Grazie Ragazzi: nuovo spot tv del film con Antonio Albanese e Vinicio Marchioni al cinema
Tutto quello che c’è da sapere su “Grazie Ragazzi”, la nuova commedia del regista Riccardo Milani con protagonista Antonio Albanese nei cinema dal 12 gennaio 2023 con Vision Distribution.
Dal 12 gennaio nei cinema d’Italia con Vision Distribution Grazie Ragazzi, la nuova commedia del regista Riccardo Milani (Mamma o papà) che torna a collaborare con Antonio Albanese. Il film racconta di un attore disoccupato che accetta un lavoro come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario.
Grazie Ragazzi – Trama e cast
La trama ufficiale: Di fronte alla mancanza di offerte di lavoro, Antonio (Antonio Albanese), attore appassionato ma spesso disoccupato, accetta un lavoro offertogli da un vecchio amico e collega, assai più smaliziato di lui, come insegnante di un laboratorio teatrale all’interno di un istituto penitenziario. All’inizio titubante, scopre del talento nell’ improbabile compagnia di detenuti e questo riaccende in lui la passione e la voglia di fare teatro, al punto da convincere la severa direttrice del carcere a valicare le mura della prigione e mettere in scena la famosa commedia di Samuel Beckett “Aspettando Godot” su un vero palcoscenico teatrale. Giorno dopo giorno i detenuti si arrendono alla risolutezza di Antonio e si lasciano andare scoprendo il potere liberatorio dell’arte e la sua capacità di dare uno scopo e una speranza oltre l’attesa. Così quando arriva il definitivo via libera, inizia un tour trionfale.
Il cast di “Grazie Ragazzi” include anche Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Nicola Rignanese, Imma Piro, Gerhard Koloneci, Liliana Bottone, Bogdan Iordachioiu e con Fabrizio Bentivoglio.
Grazie Ragazzi – Trailer e video
Nuovo spot tv ufficiale pubblicato il 13 gennaio 2023
Curiosità sul film
- Riccardo Milani (Benvenuto Presidente!, Scusate se esisto!) è alla quarta collaborazione con Antonio Albanese dopo Mamma o papà? (2017), Come un gatto in tangenziale (2017) e Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto (2021).
- Riccardo Milani dirige “Grazie Ragazzi” da una sua sceneggiatura scritta con Michele Astori tratta dal film “Un Triomphe” scritto da Emmanuel Courcol e Thierry de Carbonnières diretto da Emmanuel Courcol e liberamente ispirato alla vera storia di Jan Jonson, un attore che ha lavorato a Komla, un carcere di massima sicurezza in Svezia negli anni ’80.
- Il team che ha supportato il regista Riccardo Milani sul set ha incluso il direttore della fotografia Saverio Guarna (Corro da te), i montatori Patrizia Ceresani & Francesco Renda (Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto), la scenografa Marta Maffucci (Il signore delle formiche) e il costumista Alberto Moretti (Ma cosa ci dice il cervello).
- Riccardo Milani sulle location: “Abbiamo girato all’interno dei penitenziari di Rebibbia e di Velletri e poi siamo stati ospiti in diverse città girando in veri teatri come l’Argentina di Roma e poi a Siena, Perugia, Amelia, Pisa…tutti i detenuti che abbiamo incontrato hanno capito le nostre intenzioni e sono stati collaborativi, condividendo con noi tutto quello che facevamo.”
- Le musiche originali del film sono di Andrea Guerra (Le fate ignoranti, Tu la conosci Claudia?, Copperman, Hill of Vision, Brado). Guerra e il regista Riccardo Milani hanno collaborato anche per Benvenuto Presidente!, Scusate se esisto!, Mamma o papà, Ma cosa ci dice il cervello, Nel nostro cielo un rombo di tuono e Come un gatto in tangenziale – Ritorno a Coccia di Morto.
- Il film è una produzione Palomar, Wildside, società del gruppo Fremantle, e Vision Distribution in collaborazione con Sky.
Note di regia
Quella di “Grazie ragazzi” è una storia vera avvenuta in Svezia a metà degli anni ’80. La visione del film francese che l’ha raccontata è stata l’occasione per adattare la vicenda alle nostre carceri con il filtro della commedia così da arrivare a un pubblico più largo. Un film che racconta la capacità del teatro di dare un’opportunità, di scavare nell’animo umano di chi assiste, ma anche, e in questo caso soprattutto, di chi si mette in gioco recitando su un palcoscenico. È per questo che, inevitabilmente, “Grazie ragazzi” è anche un film sul mestiere dell’attore che rimane per me affascinante e misterioso. Un film su quanto l’arte possa diventare in un carcere elemento di “libertà” e soprattutto di “possibilità”. Cinque detenuti, fino a quel momento lontanissimi dalla cultura e da qualsiasi forma espressiva, alle prese con il teatro fanno inaspettatamente propri gli interrogativi sull’esistenza che pone Samuel Beckett in “Aspettando Godot”: “Cosa stiamo a fare qui?”. Cercando così un senso all’attesa che caratterizza il loro tempo trascorso in una cella. Interrogandosi su come riempire il vuoto del tempo passato in carcere. Sul senso della loro vita. Sul senso della nostra vita, e, in fondo a tutto, sulla possibilità di trovare, nell’intimo di ognuno di noi, una scintilla che ci può far cambiare. Continua il percorso con Antonio Albanese (siamo al quarto film insieme), un attore con un corpo e un’anima capaci di attraversare e raccontare l’essere umano con toni e sfumature diverse, dalla risata al dramma, mai così come in questo film. Ringrazio tutti quelli che hanno lavorato trasformandosi in non attori che diventano veri attori; da Vinicio Marchioni a Giacomo Ferrara, da Giorgio Montanini ad Andrea Lattanzi, a Bogdan Iordachioiu e Gherard Koloneci. Diversi in tutto uno dall’altro, ma straordinariamente potenti nel mostrare compatti il loro lato umano. Una nota per Sonia Bergamasco e Fabrizio Bentivoglio, lei grandissima attrice di teatro e di cinema con la quale mi onoro di lavorare da tempo, capace di giocare con i generi sfoderando momenti altissimi di umanità, e lui uno di quegli attori con i quali, dopo la prima volta, non vedi l’ora di tornare a lavorare appena possibile. Ringrazio tutta la mia troupe, i produttori Carlo Degli Esposti, Nicola Serra, Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa, Massimiliano Orfei e tutto il gruppo di Vision Distribution. Con tutti loro approdiamo nel nostro luogo naturale: la sala cinematografica. [Riccardo Milani]
Aspettando Godot di Samuel Beckett
“Aspettando Godot” è un’opera teatrale di Samuel Beckett. Dramma associato al cosiddetto teatro dell’assurdo e costruito intorno alla condizione dell’attesa: Vladimiro e Estragone aspettano Godot mentre cresce un’intensa disperazione. “Aspettando Godot” viene scritta da Beckett verso la fine degli anni quaranta. Fu pubblicato in lingua francese nel 1952, cioè dopo la seconda guerra mondiale, in un’epoca post-atomica. La prima rappresentazione si tenne a Parigi nel 1953 al Théâtre de Babylone sotto la regia di Roger Blin, che per l’occasione rivestì anche il ruolo di Pozzo. Nel 1954, Beckett – autore irlandese di nascita – tradusse l’opera in inglese.
Nel primo atto due uomini vestiti come vagabondi, Estragone e Vladimiro, si trovano sotto un albero in una strada di campagna. Sono lì perché un certo Godot ha dato loro appuntamento. Il luogo e l’orario dell’appuntamento sono vaghi. I due non sanno neanche esattamente chi sia questo Godot, ma credono che quando arriverà li porterà a casa sua, gli darà qualcosa di caldo da mangiare e li farà dormire all’asciutto. Mentre attendono passa sulla stessa strada una strana coppia di personaggi: Pozzo, un proprietario terriero, e il suo servitore, Lucky, tenuto al guinzaglio dal primo. Pozzo si ferma a parlare con Vladimiro ed Estragone. I due sono ora incuriositi dall’istrionismo del padrone, ora spaventati dalla miseria della condizione del servo. Lucky si rivela tuttavia una sorpresa quando inizia un delirante monologo erudito che culmina in una rovinosa zuffa tra i personaggi. Pozzo e Lucky riprendono il loro cammino. Intanto è calata la sera. Godot non si è fatto vivo. Arriva però un ragazzo, un giovane messaggero di Godot, il quale dice a Vladimiro e a Estragone che il signor Godot si scusa, ma che questa sera non può proprio venire. Arriverà però sicuramente domani. I due prendono in considerazione l’idea di suicidarsi, ma rinunciano. Poi pensano di andarsene, ma restano. Il primo atto finisce qui. Nel secondo atto accadono esattamente le stesse cose. Vladimiro ed Estragone attendono sotto l’albero l’arrivo di Godot. Di nuovo vedono passare Pozzo e Lucky (Pozzo nel frattempo è diventato cieco, sull’albero sono spuntate due o tre foglie). Di nuovo si intrattengono con il padrone e il servo. Di nuovo Pozzo e Lucky se ne vanno. Di nuovo arriva il messaggero a dire che Godot stasera non può venire ma verrà sicuramente domani. Di nuovo prendono in considerazione l’idea di mollare tutto. Di nuovo rinunciano. Fine [fonte SamuelBeckett.it]
Non c’è da meravigliarsi che, uscendo dal teatro, la gente si chieda cosa diavolo ha visto. In casi come questo si finisce sempre per attribuire all’autore un preciso disegno simbolico, e si rigira il testo pezzo per pezzo, battuta per battuta, cercando di ricostruire il puzzle. Si ha l’impressione che Beckett, a casa sua, stia ridendo malignamente alle nostre spalle, mentre con una semplice intervista alla televisione potrebbe chiarire ogni cosa. Diremmo subito che, a nostro parere, pretendere a tutti i costi questo “sesamo apriti” non ha senso. Stabilire se Godot è Dio, la Felicità, o altro, ha poca importanza; vedere se in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente Lucky, il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la “chiave” cristiana, per cui tutto, dall’albero che si trova sulla scena, e che dovrebbe rappresentare la Croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano. (Carlo Fruttero)
L’opera teatrale “Aspettando Godot” è disponibile su Amazon.
Intervista con il regista
Il regista Riccardo Milani racconta come è nato il progetto del film.
Il produttore Carlo Degli Esposti sapeva che da tempo volevo ambientare una mia storia in un carcere e mi ha fatto vedere “Un triomphe”, un recente film francese di Emmanuel Courcol che si ispira liberamente a una vicenda realmente accaduta in Svezia nel 1985. Il protagonista era un attore di scarso successo che veniva chiamato a tenere in un penitenziario un corso di teatro per un gruppo di detenuti lontani da qualsiasi nozione di spettacolo e di arte, scoprendo presto quanto quei ragazzi fossero, per un insieme di motivi, sorprendenti. Ho scritto così con Michele Astori una sceneggiatura che partiva da quel plot francese per poi modificarlo e trasportarlo in un carcere italiano con un protagonista, Antonio (Antonio Albanese), attore appassionato ma sfortunato che di fronte alla mancanza di offerte di lavoro accetta un impiego di insegnante in un laboratorio teatrale allestito all’interno di un carcere. Dopo le inevitabili incertezze e tensioni iniziali con i suoi allievi Antonio riesce col tempo a stimolarli a cercare e trovare importanti motivazioni personali che li portano ad affrontare con determinazione le prove, ad appassionarsi e ad allestire “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, un testo sul senso dell’attesa, che simboleggia perfettamente la loro vita e la loro situazione di reclusi. Una volta scoperto un notevole talento in quella compagnia di dilettanti, sulla carta improbabile, l’insegnante ritrova la passione e la voglia di fare teatro e via via i detenuti/attori si arrendono alla sua risolutezza e si lasciano andare scoprendo il potere liberatorio dell’arte e la sua capacità di dare uno scopo e una speranza inattesi: vanno in scena, ottengono un buon riscontro e capiscono di poter andare oltre quando qualche impresario teatrale sente parlare di loro e va a vederli. Antonio riuscirà a convincere la direttrice del carcere (Sonia Bergamasco) a permettere loro di valicare le mura della prigione e a mettere in scena “Aspettando Godot” sul vero palcoscenico di un teatro. Quando arriverà il definitivo via libera inizierà così un tour trionfale attraverso l’Italia.
Milani spiega da cosa nasce l’ambientazione carceraria del film.
Sono andato spesso a girare o a presentare alcuni miei film nelle carceri e ho scoperto che in quei contesti sono sempre esistite certe forme di attività inclusiva. Avevo iniziato a conoscere le strutture, l’ambiente, le persone, i direttori e a costruire a poco a poco un’idea di racconto. Ho cercato di descrivere l’ambiente penitenziario nel modo più fruibile possibile per un pubblico più largo, senza nasconderne le criticità, ma cercando di condividere meglio le sensazioni attraverso l’ironia, evitando di girare un film troppo cupo. In carcere è necessario fare i conti con condizioni e situazioni dure, ma ho pensato che certe durezze nel cinema possano essere smussate e raccontate filtrandole con il registro della commedia. Credo che “Grazie ragazzi” sia in fondo una commedia umana, una storia che racconta in chiave divertente una tematica impegnativa come quella della vita nelle carcere e dei detenuti che hanno alle loro spalle un’esperienza importante. È anche un film sul teatro e sul mestiere dell’attore che cerca di scavare profondamente in quel contesto anche da un punto di vista umano, raccontando che, quando prendono corpo certe dinamiche, scatta qualcosa in più, una sorta di magia indefinibile che porterà quei detenuti così lontani da quel mondo a trarre qualcosa di enorme da quell’esperienza.
Milani parla della collaborazione con Antonio Albanese e della fase di selezione del resto del cast.
Si è cementata ancora di più una grande fiducia reciproca. Questo è il quarto film girato insieme dopo “Mamma o papà?” e i due capitoli di “Come un gatto in tangenziale”. Conosco Antonio dal 1996, anno in cui lavorammo insieme a una lunga campagna pubblicitaria in cui ci siamo conosciuti, ci siamo sfiorati e assaporati, siamo stati bene e ci siamo divertiti molto. Abbiamo sempre avuto un’attenzione comune a un tipo di commedia civile e sociale con temi importanti da affrontare, ci accomuna la possibilità di raccontare l’umanità, magari con personaggi diversi tra loro. L’elemento che ci ha unito nei vari film realizzati insieme è sempre stato l’idea di affrontare tutto quello che portiamo in scena con una misura, uno sguardo, un occhio comune. Per quanto riguarda “Grazie ragazzi” ho pensato subito ad Albanese, convinto dal progetto e da un personaggio totalmente nelle sue corde con un bel percorso da intraprendere. Antonio ha sempre avuto nel suo lavoro un particolare e significativo uso del corpo, un’anima in grado di accostarsi ai personaggi che incontra e di tirarne fuori gli aspetti e i motivi più interessanti e profondi. In questo caso i cinque detenuti che si trova di fronte hanno tutti un dramma alle loro spalle, sono uomini che nella loro vita hanno compiuto errori e scelte sbagliate e ora hanno trovato un’opportunità. Il mestiere dell’attore li aiuta a scoprire se stessi e la propria creatività, a capire come potere liberare la propria personalità, a ritrovare la dignità e la vitalità che pensavano fossero schiacciate…Avevo conosciuto Fabrizio Bentivoglio tanti anni fa sul set del film “La scuola” di Daniele Luchetti, di cui ero l’aiuto regista, e in questo caso abbiamo trovato l’occasione giusta per lavorare di nuovo insieme grazie al personaggio di un teatrante un po’ cinico che aveva iniziato con convinzione il suo lavoro e poi si è perso concentrandosi su pratiche burocratiche e finanziamenti ministeriali vari. A contatto con Antonio e i detenuti/attori anche lui riscoprirà la passione per il suo mestiere e capirà quanto sia stata importante l’esperienza nel carcere con quei cinque uomini apparentemente senza speranza che gli farà recuperare lo slancio personale e il riconoscimento della potenza di un mestiere così affascinante e misterioso. Sono stato poi felice di essermi potuto confrontare ancora una volta con una grandissima attrice come Sonia Bergamasco, per costruire il personaggio della direttrice. Abbiamo girato insieme tanti film e il nostro è ormai un rapporto più che collaudato. Per quanto riguarda gli interpreti principali ho scelto attraverso dei provini una serie di attori molto diversi tra loro: Andrea Lattanzi, che dà vita al più stralunato tra gli allievi, mi era rimasto ben impresso per il suo volto molto segnato quando si era rivelato nel film “Manuel”; Giacomo Ferrara è un giovane attore di grande maturità espressiva con una forte capacità di entrare in profondità nei personaggi, così come Giorgio Montanini e Vinicio Marchioni, con cui avevo già girato in passato “Ma cosa ci dice il cervello” e l’ex giocatore di hockey che interpreta un assassino rumeno. Infine l’interprete del ruolo di un agente di custodia, Nicola Rignanese, ha vissuto per anni un’importante esperienza con la compagnia di detenuti/attori del carcere di Volterra e ci ha fornito informazioni fondamentali e trasmesso stati d’animo e esperienze personali molto emozionanti.
Intervista con Antonio Albanese
Antonio Albanese racconta come è stato coinvolto nel progetto.
Il produttore Carlo Degli Esposti, che ha realizzato “Grazie ragazzi” con la sua Palomar insieme alla Wildside di Mario Gianani, mi ha proposto di essere il protagonista di questo film ispirato a una storia vera che non conoscevo e che aveva già ispirato una versione francese di grande successo. Ho letto il copione e ne ho capito subito il valore, visto che nel corso del racconto si assiste a una vera e propria ascesa verso la gioia e la felicità, ho trovato molto stimolante l’opportunità di poter parlare di come l’arte possa migliorare le persone e creare pace e serenità. Ho in qualche modo riconosciuto il mio personaggio, e mi sono ritrovato subito in sintonia con quelle dinamiche. Ho valutato quindi importante e necessaria l’occasione di confrontarmi con un testo così attuale che portava in scena la possibilità di coinvolgere persone meno fortunate in un incontro tra umanità diverse. Questi detenuti, lavorando insieme al loro insegnante all’allestimento di uno spettacolo, riescono a trarre dall’arte del teatro la gioia, la voglia di vivere e un nuovo equilibrio, ed è questo il punto di forza di un racconto pieno di umanità che nobilita il teatro: l’arte non solo può educare le persone, ma anche guarirle.
Albanese racconta la collaborazione co Riccardo Milani e il periodo sul set.
Questa volta ci siamo ritrovati dopo altre tre commedie girate insieme solo apparentemente leggere e che raccontavano il nostro tempo, qui invece portiamo in scena un’umanità diversa. Io e Riccardo ci stimiamo tanto da sempre e questo è importante, ci aiuta ad andare avanti e a crescere. Ormai con lui basta uno sguardo, un gesto di intesa per capire le nostre reciproche intenzioni. Lavorare con lui è sempre piacevole, mi piacciono la sua assoluta onestà intellettuale, la sua grande passione e il suo rispetto per gli attori: quando deve costruire certe azioni ed emozioni un interprete può anche fare da solo, ma, se si trova in sintonia con il suo regista e con quello che li circonda, tutto diventa più facile…Lavoro da anni con Riccardo e i suoi collaboratori abituali e ci sono stati naturalmente momenti piacevoli e gratificanti anche in questa occasione, ma per quello che mi riguarda l’impatto decisivo è stato entrare in un carcere vero sia a Rebibbia che a Velletri, “sentire” quegli spazi lontani diversi da quelli che si frequentano regolarmente, è stato un impatto emozionante. Poi come sempre quando si interpreta un personaggio di quello spessore si cerca di sentire come lui e di diventare lui, e il crescendo che c’è stato con gli attori nei loro ruoli di detenuti è diventato sempre più interessante da un punto di vista umano. A un certo punto mi sono dimenticato che loro fossero dei professionisti scritturati come me, mi rapportavo a loro come se fossero dei veri reclusi e questo è potuto accadere perché erano tutti molto bravi e credibili, perfettamente in sintonia con la storia che stavamo portando in scena.
Albanese racconta che tipo di rapporto si è creato sul set con gli altri interpreti.
È stata una grande gioia ritrovare in scena Fabrizio Bentivoglio e Sonia Bergamasco, con cui avevo recitato molto bene diverse volte, e così tutti gli altri attori che hanno rappresentato per me una piacevolissima sorpresa. Era bellissimo svegliarsi la mattina, andare sul set e sapere che tutti erano d’accordo e ben motivati. Cito per tutti il mio amico Nicola Rignanese, che conosco da decenni perché ho frequentato con lui a Milano la Scuola di Teatro “Paolo Grassi”: Nicola ha lavorato per anni con i detenuti nel carcere di Volterra e ci ha dato molti consigli utili per la verosimiglianza di certe ricostruzioni. Prima delle riprese, comunque, Milani ha indagato a fondo sulle esperienze dei laboratori teatrali nei penitenziari e l’ho fatto anche io quando volevo mostrare in scena la sorpresa del mio Antonio che entra per la prima volta in carcere. Si tratta comunque di un ambiente difficile, con un impatto forte: la sorpresa era anche la mia personale e quella degli altri attori che hanno interpretato i detenuti, sono stati tutti molto bravi a “tatuarsi” addosso la disperazione di quel contesto. In un momento particolare del racconto, ad esempio, Antonio – per difendere il suo lavoro e quello di tutti gli altri – dice alla direttrice, indicando uno dei suoi neo attori: “Lui non sa leggere e scrivere ma ha imparato un monologo di tre pagine a memoria!”. Credo che questa semplice frase esprima al meglio la meraviglia di poter ricevere in dono delle possibilità di riscatto.
Grazie Ragazzi – Foto e video