Il cinema italiano di oggi non è buttare ma le retrovie (?) sono molto peggio
Italo Moscati ci racconta la situazione del cinema italiano di oggi.
Sta per cominciare il RomaFilmFest, fra poco ci sarà il TorinoFilmFest; e non fanno né fest né fest gli incassi e i consensi per i film italiani venuti a noi, popolo, dopo la Mostra di Venezia. Sembra persino che si diverta l’amico Marco Giusti nel ripetere su Dagospia la solfa (non infondata) sui conti faticosi, stentati al botteghino.
Le faccende non vanno bene neanche sotto l’aspetto politico, in particolare per le film commission sotto accusa a torto o a ragione in varie regioni; e per il nesso sempre più stretto fra politici e responsabili di festival, istituzioni e organizzazioni del cinema governate o sgovernate a distanza da personaggi di partito assurti ai ruoli di potere.
E’ una situazione pesante. Non nuova. Che però trova, nel clima generale di chiamata in causa di responsabili sul piano politico generale, un terreno fertile. Come pure, nel clima di fine della seconda (?) repubblica, gli stessi primatori si sentono tirati per la giacca e cercano di dire la loro.
Di recente sul “Corriere della Sera” è stata pubblicata una lettera al giornale di Riccardo Tozzi, produttore, presidente dell’Anica (l’organizzazione di categoria), ex Rai, ex Mediaset, benvoluto sia a destra che a sinistra. Tozzi cercava di rispondere in modo diffuso a un articolo di Pier Luigi Battista che, prendendo spunto dai fatti del Lazio e delle nomine nel cinema (RomaFilmFest) espresse dai massimi livelli della Regione, la governatrice in uscita Polverini, lamentava una ripetuta, abituale, circostanza, visibile e protetta come invisibile: i potenti politici intervengono regolarmente, capillarmente, negli ordinamenti del cinema e della loro pratica, suggerendo, consigliando, imponendo scelte.
Tozzi ha ribattuto con una elencazione di meriti del cinema, sia dal punto di vista della produzione, del mercato e della qualità. Non ha torto. Il cinema italiano sta meglio come incassi rispetto ad anni fa, sta cercando autori nuovi e alcuni li ha trovati, e li sostiene (Sorrentino, Garrone); molti giovani compaiono, pur in mezzo a mille difficoltà.
Battista ha replicato con duer righe salate rilevando che le (troppe) parole di Tozzi non aiutano a sbrogliare la matassa dei rapporti tra cinema e politica. Chi ha ragione? Forse tutti e due.
Ma ciò che salta agli occhi è l’impasse di una situazione che da qualsiasi parte la si prenda non sembra oggi sanabile. Anzi. Circola un’atmosfera di depressione e di scarsità di idee.
Salta agli occhi il fatto che il cinema è, in ogni senso, in mano alla politica. La politica interviene e trova ascolto in quella che è una vera e propria corporazione. Negli enti pubblici, nelle scelte nella miriade di festival (che spesso martirizzano il nostro bel Paese), nei luoghi piccoli o grandi di potere con voce in capitolo si trovano o ritrovano soltanto figure apparentate con partiti o aree politiche, anzi partitiche. Girano come trottole da un posto all’altro, da una poltrona all’altra.
I nomi sono sempre gli stessi o di cooptati da chi ha interesse ad avere o a creare eredi. Tutto ciò avviene in silenzio, con la copertura o la complicità o la solidarietà delle categorie, comprese quelle dei giornalisti o dei critici che seguono nella situazione guastata la bussola non della politica ma della politicanza, dell’adeguamento, senza pudori.
Sono anni che le cose vanno avanti così e si sono talmente raffinate nel cercare e avere successo, con manovre e manovrine, che pare impossibile cambiarle. Con un paradosso: ieri l’altro, con il fascismo, il cinema “era”, e lo era, uno strumento del potere; con l’antifascismo, ieri, il cinema con i grandi autori e con i grandi “generi” popolari, aveva conquistato movimento e libertà; appena ieri e oggi il languore, anzi le doglianze per gli incassi in sofferenza, per il pubblico che si disaffeziona, per autori che copiano la tv e fanno film disertati, dominano, in modo incontrastato. Di qui la nostalgia, come dicono i parroci del cinema dai pulpiti del potere, per un mondo, no, non un mondo, ma un cinema migliore.
Febbre da cavallo, vien da dire ricordando il celebre film comico con Gigi Proietti. Ma i responsabili, tutti, i termometri veri- la disaffezione, la povertà di idee, le vedute mini minimaliste – non li guardano neppure.