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Venezia 2017, Hannah: recensione del film di Andrea Pallaoro

Festival di Venezia 2017: sebbene il migliore degli italiani in Concorso, l’ostico Hannah resta un film irrisolto, difficile pure per Pallaoro

pubblicato 9 Settembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 02:20

Qual è il confine tra film impegnativo, esigente e uno semplicemente tedioso, ruvido? Domanda scomoda, ché a voler mettere dei paletti in tal senso rischierebbero di saltare tante, troppe critiche. Certo è che l’opera seconda di Andrea Pallaoro dà adito a quesiti del genere, se non altro per le reazioni capace di generare. Hannah è una sfida a priori: un’anziana donna (Charlotte Rampling) si trova a trascorre le proprie giornate da sola, tra lavoro, corsi alternativi e vita di tutti i giorni. Nel mezzo una vicenda terribile, che non le dà pace, rendendo l’ordinarietà della sua esistenza un vero e proprio inferno. Pericoloso dire di più, perché il film di Pallaoro si gioca praticamente tutto sul non detto, non solo perché, banalmente, i dialoghi sono ridotti all’osso, ma anche per via del fatto che pressoché nulla viene chiarito inequivocabilmente ed in maniera esplicita.

Uno studio sul personaggio quello condotto dal regista italiano di stanza a Los Angeles, che cerca di fare leva sullo straordinario talento della Rampling. Il risultato è che qualcosa riesce, altre meno. Questo non detto rischia di schiacciare Hannah, che effettivamente richiede una disponibilità non da poco: ora la donna è col marito e la tensione si taglia col coltello, senza che ci si scambi alcuna battuta; ora la vediamo emettere suoni o girare intorno ad altre persone seguendo le indicazioni di un’insegnante; ora si occupa delle pulizie presso l’abitazione di una famiglia altolocata. Hannah essenzialmente fa questo, con la testa sempre altrove, lo sguardo assente, a tratti svuotato. L’aspetto più interessante sta nel segmento scelto da Pallaoro, ovvero quello successivo ad un evento tragico, che ha scosso tutto dalle fondamenta; a noi non resta perciò che ricostruire per sommi capi quanto avvenuto precedentemente attraverso i vari indizi/input disseminati per il film.

Certo, il rischio è che il tutto scada più nell’esercizio, cavalcando la tematica scabrosa ma non per questo attualissima. Eppure è difficile non rispettare un film come Hannah, proprio per via di questa sua ferma risolutezza nel coinvolgere lo spettatore al tempo stesso dissuadendolo, come se con una mano lo tirasse a sé mentre con l’altra lo scacciasse. Una sfida anche per un’attrice come la Rampling, tenuta a trasmettere tutto mediante gesti ed espressioni. Un cinema quindi tutt’altro che conciliante, ma che a un Festival ha senso vedere, sebbene irrisolto, ostico oltremodo. Quello che non si può certo negare è che questo Pallaoro certi tasti li tocchi: Hannah non è sicuramente la tazza di tè per tutti, come direbbero gli anglofoni, ma nella sua cupezza, in quel senso di oppressione che lascia filtrare la lenta ma tremenda parabola della sua protagonista c’è più che qualcosa da prendere.

Paga senz’altro qualcosa, forse il non aver saputo affondare di più, per esempio, l’aver caricato troppo sulle spalle della Rampling, la quale sarebbe pure in grado se non fosse che manca una certa incisività in termini di scrittura. Sia chiaro, non l’ambiguità, il non chiarire senza possibilità di equivoci i termini della questione, ché anzi è il valore aggiunto del film, bensì il non aver dato la possibilità a questa storia di respirare meglio, per così dire. Anche perché il mood non è forte, anzi, Pallaoro su questo fronte ancora non pare avere acquisito particolare padronanza, anche perché il suo è un approccio molto rigoroso, con pressoché nessun movimento di camera, inquadrature non troppo corte, zero colonna sonora.

Un cinema che comunque di italiano non ha granché, tanto nei pregi quanto nei difetti, il cui elemento di maggior richiamo sta per forza di cose nella sua protagonista, che è il film, senza mezze misure. Pallaoro la espone in tutti i modi possibili, coprendola, scoprendola, facendola sorridere, piangere, adirare, e lei si presta con quella grazia di cui certamente non veniamo messi a parte adesso. Malgrado questo, manca qualcosa, Hannah rischia di passare in sordina sebbene vi fossero i presupposti per qualcos’altro. Un regista che al suo secondo film opta però per una strada del genere, così complessa e impegnativa, non lascia indifferenti.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]

Hannah (Italia/Belgio/Francia, 2017) di Andrea Pallaoro. Con Charlotte Rampling e André Wilms. In Concorso.