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I lossens time – The Hour of the Lynx: Recensione in Anteprima

L’inspiegabile strage di un giovane dal misterioso passato mette in discussione le esistenze di una religiosa e di una scienziata. Su questo incontro e sui suoi risvolti si sofferma I lossens time – The Hour of the Lynx

pubblicato 11 Dicembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 06:18

In una delle innumerevoli lande desolate della Scandinavia, un giovane vestito in maniera inadeguata per le temperature gelide del luogo cammina lungo una strada innevata e senza fine. Finché non approda dalle parti di un piccolo focolare, puntino in mezzo al nulla. I due anziani proprietari decidono di farlo entrare: sarà la fine. Poco dopo la polizia troverà i corpi di marito e moglie abbracciati sul divano che dà su una finestra, con le teste fracassate. Il giovane (Frederik Johansen), da par suo, nel capanno ricoperto di benzina mentre tenta in vano di darsi fuoco. Inizia così The Hour of the Lynx.

Non stupisce dunque, a distanza di qualche tempo, trovare il giovane in un manicomio criminale, costretto a vita in quel luogo cupo come non mai, dove la speranza non ci prova nemmeno ad oltrepassare la porta d’entrata. Lisbeth (Signe Egholm Olsen) è una psichiatra che in quella stessa struttura porta avanti uno studio con il quale tenta di dimostrare quanto la presenza di un animale possa incidere nella psiche degli “ospiti” accomunati da questo estemporaneo e costante istinto omicida. Dati i rimandi del giovane a Dio e al fatto che Quest’Ultimo gli avrebbe ordinato di suicidarsi, Lisbeth decide di contattare un prete. Anzi una “pretessa“, Helen (Sofie Gråbøl), che esercita il proprio sacerdozio in un paese vicino, decide di interessarsi alla vicenda: quella che la cambierà per sempre.

The Hour of the Lynx dispone di un incipit per nulla malvagio. La contrapposizione, nient’affatto velata, tra scienza e fede pone l’andamento del film su un certo binario sin dalle battute successive al prologo. Anche qui però, esattamente come nel già discusso Devil’s Knot, si tratta per lo più di un depistaggio. È evidente che il vero mistero da svelare è il perché il giovane abbia commesso quel duplice, efferato omicidio in quella gelida notte; ma non nei termini in cui da principio è posta la questione.

Allorché, dopo aver (per così dire) apparecchiato tutto in maniera invitante, la narrazione comincia a risentire di qualche inceppo. Il problema è che a quel punto non siamo nemmeno a metà del film, che da lì in avanti pare trascinarsi come se quel buco tra la premessa e la risoluzione fosse stato colmato in maniera frettolosa e pure tediosa. La parte centrale della storia è infatti costellata di questi dialoghi a due, ora tra la dottoressa e la prete, ora tra quest’ultima e una guardia. Il tutto con il logico scopo di risalire poco alla volta alla verità, passaggio dove la vicenda rischia più e più volte di perdersi, lenta e priva com’è di elementi tali da tenere desta l’attenzione.

Non sfugge il tentativo di delineare, sebbene per sommi capi, la sofferenza interiore non solo del misterioso giovane, ma anche di Lisbeth ed Helen, tutti e tre in fondo deboli oltre ogni apparenza. Eppure, e qui il film si riappropria di una certa, interessante dimensione, le dinamiche tra questi tre personaggi risultano ben amalgamate, mai forzate nonostante le geometria con cui si influenzano a vicenda. Forse è proprio tale elemento a conferire quel grado di freddezza che tende a tenerci alla larga; sensazione acuita da quella che senz’altro rappresenta la parte più bella del film, ovvero la messa in scena di un fortunato e decisivo ricordo del giovane, relativo al periodo che più interessa in termini di esigenza narrativa.

Tali sequenze non mettono soltanto a posto pressoché ogni cosa, ma si distinguono per la spontaneità con la quale si lasciano cullare da quel non so che di poetico. Qui sembra di vedere trasposto il risultato di una lezione di Malick, con le dovute proporzioni: macchina da presa più libera e montaggio costruito sulla scia dei ricordi e non della mera concatenazioni di fatti. Scelta che ha assolutamente il suo perché, dato che The Hour of the Lynx, a posteriori, necessita di questo stacco così netto tra un presente lacerante per via di un meraviglioso passato all’interno del quale si è rimasti intrappolati. E come sempre a farne le spese è il primo, non il secondo. Peccato che per arrivare a questa conclusione si arranchi non poco.

Voto di Antonio: 5,5

I lossens time – The Hour of the Lynx (Danimarca, 2013) di Soren Kragh-Jacobsen. Con Sofie Gråbøl, Signe Egholm Olsen, Frederik Johansen, Pelle Falk Krusbæk, Søren Malling, Lia Boysen, Borje Ahlstedt, Jens Jørn Spottag, Julie Carlsen, Frederik Christian Johansen, Donald Högberg, Nis Bank-Mikkelsen, Barbro Enberg, Henrik Birch, Susan Olsen e Rasmus Elton.