Roma 2016, Goodbye Berlin di Fatih Akin: Recensione in Anteprima
Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo cult di Wolfgang Herrndorf, esce al cinema Goodbye Berlin di Fatih Akin.
Due anni dopo Il Padre, presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Fatih Akin, acclamato regista tedesco Orso d’Oro con La Sposa Turca e premio speciale della Giuria al Lido con Soul Kitchen, torna in sala con Goodbye Berlin, quest’oggi visto alla Festa del Cinema di Roma nella sezione autonoma e parallela Alice nella Città.
Trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Wolfgang Herrndorf, in Italia edito da Rizzoli, il film porta sul grande schermo un doppio coming-of-age adolescenziale. Tschick e Maik sono compagni di banco ma non si rivolgono parola per quasi l’intero anno scolastico. Questo perché Tschick, occhi da mongolo, una bottiglia di vodka sempre in borsa, un’intelligenza fuori dal comune e un origine (dice lui) da zingaro ebreo, viene visto da tutti con fastidio. Persino da Maik, lo ‘psicopatico’ della classe, strambo, bassino, bruttino, con una cotta non ricambiata per la ragazza più corteggiata e una famiglia allo sfascio. Se la mamma ha chiari problemi di alcolismo, tanto da entrare ed uscire da rehab che lei chiama ‘beauty farm’, il padre se la spassa con la segretaria appena diciottenne, preferendo andare in vacanza con lei che badare al figlio 14enne, lasciato solo soletto in casa per due settimane. Ed è qui che Maik, istigato da Tschick, intraprende un folle viaggio a bordo di un auto rubata che cambierà per sempre le esistenze di entrambi.
Una storia d’amicizia fuori dal comune, quella diretta con esilarante e malinconica leggerezza da Akin. Scorretto e tutt’altro che consolatorio, Goodbye Berlin affronta tematiche adolescenziali viste e straviste, questo è innegabile, ma con fare originale e smaliziato. Tschick e Maik iniziano a conoscersi quasi casualmente, in quanto ai limiti di una comunità che volutamente li schiva, guardandoli quasi con disprezzo. Uguali nelle rispettive solitudini, i due ragazzi vivono giorni fuori dall’ordinario, con la polizia alle loro calcagna, pochi soldi in tasca e un piano vacanziero in continua evoluzione.
Un pazzo road movie con destinazione una terra probabilmente inesistente (Valacchia), che diventa viaggio fisico, introspettivo ed emotivo soprattutto per il più piccolo e apparentemente fragile dei due. Tra campi di pannocchie divelti e casuali incontri con sconosciute ‘senzatetto’, Tschick (di cui non sappiamo praticamente niente) e Maik imparano a confidarsi inconfessabili segreti mai svelati, a trasgredire alle regole imposte dai più grandi (‘devi farti notare!‘) e ad essere leali l’uno con l’altro, anche se consapevoli delle devastanti conseguenze a cui andranno incontro le loro bravate, difese con orgoglio e gelosamente conservate tra i ricordi.
Akin, che ha scovato due giovanissimi attori impeccabili nei tutt’altro che semplici ruoli di Tschick e Maik (bravissimo il 16enne Tristan Göbel), adatta con mano ironica, spregiudicata e nel finale coraggiosamente poco rassicurante un romanzo tanto celebre quanto acclamato in patria. Un’impresa riuscita senza tradire l’irriverenza poetica dell’autore, purtroppo deceduto nel 2013 e di fatto impossibilitato a vederne l’apprezzabile trasposizione.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
Goodbye Berlin (Germania, 2016, commedia, road-movie) di Fatih Akin; con Tristan Göbel, Anand Batbileg, Nicole Mercedes Müller.