I bambini sanno: recensione del documentario di Walter Veltroni
Opera seconda di Walter Veltroni, I bambini sanno ci porta in viaggio per l’Italia a conoscere l’opinione di alcuni ragazzini e ragazzini, di diversa estrazione, etnia e religione su cosa è il mondo, la vita, ma pure l’aldilà
In questi giorni abbiamo assistito ad un accanimento verso I bambini sanno di Walter Veltroni. Hanno torto? Beh, anche fosse non sta a noi dirlo. Né in realtà è questo il punto. Nel film l’ex-sindaco di Roma intervista, per lo più nelle loro stanzette, una serie di bambini tra i 9 e i 13 anni ci pare di capire. Ecco perciò il primo campanello d’allarme: non sarebbe meglio parlare di ragazzini? Certo, il titolo sarebbe stato di gran lunga meno evocativo (I ragazzini sanno… seh, e chi ci crede?) ma in compenso, suppongo, si avrebbe avuto modo di mitigare le critiche. Forse.
L’impressione è che ad urtare molti sia la visione così utilitaristica di un universo, quello pre e adolescenziale, totalmente ricostruito alla bisogna, stucchevole, senz’altro irreale. Insomma, quasi ci fosse il bisogno di far sembrare questi bambini dei campioni di buonismo, politicamente corretti, aggiornati, oltremodo intelligenti; e poi pretendere che loro rappresentino significativamente la rispettiva fascia d’età in Italia. Alla fine manca solo la scritta: «vedete? C’è ancora speranza per il nostro Paese!».
Prima di domandarsi perché questo pezzo sembri aver preso la piega di una critica alla critica altrui, non è male confortare il lettore sulla bontà di questo processo; per dire che le molte riserve che alcuni hanno espresso, certune in maniera decisamente circostanziata, muovono, a mio parere, da una sorta di illusione tradita. O più illusioni. Ne menzioniamo alcune, cosicché si possa arrivare a dire la nostra, magari accodandosi.
Veltroni è uno che a suo dire il cinema lo ama, sentimento che anche in veste di politico ha concretamente manifestato (in una manifestazione, alla cui creazione ha contribuito). Primo intoppo: perché pensare che il nostro, anche in veste di documentarista, non si stia atteggiando a ciò che ha sempre fatto, ovvero il politico? Ho percepito quasi scorno a volersela prendere con Walter Veltroni senza mezzi termini; giri di parole, anche elaborate, per poi fare a meno, non si capisce il perché, di rivolgergli l’invito a lasciar perdere. Ecco, io, che in sala vi andai consapevole di ciò che stavo andando a vedere (viva il pregiudizio!), non ho mai dubitato che il politico avrebbe prevalso sul regista, sul narratore.
Non si tratta di prendere di mira l’autore de I bambini sanno, ma essendo un prodotto da lui concepito e strutturato in maniera pressoché totale, non si può, come dicono gli anglofoni, far finta di non vedere l’elefante nella stanza. Veltroni ci dice molto di più con un film di quanto riuscirebbe attraverso un comizio, forse addirittura con un libro: tutto sta nel prendere o lasciare. Si può anche deprecare quest’uso del cinema a scopo ideologico prima ancora che politico, ma questo è, e sinceramente certe prese di posizione mi pare tradiscano una finta ingenuità che sa più di moralismo che di affezione al mezzo. Forse.
Altra illusione sta nel credere che un documentario, in quanto tale, fotografi per forza la realtà. O peggio, la verità. Qui sono convinto che molti siano di gran lunga più competenti per credere ad una simile sciocchezza, consapevoli del fatto che anche il documentario è ricostruzione, il cui materiale proviene dalla quotidianità e non dalla mera messa in scena. Perciò perché “meravigliarsi”? Evidentemente forzare la realtà, abbellirla, magari ispirati da un nobile scopo, è parte integrante di ciò in cui Veltroni crede. È questa una colpa?
Non intendo alzare inutilmente l’asticella, ma al contrario di tanti altri ritengo che I bambini sanno vada visto eccome. Qui c’è la storia, o per meglio dire, parte di essa, della nostra politica recente (20-30 anni, ecco quanto recente). Cosa pensano, ma soprattutto come i pensieri di certi politici prendono forma: di questo ci parla il documentario di Walter Veltroni. Convinti che le parole possano dissimulare le intenzioni, ma le azioni no, quelle ci dicono anche troppo del carattere e del temperamento di una persona – e girare un film comporta una serie di azioni. Se c’era quindi bisogno di girare un film come questo, dove un gruppo di ragazzini vengono sottoposti a domande incalzanti l’attualità (cosa ne pensi di Dio? le religioni possono convivere fra loro? gli omosessuali possono adottare? quale destino per questo Paese? ti fa paura la crisi? etc.), anziché guardare il dito che indica bisogna volgere lo sguardo verso la luna. E scoprire che lo scollamento dalla realtà è carattere essenziale, peculiarità quasi, di chi, in un modo o nell’altro, ci ha governato negli ultimi… boh, decenni?
Peraltro, in chiusura, ristabilirei un po’ la dignità degli intervistati, strumentalizzati da molti recensori quasi tanto quanto ha fatto il regista. Che si tratti del ragazzino rom che apre e chiude I bambini sanno, o della ragazzina musulmana che dimostra di non conoscere il Corano (quanti coetanei cattolici conoscono il Vangelo? Eh, Veltroni?), o di quell’altro, al limite con l’autismo, per cui senza la matematica non esisteremmo, non esisterebbe nulla; di quella che «porta una ferita» che non si è rimarginata, ovvero la dipartita del padre giovane; di quel ragazzino napoletano che ha il papà militare, e che lo viene a trovare al campo di calcetto strappando lacrime a profusione; delle due gemelle una delle quali affetta dalla sindrome di Down, che si scambiano segreti e si vogliono un bene dell’anima, o di quello che dopo aver sbattuto la testa ha cominciato a darsi alla grande poesia e alla grande letteratura, da Dante a Dostojevski.
Ecco, mi pare che a tutti questi vada quantomeno riconosciuta la capacità di tener testa e rispedire al mittente la strategia che li vuole “strumenti”, del progresso, dell’ottimismo a tutti i costi, di una politica fuori dalla politica, di quello che vi pare. Poiché nessuno di loro, per quanto “orchestrato/a”, lo/la si riesce a ridurre a esempio, a media; ciascuno di loro irriducibile, unico come solo i bambini sanno essere. Emblematico è il loro essere ignari di quanto stia avvenendo, più per inesperienza che altro; non gridano, non strepitano, non s’adirano, e parlano: alcuni quanto parlano! Li si vorrebbe tutti innocenti, “buoni”, a modo, ed invece non è così. Nonostante il filtro della macchina da presa prima e del montaggio dopo, gli intervistati ci fanno capire che l’argomento è ben più complesso di quello che credono certi adulti. Compresi i genitori, ai quali si deve la loro presenza nel film. Forse è vero perciò che loro “sanno”, sebbene molti adulti dimostrano di non esserne altrettanto consapevoli.
I bambini sanno (Italia, 2015) di Walter Veltroni. Nelle nostre sale da giovedì 23 aprile.