Giulio Questi: parliamoci chiaro, è meglio “La morte ha fatto l’uovo” dei film raccomandati dai partiti…
Due parole in ritardo per un amico che aveva talento, ricorda che il talento spesso viene bocciato dalle raccomandazioni
La sfiga è una sfida. Giulio Questi, regista novantenne, era a Torino per godersi la retrospettiva dei suoi film organizzata dal Torino Film Festival e il Csc- Cineteca Nazionale. Lo hanno festeggiato. Poi è andato a dormire, e non si è più svegliato. Buon giorno, amico Giulio, faccia con baffi e capelli incornicianti il volto bello e magro. Buon giorno. Il mondo del cinema italiano è penoso, per le persone che lo fanno e lo organizzano; lo sono in ogni senso. Prima o poi la mafia capitale scoprirà le sue vergogne occulte. Buon giorno. E’ appena uscito un bel libro su di te e sul tuo cinema, a cura di Domenico Monetti, Emiliano Morreale e Luca Pallanch, edito da Rubbettino, “Se non ricordo male”. E hai vinto un premio per “Uomini e comandanti”, quindici racconti di Resistenza, in parte usciti nel 1947 (avevi ventidue anni); lo leggerò di sicuro.
Buon giorno. Fellini e Germi ti avevano visto e preso per la “Dolce vita” e “Signori & Signore”. Piacevi. Le belle facce tra i registi italiani non ci sono più, corrose dalle fatiche per farsi ascoltare, farsi capire, farsi raccomandare, snodi nella maggior parte purtroppo ineludibili. Buon giorno. I tuoi film – è scritto, condiviso- vengono definiti “di culto”. Fai molta attenzione: quando i giornali scrivono “di culto” tengono a declassare, vogliono autorizzare un’alzata delle spalle, e suggerire: “tirem innanz…” (tu sei lombardo, Bergamo, capisci il pilatismo nazionale anche nella tua lingua).
Infine, buona notte. Un bel sogno da fare. Che persone come te, antifascisti e partigiani, ispirino le pulizie di cui abbiamo bisogno. Destra e anche sinistra si sono sporcate le mani, non c’è abbastanza acqua per lavarle. Quindi, servono persone che ragionano e scelgano un cinema giusto. Di fantasia, fantasia pulita; di scelte coraggiose, ardite.
Tu, Giulio, hai fatto quattro film che sono riportati nei dizionari: “Le italiane e l’amore” (a episodi, 1962); “Amori pericolosi” (a episodi,1964), “Se sei vivo spara” (western, con Tomas Milian), “La morte ha fatto l’uovo” (una farsa nera, 1968), “Arcana” (una commedia su l’Italia che pratica sedute pseudo spiritiche, 1972, con la grande Lucia Bosè). Avevi capito. Poca celluloide. Ma intelligenza colma di ciak.
L’Italia stava diventando a poco a poco uno zabaglione, in cui nel tempo come in un cassonetto sono finite glorie e disgrazie non solo di Roma. Un Paese in cui “se sei vivo spara” perché quando sei morto non conti un cazzo. Il Paese dove l’amore, gli amori si andavano avvelenando dopo i sapori bignè della dolce vita e sono pericolosi.E’ facile scoprire questo, oggi giorno che arriva e passa. I tam tam continuano a stordire con inquinamenti des mauvais jours che Fellini scoprì.
I tuoi film, anche a episodi, sono entrati nei dizionari, nei libri, nelle storie. In modo marginale. I vecchi critici scrivono che le intenzioni potevano essere buoni ma i risultati modesti, discutibili, nella speranza di essere d’avanguardia. I nuovi critici riprendono la ricerca, la mostrano, avranno i loro effetti, spero. Occhi giovani valgono di più che occhi borbottanti, orbi e ciechi. Si spera. Voglio dirti Giulio, che siamo presi dall’invidia per la tua, la vostra generazione che ha creduto e cercato una Italia diversa, un’Italia che c’è stata (il cinema lo ha testimoniato). Voglio citare infine Kim Arcalli, montatore e sceneggiatore, con cui hai lavorato, un tipo speciale. Ombre veneziane (sappiamo cosa sono le ombre nel bicchiere) e sogni libertari, mente viva, modi prudenti, voce convinta e lenta per parlare e meditare insieme. Adesso va l’urlo, le urla. In televisione. Nel cinema, salvo qualche nome, gli autori guardano al traino delle televisioni; vivono di avanzi di commedie; stanno nel sociale, sbandati e disorientati. Meglio saperlo, saltare, guardare oltre.
Ciao Giulio. Suscitano sensi di colpa i personaggi come te, troppo sognatori, troppo ingenui. Nel “mondo di centro” che ruota da anni non solo a Roma.