Home Notizie Cinerama Dome a Los Angeles a rischio chiusura, cosa può fare Hollywood? – Seconda parte

Cinerama Dome a Los Angeles a rischio chiusura, cosa può fare Hollywood? – Seconda parte

Il legame tra industria e arte messo a dura prova dalla pandemia costringe a dover ragionare su dinamiche già in atto prima di marzo 2020

16 Aprile 2021 17:24

Dopo la prima parte, torniamo a ragionare su quale possa essere la reazione e quale il futuro per Hollywood e la filiera a livello globale. Come ogni rivoluzione, ammesso che quella in atto lo sia davvero, in dote porta aspetti positivi ed altri negativi. Inutile stare qui ad improvvisare percentuali e grafici: allo stato attuale, ciò che possiamo affermare con discreta certezza è che, se qualcosa guadagneremo, altro perderemo. Tutto sta nel capire non tanto se ciò che si guadagna sia abbastanza da compensare la perdita, bensì se limitatamente a quest’ultima fattispecie non afferiscano dinamiche snaturanti. Non si tratterà perciò di fare la conta, guardando ai dati, bensì ragionare sui singoli elementi, per poi comprendere se l’averne perso anche solo uno per strada si sarà rivelato tragico a tal punto che le conseguenze non potranno essere arginate dalle magari numerose novità positive.

Tocca perciò essere lucidi, ed una delle prime constatazioni che s’impongono in tal senso è quella inerente alla parabola pre-marzo 2020. Una valutazione anche solo approssimativa sarebbe sufficiente ad illustrare un assetto in cui, al di là della comunicazione che se ne faceva, lo stato di salute del Cinema, dunque della sala, era già alquanto precario. Non facciamoci irretire da coloro che, da Hollywood, delineano un contesto da Armageddon: per alcuni di loro la tragedia sta nel fatto che, assecondando il sistema vigente fino a un anno fa, non avranno verosimilmente più modo di racimolare un miliardo di dollari o giù di lì col prossimo Marvel. Il che non rappresenta un giudizio di merito, quanto un’affermazione dettata da un briciolo di buon senso e realismo, per cui è bene non confondere il mezzo espressivo col business che comporta, quantunque le istanze di queste due dimensioni, non solo a quei livelli, sovente si mescolino (il che, di per sé, non è affatto un male). D’altronde la sostenibilità dell’industria non rappresenta certo un problema secondario, anzi.

In un’altra occasione ho paventato la possibilità di un cinema diverso, ipotesi che continuo a sostenere, perché fondata sull’impressione che da un lato il Cinema abbia in sé gli anticorpi per sopravvivere anche a questa di svolta, mentre dall’altro è corroborato dall’evidenza circa l’accessibilità alle conoscenze, la cui ampia diffusione potrebbe giocare un ruolo fondamentale in tal senso, sebbene mi guardi bene dal magnificare in tutto e per tutto questa sorta di democraticizzazione del mezzo, che, comunque la si voglia definire, qualche lato oscuro lo cela eccome.

Forse il meccanismo, come ahimè quasi sempre accade in queste fasi di congiuntura più che in ogni altra, potrebbe rivelarsi ancora una volta politico, dunque, in ultima istanza, preminentemente sociale. Quali saranno i film o i generi su cui chi gestirà le piattaforme di distribuzione (che siano quelle attuali oppure le prossime) negli anni a venire si mostrerà meno incline? In altre parole, su chi o cosa cadrà l’interdizione, implicita o meno? E come dovranno ingegnarsi perciò gli autori di questi film pur di mostrare le proprie opere, mediante il ricorso anzitutto a quali mezzi, e poi rivolgendosi a quali canali?

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Mi rendo conto che proporre dinamiche simili presuppone uno scenario vagamente distopico, ma, qualora possa essere di sollievo, giova evidenziare come tutto ciò preceda gli ultimi dodici mesi, essendosi tali dinamiche innescate contestualmente al passaggio da mero ritrovato tecnologico (proiettore) ad Arte. Né, a prescindere, tutto ciò deve sorprendere, poiché è la Storia a dettare ragionamenti di questo tipo; sulle sue pagine è infatti contemplato tutto, e per credere alla riproposizione di certe sue pagine non c’è nemmeno bisogno di scomodare Giambattista Vico. Semplicemente, è la Storia ad insegnarci che, nel momento di massima esposizione di un’epoca, dunque di massima debolezza delle collettività che si trovano a fronteggiarla, chi può ne approfitta, e pressoché sempre con le migliori intenzioni. Che poi a tali intenzioni corrispondano esiti altrettanto positivi, beh, su questo ci sarebbe da discutere, ma lascio volentieri il compito a chi è del mestiere.

Ciò che mi preme invece sottolineare è come il feedback tra produzione di un’opera, ossia il concepirla per poi realizzarla, e la sua successiva diffusione, ovvero dove viene fruita, da chi e come, sia reciproco. E, c’è da pensare, lo sarà in maniera sempre più radicale nell’immediato futuro, la qual cosa va accolta con la giusta distanza, tanto da non farsi travolgere né per via di un ebete entusiasmo, ma nemmeno a fronte di un altrettanto becero senso di disperazione. Se posso permettermi, dunque, inviterei ad essere quanto più curiosi possibile nel decennio che abbiamo davanti; cerchiamo, setacciamo, novelli esploratori, dopodiché confrontiamoci e diffondiamo come farebbe un divulgatore.

La traiettoria la si potrà infatti cogliere, anche se solo approssimativamente, grazie a segnali apparentemente marginali. La vera rivoluzione, che con ogni probabilità, a questo punto possiamo esporci, avverrà, si consumerà lontano dai riflettori, un po’ come accaduto con YouTube: persone da tutto il mondo che pubblicavano video per gioco da casa propria o dal proprio quartiere, così come gli veniva, senza rendersi conto di star contribuendo ad un cambiamento epocale, ossia quello che riguarda il modo in cui noi vediamo il mondo, dunque lo percepiamo. Ciò che guarderemo, infatti, sarà ciò che più di ogni altra cosa tenderà a qualificarci; parafrasando Feuerbach, quindi, siamo (saremo) ciò che vediamo (vedremo). Ma anche come lo vedremo e, ovvio corollario, lo faremo. Per rispondere in conclusione alla domanda da cui ha avuto origine questo nostro approfondimento in due tranche… Hollywood invece cosa può fare? In assoluto, non saprei. Adeguarsi però mi pare la soluzione migliore. Ammesso che da quelle parti siano ancora in grado di leggere davvero i tempi.

Cinerama Dome a Los Angeles a rischio chiusura, cosa può fare Hollywood? – Prima parte

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