Hostel: Parte II è difendibile
Credo che non sia difficile nè parlare male nè parlare bene di Hostel: Parte II; credo anche che non sia impossibile parlare malissimo nel film, ma dubito fortemente si possa urlare al miracolo. Basta guardarsi intorno: più facilmente si riesce a disprezzare il film in questione che a idolatrarlo. Ma si può provare a discuterne
Credo che non sia difficile nè parlare male nè parlare bene di Hostel: Parte II; credo anche che non sia impossibile parlare malissimo nel film, ma dubito fortemente si possa urlare al miracolo. Basta guardarsi intorno: più facilmente si riesce a disprezzare il film in questione che a idolatrarlo. Ma si può provare a discuterne e a vedere i vari punti di vista.
Il nostro dottore ci ha offerto il suo punto di vista, in quel caso negativo, sul nuovo film di Eli Roth con un’ampia recensione in anteprima. Premettendo che il sottoscritto ha apprezzato il film, ma vorrebbe in ogni caso rivederselo per confermare o meno le sue posizioni a riguardo, vorrei provare a spiegare perchè un film come il secondo capitolo di Hostel può essere apprezzato.
E’ stato un insuccesso in patria, e aspettiamo di sapere i dati italiani (ma a dir la verità non c’è da aspettare troppo: nel cinema dove sono andato a vedermi il film mi hanno chiesto i documenti per verificare se avevo più di 18 anni. Detto tutto.). Tuttavia non voglio tornare sul perchè la pellicola non abbia riscosso successo, e neanche sul fatto che Roth abbia criticato tutti meno se stesso. Girava una copia pirata prima della distribuzione del film nelle sale, i critici hanno recensito quella e bla bla: alla fine adesso poco ci interessa.
Iniziamo col dire che Eli Roth è figlio di Quentin Tarantino. Una novità? No di certo. Che sia un “buon figlio”, è da verificare. Non è certo però che lo sia solo perchè appare una “semplice” scritta sulle locandine e ad inizio film, e neanche perchè Quentin è il produttore esecutivo (e si fa citare, ancora come nel primo capitolo, quando nell’ostello degli orrori in tv trasmettono Pulp Fiction). Roth è accomunato col regista di Kill Bill per il suo amore cinefilo, che guarda soprattutto al mito italiano degli anni ’70, ma non solo. Roth ricorda con amore anche gli horror seriali degli anni ’80: non è un caso che Hostel 2 inizi quasi esattamente come L’assassino ti siede accanto, il secondo capitolo dei Venerdì 13, con gli incubi notturni (che fungono da riepilogo) del precedente protagonista, Paxton, l’unico sopravvissuto al primo massacro, che ben presto passerà il timone ad un altro gruppetto di carne-fresca-da-macello. Cita Craven e il suo Il serpente e l’arcobaleno (la castrazione, questa volta davvero ben visibile e completa), e fa fare ai miti seventies italiani ciò per cui sono diventati celebri: la Fenech è una professoressa, Merenda un investigatore, Deodato… un cannibale, in una scena che se la ride dell’Inquisizione. E si autocita quando fa entrare Liliya Malkina, la truccatrice matta, che era la prima vittima dell’assassino di Thanksgiving, che qui fischietta pure come nell’inizio del fake-trailer. Va bene, Roth è narcisista: lo è pure Tarantino, e allora?
Quando però si va ad esprimere un proprio giudizio su un film oggettivamente violento come questo, ci si divide in due categorie: chi è d’accordo sulla violenza o meno. La violenza, se ben sfruttata e con un preciso scopo che non scada nel ridicolo (come tutte le componenti del cinema, in realtà), nell’horror ci sta assolutamente, e a chi lo nega o chi tira in ballo gli snuff (tristezza assoluta) consiglio a vita la filmografia di Jaume Balagueró! E pensare poi che c’è chi ha elogiato un Turistas qualsiasi, che non aveva il coraggio di niente. Cosa che non succede nel film di Roth, che estremizza tutti i suoi discorsi etici ed estetici iniziati con Hostel primo episodio. Se qualcuno ha trovato poca violenza nel film, dovrebbe, secondo il modesto parere di chi scrive, provare a ripensare al film: Hostel 2 è non poco agghiacciante. Forse colpisce meno allo stomaco, ci sono poche torture ed è vero, ma colpisce duro su ben altri fronti. Tralasciando il fatto che il “lavoro” sul povero personaggio della Matarazzo è il migliore, personalmente, dei due film, in una sequenza risolta benissimo, la cosa che colpisce del film di Roth è la sua netta posizione politica. Roth di schiera, e con splatterate e un’ottima dose d’ironia ci parla di noi e della nostra società, e il quadretto che ne esce è inquietante. Roth ci parla della società del consumismo e dell’egoismo, dove imperano il menefreghismo e l’idiozia, e non si salva nessuno: tutti disposti a sfogare le proprie frustazioni, comprando e pagando qualsiasi cosa, in cerca di una minima emozione forte, che sia anche comprare un corpo umano e vederlo piangere e soffrire. La scena dell’asta, che magari può strappare un sorriso, è in realtà uno dei momenti più paurosi (sì!) della pellicola. E quando la giovane protagonista, che ha capovolto la situazione col suo torturatore ed è lei che ha il coltello dalla parte del manico, urla quella frase terribile che è “Mi compro la mia libertà”, perchè tanto ha soldi a palate, un brivido lungo la schiena è come minimo d’obbligo.
Non c’è alcuna speranza, ed è chiarissimo: soprattutto quando a morire è un bambino, quando l’uomo ricchissimo e “buono” diventa in realtà il più sadico dei due, quando la testa di Bijou Phillips viene spaccata a metà da una motosega circolare e il suo torturatore si rende conto di ciò che ha appena fatto e tenta invano di andarsene.
E qualche evidente sbavatura qua e là, un finale volontariamente grottesco che ci/si prende in giro ma poteva anche non starci, un doppiaggio da vomito non tolgono comunque la sensazione continua di sporco, malattia e angoscia che Hostel: Part II può regalare allo spettatore. Povera Beth (la protagonista interpretata da Lauren German): credeva di essersi davvero comprata la libertà, ed invece è rimasta intrappolata in una rete di violenza e sangue, in un circolo vizioso che fa tremare al solo pensiero di quanto sia bestiale l’essere umano. Che non è quella “gente normale, per bene, gente che lavora e che ha dei figli” come dice in modo tristemente superficiale, schierato (dall’altra parte rispetto al film di Roth, lo sappiamo bene) e banalissimo Il giornale, ma è capace di trasformarsi nel mostro più irrazionale che si sia mai visto.