Stasera in tv: “Il bambino nascosto” con Silvio Orlando su Rai 3
Rai Tre in prima serata propone “Il bambino nascosto”, il dramma di di Roberto Andò con Silvio Orlando, Giuseppe Pirozzi, Lino Musella, Imma Villa e Roberto Herlitzka.
Il bambino nascosto, su Rai 3 il film di Roberto Andò con Silvio Orlando che ha chiuso fuori concorso la 78a edizione del Festival di Venezia, liberamente tratto dall’omonimo romanzo del regista.
Il bambino nascosto – Cast e personaggi
Silvio Orlando: Prof. Gabriele Santoro
Giuseppe Pirozzi: Ciro
Lino Musella: Diego
Imma Villa: Angela Acerno
Salvatore Striano: Carmine Acerno
Roberto Herlitzka: Massimo Santoro
Tonino Taiuti: Nunzio
Alfonso Postiglione: Alfonso De Vivo
Claudio Di Palma: Antonio Alajmo
Sergio Basile: Vincenzo Mezzera
Enzo Casertano: D’Alterio
Francesco Di Leva: Biagio
Gianfelice Imparato: Renato Santoro
Il bambino nascosto – Trama e trailer
Gabriele Santoro vive in un quartiere popolare di Napoli ed è titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella. Una mattina, mentre sta radendosi la barba, il postino suona al citofono per avvertirlo che c’è un pacco, lui apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia. In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si insinua nel suo appartamento e vi si nasconde. “Il maestro”– così lo chiamano nel quartiere – se ne accorgerà solo a tarda sera. Quando accade, riconoscerà nell’intruso, Ciro, un bambino che abita con i genitori e con i fratelli nell’attico del suo stesso palazzo. Interrogato sul perché della sua fuga Ciro non parla. Nonostante questo, il maestro, d’istinto, decide di nasconderlo in casa, ingaggiando una singolare, e tenace, sfida ai nemici di Ciro. Scoprirà presto che il bambino è figlio di un camorrista e che, come accade a chi ha dovuto negare presto la propria infanzia, Ciro ignora l’alfabeto dei sentimenti. Silenzioso, colto, solitario, il maestro di pianoforte è uomo di passioni nascoste, segrete. Toccherà a lui lo svezzamento affettivo di questo bambino che si è sottratto a un destino già scritto. Una partita rischiosa in cui, dopo una iniziale esitazione, Gabriele Santoro si getta senza freni.
Curiosità sul film
- Il regista e documentarista Roberto Andò ha diretto anche Viva la Libertà basato sul romanzo “Il trono vuoto”, Le Confessioni e Una Storia Senza Nome anche questi basati su romanzi dello stesso Andò.
- La sceneggiatura de “Il bambino nascosto” è di Roberto Andò e Franco Marcoaldi da un soggetto di Andò (romanzo) e Franco Marcoaldi.
- Il team che ha supportato Roberto Andò dietro le quinte include il direttore della fotografia Maurizio Calvesi (Una storia senza nome), la montatrice Esmeralda Calabria (Favolacce), la costumista Maria Rita Barbera (Le Confessioni) e lo scenografo Giovanni Carluccio (Viva la libertà).
Gabriele Santoro, professore di pianoforte al conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, ha l’abitudine di radersi declamando una poesia. Una mattina, il postino suona al citofono per consegnare un pacco, lui apre la porta e, prima di accoglierlo, corre a lavarsi la faccia. In quel breve lasso di tempo, un bambino di dieci anni si intrufola nel suo appartamento. Il maestro – così lo chiamano nel problematico quartiere di Forcella dove abita – se ne accorgerà solo a tarda sera, quando riconosce nell’intruso Ciro, il figlio dei vicini di casa. Interrogato sul perché della sua fuga, Ciro non parla. Il maestro di piano, d’istinto, accetta comunque di nasconderlo: Gabriele e il bambino sanno di essere in pericolo ma approfittano della loro reclusione forzata per conoscersi e riconoscersi. Il bambino è figlio di un camorrista, viene da un mondo criminale che lascia poco spazio ai sentimenti, e ora un gesto avventato rischia di condannarlo. Il maestro di pianoforte è un uomo silenzioso, colto, un uomo di passioni nascoste. Toccherà a lui l’educazione affettiva del piccolo ribelle. Una partita rischiosa nella quale si getterà senza freni sfidando i nemici di Ciro, sino a un esito imprevedibile in cui a tornare saranno i conti tra la legge e la vita. Dopo Il trono vuoto (Premio Campiello Opera Prima), Roberto Andò scrive un romanzo con il ritmo serrato di un giallo, ambientato in una Napoli ritrosa e segreta. Un incontro folgorante, una storia di iniziazione e paternità, che ha lo sguardo luminoso di due personaggi indimenticabili, un maestro di pianoforte e un bambino.
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Note di regia
Una storia che si svolge a Napoli, in pochi metri quadrati, quelli dell’appartamento in cui un maestro di pianoforte tiene nascosto un bambino che non conosce. Pochi metri in cui si misurano il senso profondo della vita e la possibilità di amare e di essere amati. Il bambino è figlio di un camorrista e, come accade quando l’infanzia è negata, ignora l’alfabeto dei sentimenti. Il maestro di pianoforte è un uomo silenzioso, colto, solitario. Un uomo di passioni nascoste, segrete. La musica è il suo demone, la sua misura. Toccherà a lui lo svezzamento affettivo di un bambino difficile, un ribelle. Una partita rischiosa in cui, dopo un’iniziale esitazione, si getterà senza remore. Alla fine, come tutte le vere storie d’amore, anche quella col bambino è difficile ma non impossibile, una storia di filiazione o di paternità in cui trovare il senso di una vita. E’ una storia che ho affidato a un attore “dell’anima” come Silvio Orlando, affiancato dal bambino di grande talento, Giuseppe Pirozzi. Ora che il film è finito posso dire anch’io, come Truffaut, che girare con i bambini “è una grande tentazione prima, un grande panico durante, un’immensa soddisfazione dopo”. [Roberto Andò]
Intervista a Roberto Andò e Silvio Orlando
“Come è nato questo film?”
ROBERTO ANDO’: E’ il risultato di una libera trasposizione del mio romanzo “Il bambino nascosto” pubblicato un paio di anni fa da La nave di Teseo. Quando scrivo un romanzo non penso mai alla possibilità di adattarlo per il cinema, ma com’era successo per Il trono vuoto, vari amici, dopo averlo letto, mi hanno detto che sembrava fatto per diventare un film. E così ho cominciato ad accarezzare l’idea, ma mi sono fatto aiutare da uno scrittore e poeta come Franco Marcoaldi. L’ispirazione è la stessa del libro, ma il film ha un finale totalmente diverso. Quando si legge un romanzo ognuno immagina i personaggi come vuole, nel caso di un adattamento cinematografico è il regista che deve dare loro un volto, e per me ha contato molto il piacere di far vivere sullo schermo i due protagonisti affidandoli a un attore di grande talento come Silvio Orlando e a un bambino sconosciuto come Giuseppe Pirozzi.
“Che cosa viene raccontato in scena?”
RA: Io e Marcoaldi abbiamo riadattato la storia di Gabriele Santoro (Silvio Orlando), un solitario e malinconico insegnante di musica sessantenne, titolare della cattedra di pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella, un borghese che ha deciso di trasferirsi in un quartiere difficile di Napoli – nel romanzo era Forcella, nel film è Mater Dei – una scelta eccentrica compiuta per allontanarsi dalle proprie origini. Una mattina, mentre si sta facendo la barba, Santoro apre la porta al postino che ha suonato al citofono e prima di accoglierlo corre a lavarsi la faccia. In quei brevi momenti, un bambino di dieci anni (Giuseppe Pirozzi) si introduce in casa furtivamente e vi si nasconde. Il “maestro” si accorgerà della presenza dell’ospite inatteso soltanto la sera e riconoscerà in lui Ciro, un ragazzino che abita con i genitori e con i fratelli al piano di sopra. Interrogato sul perché della sua fuga, il bambino, scontroso e taciturno, non gli darà nessuna risposta. Vedendolo terrorizzato, il pianista, d’istinto deciderà di sfidare il pericolo e tenerlo nascosto in casa.
“Come e perché ha scelto Silvio Orlando?”
RA: Conosco da tempo Silvio e lo avevo già diretto in teatro anni fa nel “Dio della carneficina” di Yasmina Reza. Penso che sia arrivato a una maturità esemplare. E’ un grandissimo attore e ho pensato subito che sarebbe stato giusto per questa storia. Il suo volto tenero e dolente, buffo e profondo, mi ha subito restituito i tratti di Gabriele Santoro. La grandezza di un attore come Orlando è nella capacità di raccontare una dimensione umana ferita, dimessa, con un’apertura grandiosa e imprevedibile di riscatto. Silvio porta con sè una specie di smorfia dolente che al momento opportuno diventa vitale e racconta un calore umano inarrivabile, una grande capacità di amore. Questa sensazione si avverte in tutto il film e lui l’ha interpretato con grande rigore e con un’enorme capacità sottrattiva.
“Come è stato coinvolto in questo progetto?”
SILVIO ORLANDO: Nel più classico dei modi, quando Roberto Andò e il produttore Angelo Barbagallo mi hanno mandato il copione l’ho letto e subito dopo li ho chiamati e ho risposto “io ci sono”. Non capita molto spesso in una carriera di avere a disposizione un personaggio ricco e sfaccettato come quello che mi veniva offerto.
“Chi è il Gabriele Santoro che interpreta e che cosa gli accade in scena?”
SO: Si tratta di un professore di musica sessantenne molto colto e molto solitario che appartiene a un ceto alto borghese anche se lo ha ripudiato, insegna al Conservatorio e vive in un palazzo alla Sanità, in un appartamento al piano inferiore di quello di una famiglia camorrista. Il divario enorme tra il professore erudito, che vive in una sua dimensione artistica, e una famiglia di malavita che abita al piano di sopra è il cuore del film che viene raccontato portando in scena un punto di vista borghese all’interno del cuore pulsante della città. Santoro è andato a vivere nel difficile quartiere della Sanità rintanandosi lì dopo aver rifiutato il ceto sociale da cui proviene, e spia la vita di quella specie di formicaio brulicante in un luogo dove si può nascondere e restare il più inosservato possibile, un contesto che non prevede la sua presenza in cui lui può essere e restare invisibile, un semplice spettatore di quello che succede.
“Che cosa l’ha fatta amare il suo Gabriele Santoro?”
SO: E’ un personaggio che aspettavo da tempo, mi è apparso completo nel suo essere molto “giocato” anche sui silenzi, nel mio lavoro ho notato come si tenda a sopravvalutare la parola mentre invece i silenzi e le pause contengono spesso più verità e ti permettono di raccontare molto di più. Santoro vive da solo ed è molto introverso e viene fuori quindi un forte contrasto tra la sua introspezione e la furia disperata e violenta della vita che pulsa fuori dalla finestra e dalla porta del palazzo in cui lui vive: confrontarmi con un una simile occasione ha rappresentato una fantastica opportunità che mi ha consentito di attingere a tutto quello che ho imparato negli ultimi anni, portandomi in qualche modo a “restituirlo” in scena.
“Che tipo di relazione ha con gli altri personaggi il maestro che lei interpreta?”
SO: Devo premettere che sono stato molto aiutato in scena dalla presenza di un cast che rappresenta una sorta di Accademia del teatro napoletano più recente, penso a Lino Musella, Salvatore Striano, Imma Villa, Francesco Di Leva, Tonino Taiuti, il meglio della scena partenopea del momento insomma. Ho cercato di raccontare la distanza, quella sorta di schermo di cui parlava Raffaele La Capria nel suo meraviglioso saggio “L’armonia perduta”: a Napoli mancano gli strumenti e i linguaggi per parlare con quel popolo, con quella plebe ingovernabile che fa vita a sé e Santoro, pur vivendo all’interno della Sanità, non ha il linguaggio adeguato per comunicare con la gente che vi abita, un linguaggio che non è solo verbale ma un modo di stare al mondo: è come se lui avesse sempre un suo distacco, un diaframma rispetto all’universo che lo circonda. È olio nell’acqua.