Halloween, l’ombra che “stregò” il cinema
La notte in cui Michael Myers uscì dalla tomba era quella del 1978, quando “Halloween” ridefinì i confini del genere e diede alla paura un nuovo feticcio. Ricordare il capolavoro di John Carpenter, oltre che un omaggio alla notte delle streghe, è quasi un obbligo morale per ogni cinefilo…
“Mister Sandman, bring me a dream, make her cutest that I’ve ever seen…Give her two lips like roses in clover, then tell her that her lonesome nights are over….Sandman…”
Ve la ricordate? E’ la canzone anni ’50 che accoglie uno spaesato Marty McFly nella immaginaria Hill Valley di “Ritorno al futuro”, tra monopattini, scarpe a molla e “La regina del Far West” nei cinema. Un motivetto garbato (e vagamente irritante), di quelli che ti si attaccano alle orecchie e le lasciano solo dopo averle ridotte in pappa. Ma si trattava, dopotutto, di una canzone per bambini, il cui testo non a caso recita “Mr. Sandman portami un sogno, rendilo più vivo di quanto lo abbia mai visto….” alludendo alla figura folkloristica portatrice di buona notte e sogni d’oro.
Chissà quale sottile piacere deve aver provato John Carpenter nell’inserirla sui titoli di coda de “Il signore della morte” di Rick Rosenthal (sequel conclusivo del primo “Halloween”), proprio al termine della più lunga, e cinematograficamente famosa, “notte delle streghe”, quando il Sandman della situazione (che all’anagrafe però faceva Michael Myers) aveva elargito a sufficienza bei sogni di morte conditi da dolcetti al sangue, invece di pace nel cuore e sabbia sugli occhietti assonnati.
E’ anche questo uno dei motivi per cui amiamo, ogni volta di più, l’ombra della strega partorita dal genio di Carpenter e Debra Hill. Perché, anche se quella canzone non si sentirà che al termine del secondo capitolo delle gesta di Michael Myers, tutto il primo, magnifico “Halloween” è animato dal medesimo e preciso obiettivo: demolire miti infantili e rassicuranti, abbattere gli steccati che ci proteggono dall’uomo nero e innaffiare col sangue le siepi del perbenismo americano. Senza dimenticare quel deliberato attacco al clima e alle favole dei pacifici anni ’50, quando a far paura erano “La cosa da un altro mondo” e “Il pianeta proibito” (non a caso entrambi citati come “scary movies” in alcuni scorci televisivi), o l’azzardata rappresentazione omicida della sessuofobia “media” americana.
Se la rideva senz’altro Carpenter quando inveiva su babysitter ninfette e ninfomani o perseguitava l’illibatezza delle sopravvissute (la scream-queen Jamie Lee Curtis intrappolata in una sadica reiterazione della propria messa in salvo), ma, ne siamo certi, ancor più gusto deve aver provato nell’infestare spazi aperti e “deflorare” luoghi fin lì rassicuranti (come Haddonfield nel tranquillo New Jersey), tramutando ridenti villette americane in siepose trappole di morte dai colori autunnali. Dopotutto non è da quel famigerato 1978 che le casette a schiera ci appaiono più come sinistri custodi del male invece di confortanti rifugi dell’intimità domestica?
Cadono così barriere e certezze e, complice la sera in cui Jack ‘O Lantern vaga come anima rifiutata dagli abissi, cadono anche i vivi sotto i colpi di un killer che ormai non è più uomo ma creatura del Diavolo. Il folle Michael Myers, come il fabbro Jack, è l’ anima errante senza inferno che porta la morte a chi non ha saputo accoglierlo. Mito e realtà si incontrano, si sposano e generano un nuovo mito. Perché da allora la sola ombra della strega possibile è stata quella firmata John Carpenter.
Ecco a voi “Halloween”, notte delle streghe per eccellenza, il buio (cinematografico) nel quale non smetteremmo mai di perderci, l’incubo di un divertito regista che negli anni ’70, mentre pensava semplicemente di realizzare un “home movie” per ragazzi, stava firmando un caposaldo per gli anni a venire e addirittura (inconsapevolmente?) riscrivendo la grammatica dell’horror. Perfino il significato intrinseco di soggettiva con questo film era destinato a cambiare di senso e profondità (pensiamo allo sguardo iniziale del piccolo Myers che “media” l’occhio del regista e infine intrappola lo sguardo degli spettatori). Tutto il film anzi non è che un’immensa, infinita soggettiva che avvolge ogni cosa, dalle strade ai viali alberati, dagli steccati ai cortili delle scuole, insinuando il male anche alla luce del sole e nascondendo le streghe dietro maschere anonime e senza vita e dentro case dalle finestre che sanguinano.
Una lunga ed intensa soggettiva che però non si limita “solo” a reinventare il cinema ma osa perfino essere in qualche modo “politica”. Perché gli squarci assassini dell’ombra della strega non affondano soltanto nella carne muliebre delle vittime ma sembrano spingersi quasi dentro il tessuto politico e sociale di una nazione, fino alla radice delle sue ipocrisie. Il “killer delle babysitter” (come doveva chiamarsi originariamente il film) non è che il “rimosso” istituzionale dell’America, quello confinato dentro gabbie lontane ma facilmente scardinabili. Le vittime sono l’alto prezzo pagato per l’indifferenza della società nei confronti dei figli, mentre i sopravvissuti (Laurie) incarnano piuttosto la coscienza “morale” e benigna del paese, quella condannata a scontare le colpe non sulla pelle ma nell’anima (e non a caso la protagonista è condannata a difendersi incessantemente da fantasmi “ritornanti”proprio come il senso di colpa).
Azzardate elucubrazioni? Senz’ombra di dubbio. Del resto ognuno, compreso il sottoscritto, vede nei film ciò esattamente ciò che vuole vedere. Eppure non so come potrebbe negarsi ad “Halloween” quella patente politica che gli tocca di diritto (negli anni ’70 anche il cinema di genere non poteva che essere, anche solo subliminalmente, “schierato”). E quindi quale migliore metafora, da parte di un libero pensatore come Carpenter, per rendere più vivida l’immagine di un paese contraddittorio, reazionario e sessuofobo, nonché saldamente ancorato alla “legge del taglione” come gli States, se non quella di un killer “soprannaturale” e impossibile da giustiziare?
Ma fermiamoci qui e non andiamo troppo oltre con le speculazioni. Godiamoci piuttosto questo entusiasmante balletto cinematografico intorno ai fuochi (fatui) della festa più nera dell’anno. Un giro di danza sempre tetro e spaventoso, nonostante i 35 anni sulle spalle e le migliaia di visioni dall’adolescenza fino ad oggi, e che in questa notte con la tregenda nel cuore, promette nuovamente di sprigionare tutto il suo carico di orrore ed angoscia. Accadrà quindi che all’imbrunire, ovunque vi troviate, le siepi non saranno più “semplicemente” siepi e le fioche luci dei lampioni sembreranno sogghignarvi, mentre tutto intorno le ombre si allungheranno fino a farvi vedere cose che prima non c’erano e poi……ehi, un momento…ma cos’è quella sagoma nascosta fra gli alberi?….sembra proprio un’ombra….l’ombra della strega?!