I, Frankenstein: Recensione in Anteprima
Aaron Eckhart nei panni di un Frankenstein riveduto in questo tentativo maldestro di attualizzare se non la storia, il personaggio di Shelley. I, Frankenstein ci porta nel bel mezzo del millenario scontro tra Bene e Male
Da quanto tempo non si vedevano i Gargoyle! Quelle grottesche statue di marmo poste a presidio di certe imponenti cattedrali gotiche, e che non lasciarono indifferente nemmeno la Disney, che anni fa dedicò loro pure una serie TV. In I, Frankenstein ci sono anche loro. Anche.
L’operazione ha intenti tutt’altro che mediocri, sebbene tra le aspettative ed il risultato vi siano delle incongruenze. L’abominio partorito dalla mente del dottor Frankenstein ha sopravvissuto fino ai giorni nostri. Dopo un rapido excursus inerente a quanto avvenuto in passato, la creatura assemblata si ritrova ai giorni nostri senza meta e senza obiettivo. Quello che pare di capire ben prima che tale elemento si manifesti è che in fondo Frankenstein (che qui si chiama Adam), scontroso e solitario, sia in cerca di un’anima.
Interessante il discorso imbastito da Stuart Beattie, che pur non puntando ad alcuna speculazione di sorta, evoca con disinvoltura la dicotomia tra Bene e Male, ponendo al centro proprio il protagonista, eroe super partes il cui unico “delitto” è quello di trovarsi nel bel mezzo di una battaglia millenaria. Da un lato, come già accennato, i Gargoyle, un ordine celeste voluto da Dio sotto l’egida di San Michele Arcangelo; dall’altra i demoni, il cui ricco capo possiede, tra le altre cose, un laboratorio da fare invidia ai più avanzati centri di ricerca. Oggetto della contesa il quaderno degli appunti del dottor Frankenstein. Lì vi è il segreto della vita, quella creata dall’uomo e non da Dio.
Temi alti, quantunque è bene ripetere che la Beattie si tiene basso e preferisce servirsi di tutto ciò come sfondo ad un’opera essenzialmente d’azione in salsa fantascientifica. Tutto bene dunque? Non esattamente. I, Frankestein è un film pressoché interamente basato sulla computer grafica, il cui livello, nonostante tutto, non è eccelso. Non sapremmo dare ragione dei costi, ma 68 milioni di dollari non sono pochi e forse, date le condizioni, sarebbe stato più saggio puntare meno su una CGI così invasiva, che non a caso ha richiesto un lavorone.
Tuttavia trattasi di imperfezioni accettabili. Le magagne più rilevanti emergono laddove ci si sofferma su altre componenti. Affermare che I, Frankestein sia votato all’azione non significa semplicemente trovare qua e là, sparsi, momenti di siffatto tenore al suo interno: la scommessa è proprio quella di puntare tutto su tale vocazione. Sì perché francamente la sceneggiatura è molto povera, discutibile persino nei cliché da cui attinge a piene mani. La scienza nelle mani del Male, in opposizione al Bene che non vuole che il “vaso di Pandora” venga scoperchiato. Tutti cinici, privi di quella caratteristica che meglio li qualifica, ossia il possedere un’anima (ritorna l’incipit).
Sin dall’inizio si scorge l’intento di aver concepito la narrazione come il lungo dipanarsi di questo viaggio alla ricerca di sé stesso da parte Adam/Frankenstein, il cui nome (Adam, per l’appunto) rimanda a quella condizione primigenia, al di là del Bene e del Male. Sì, tutto molto accademico, molto filosofico. Ma qui è la sostanza che si cerca, diranno alcuni. Reggono gli scontri? A tratti. Certi passaggi non lasciano indifferenti, specie quelle panoramiche dall’alto che danno sulla sconfinata città con al centro la maestosa Cattedrale, sede dei Gargoyle, mentre le due fazioni si battono in volo.
Il resto è come un petardo bagnato. Del tutto assente quella vaga epicità alla quale nonostante tutto gli autori sembrano richiamarsi; d’altra parte parliamo della guerra per eccellenza. Adam manca di qualsivoglia presa, senza nemmeno scomodare il tanto inflazionato carisma, qui del tutto assente. D’altra parte è un Frankenstein decisamente sui generis quello interpretato da Aaron Eckhart: capello sempre in ordine, fisico statuario e aria da eroe consumato. Difficile scalfire l’immaginario di un personaggio così famoso, e quando ci si prova si deve essere più o meno convinti di riuscire ad offrire una variante quanto meno interessante. Nulla di tutto ciò.
Lo stesso Bill Nighy, che da queste parti apprezziamo e stimiamo, si imbarca nell’ennesimo progetto dal dubbio potenziale. Il suo è un cattivo, Naberius, sin troppo standard, da minimo sindacale, nonostante la solita, immancabile classe che contraddistingue l’attore britannico. La struttura mutuata da certe formule marcatamente videoludiche, inoltre, non fa che aggiungere un ulteriore ingrediente che alla fine della fiera risulta di troppo. Se ne ha la percezione specie in quel frangente in cui Adam affronta gli scagnozzi di Naberius; passaggio preso di peso da un picchiaduro a scorrimento a caso e girato così come si vede in una qualunque cut-scene di queste produzioni.
Troppo poco e per niente amalgamato, insomma. Sì perché procedendo su questa strada potrebbe pure saltar fuori la presenza della scienziata top-model (Yvonne Strahovski), la migliore nel suo campo, che fa specie non tanto perché oltremodo attraente quanto per la sua giovane età e già sulla cresta dell’onda. Cliché, come dicevamo, che non sono mai disprezzabili a priori ma che impongono una maggiore attenzione allorquando va trovata una collocazione ai vari elementi. Sennò si finisce col sottoporre lavori monchi, in cui si finisce peraltro a prodursi in metafore pedanti come quella che segue: I, Frankestein è come il suo protagonista; una creatura interamente ricostruita raccogliendo parti del corpo di vari cadaveri. Ma soprattutto senz’anima.
Voto di Antonio: 4
I, Frankenstein (USA, 2013) di Stuart Beattie. Con Aaron Eckhart, Bill Nighy, Yvonne Strahovski, Miranda Otto, Jai Courtney, Socratis Otto, Caitlin Stasey, Mahesh Jadu, Kevin Grevioux, Steve Mouzakis, Aden Young, Deniz Akdeniz, Chris Pang, Virginie Le Brun, Angela Kennedy, Samantha Reed, Goran D. Kleut e Amanda Dyar. Nelle nostre sale da oggi, giovedì 23 gennaio.