si potrebbe scrivere a oltranza. Radicalmente attuale, sagace tanto nelle premesse quanto nello svolgimento e nelle conclusioni, senza necessariamente pontificare ma al tempo stesso offrendo un punto di vista. Accattivante anche perché mostra un processo, un cambiamento, e lo fa senza sbavature, tenendoci incollati alla storia – e con una colonna sonora decisamente indovinata. Tanto che l’agrodolce rassegnazione non ha alcunché di artificioso, bensì è quella di chi si accorge che è tempo di andare avanti e non rinviare l’appuntamento più importante, quello con sé stessi. Una parabola laica di conversione alla vita, che non a tutti deve apparire conciliante, ma che, se è una parte, è senz’altro una parte di qualcosa che è molto reale oltre che vicino a ciascuno di noi.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]
Giovani si diventa (While We’re Young, USA, 2015) di Noah Baumbach. Con Ben Stiller, Naomi Watts, Adam Driver, Amanda Seyfried, Charles Grodin, Adam Horovitz, Maria Dizzia e Brady Corbet. Nelle nostre sale da giovedì 9 luglio.