I miei giorni più belli: recensione in anteprima del film di Arnaud Desplechin
Festival di Cannes 2015: il ritorno in piena forma di Arnaud Desplechin, che con My Golden Days (Trois souvenirs de ma jeunesse) firma un coming-of-age originale e stratificato, e una storia d’amore intensa. Sorprendentemente non in concorso, ma presentato all’interno della Quinzaine des Réalisateurs.
Che bello ricevere in regalo un bellissimo film di un regista molto amato dopo che il precedente era stato uno scivolone. My Golden Days (il titolo originale è Trois souvenirs de ma jeunesse) arriva dopo l’esperienza anglofona di Arnaud Desplechin con Jimmy P., che pareva sin da subito fuori dalle corde del regista.
Invece questo suo ultimo lavoro è Desplechin allo stato puro. Forse perché si tratta di un film francese fino al midollo: nulla di male, anzi. Lasciamo fare agli autori quello che sanno fare meglio e dove lo sanno fare meglio, se questo è il risultato. Anche perché My Golden Days è tra i suoi film davvero più ispirati, ricchi, sentiti.
Paul Dedalus si prepara a lasciare il Tajikistan per tornare in patria, in Francia, ma viene fermato prima di poter prendere l’aereo. Inizia così a dover rendere conto della sua storia privata a un uomo che lo sta misteriosamente interrogando. L’uomo quindi ricorda l’infanzia a Roubaix e gli attacchi di follia della madre, ricorda la sua morte e la sofferenza del padre.
Ricorda del legame con il fratello Ivan e la sorella Delphine. Ricorda anche di quando aveva 16 anni, di quel viaggio nell’USSR che lo portò a regalare la sua ‘identità’ a un giovane desideroso di andare in Israele. E infine ricorda di quando aveva 19 anni, di suo cugino Bob che scappò di casa da una madre troppo protettiva, delle feste con l’amica Penelope, degli amici Mehdi e Kovalki, gli studi a Parigi, della sua vocazione per l’antropologia.
Però, nel suo cuore e nella sua testa, uno spazio gigantesco è riservato solo a lei, la ragazza che aveva addocchiato per anni e che solo dopo molto tempo ha avuto il coraggio di avvicinare: Esther. Il grande amore della sua vita, con la quale avrà una relazione passionale, forte, intensissima, e che in un modo o nell’altro non potrà mai dimenticare.
Malinconico, energico, incredibilmente romantico. Questo è il Desplechin di My Golden Years. Che è un lavoro innanzitutto sorprendente per la sua struttura. Non si riesce a entrare subito nel film. Desplechin ha bisogno di dividerlo in tre capitoli e una chiusa finale. Il primo, il più breve, è dedicato all’infanzia di Paul. Il secondo, un pochino più lungo, è dedicato al suo viaggio in Russia.
Poi c’è il capitolo lungo, che occupa molto più di metà film, e che ha un titolo inequivocabile: Esther. Per arrivare qui ci sono voluti per forza i precedenti capitoletti, perché hanno cambiato Paul per sempre. Ora non riesce più a stare fisso a Roubaix. Va a studiare a Parigi, ma torna spesso a casa per visitare la famiglia, gli amici e soprattutto l’amata fidanzata.
Le difficoltà nel mantenere il rapporto non sono poche: ci sono la distanza, il carattere sempre più fragile di Esther, gli amici che potrebbero non essere gli stessi. Ma l’amore resiste, anche a lunghe e costanti lettere che i due si scambiano giorno dopo giorno quando sono separati. Nel film c’è molta roba in più che si accumula e accumula, con gran piacere dello spettatore, che si gode un coming of age fuori dalle righe e molto stratificato.
C’è il toccante rapporto tra Paul e la Presidentessa della sua Facoltà, ci sono le storie private di tutti gli amici che ruotano attorno, ci sono i fantasmi del passato, i pericoli… Ricordi e ricordi di quei “giorni dorati” che non torneranno più. My Golden Days ci dice qualcosa di profondo sulla (nostra) paura di restare prima o poi soli con questi ricordi. E infatti non è un film in cui una storia d’amore è inserita dentro un contesto ben preciso: pare infatti una storia d’amore a cui attorno ruota un contesto, e l’effetto è ben diverso.
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”8″ layout=”left”]
My Golden Days (Trois Souvenirs de ma jeunesse, Francia 2015, drammatico 123′) di Arnaud Desplechin; con Quentin Dolmaire, Lou Roy-Lecollinet, Mathieu Amalric, Dinara Drukarova.