Il debutto della bellezza, davanti a un pubblico di giovani, è andato bene
Cito l’articolo di un critico che ha assistito alla prima proiezione di “1200 km di bellezza”, perché costituisce la prova di come il cinema consente di capire un paese dal pubblico che vuole sapere
Con una certa emozione mi ero mescolato al primo pubblico per il film 1200 km di bellezza che ho realizzato per Cinecittà Luce: una prima proiezione alla Scuola Superiore dell’Università di Catania, con la presenza di Roberto Cicutto, presidente dell’Istituto Luce, produttore del film; di Francesco Priolo, presidente della Scuola Superiore; e di Lina Scalisi, docente, conduttrice dell’incontro, svoltosi il 23 novembre a Catania. L’emozione si è moltiplicata in emozioni, fino all’accoglienza festosa e generosa del giovane pubblico. Ma lascio lo spazio restante all’articolo di Sergio Sciacca che è stato pubblicato il 25 novembre su “La Sicilia”, importante quotidiano dell’isola.
E’ stato presentato ieri pomeriggio, alla Scuola Superiore dell’Università di Catania, “1200 km. di bellezza”, creazione cinematografica del regista e scrittore Italo Moscati prodotta dall’Istituto Luce che ha messo a frutto i suoi vastissimi archivi dove si concentrano 90 anni di vita italiana (l’Istituto fu fondato nel 1924) colta attraverso l’obiettivo dal tempo del bianco e nero fino ai nostri giorni del digitale.
A presentarlo e discuterne c’erano il prof. Francesco Priolo che, come presidente della Scuola superiore, ha dato il benvenuto ai convenuti; il prof. Orazio Licandro, assessore alla Cultura, che ha sviluppato illuminanti considerazioni tra cultura, bellezza e morale; la prof. Lina Scalisi, cattedratica di storia che ha messo a fuoco il rapporto sempre più malfermo tra la bellezza -naturale o artistica- del nostro Paese e lo scempio che se ne è consumato negli ultimi decenni (abbiamo 5 milioni di case inutilizzate, perché non necessarie). Tre docenti universitari di grande rilievo e di varie pertinenze scientifiche concordi nel riconoscere l’importanza della consapevolezza artistica di cui la sottocultura e l’affarismo ha fatto scempio.
Per la produzione del filmato erano presenti Roberto Ciccuto (presidente dell’Istituto Luce) appena rientrato da un viaggio nelle Americhe dove sta facendo conoscere, con grande successo, quella “nuova onda” della rinnovata cultura del Bel Paese; e il realizzatore, Italo Moscati, autore del soggetto e della sceneggiatura, autentico artista nel senso rinascimentale del termine. Entrambi hanno anticipato poche parole prima della proiezione del film e della discussione conclusiva. Siccome questa opera è un contributo decisivo, che va oltre le consuetudini della informazione effimera, ne diamo con qualche dettaglio le caratteristiche.
I 1200 km del titolo sono quelli che separano la nostra costa sul mar d’Africa dalle cime del displuvio alpino. Per la verità le immagini partono dalla “quarta sponda” libica che occupata da Roma varia¬mente è stata in rapporto strettissimo con la civiltà meridionale e specialmente con la Sicilia. Tema che potrebbe suscitare qualche risentimento presso osservatori di corta vista. L’unicità della civiltà mediterranea, analizzata da Ferdinand Braudel in un capolavoro della storiografia moderna (alla qua¬le gli storici etnei sono assai legati) è accertata da assai prima della civiltà Libico-Punica e quotidianamente ne vediamo gli sviluppi. Varcato il Canale di Sicilia lo sguardo della macchina da presa si sofferma sugli incanti ellenici, ellenistici e romani della nostra Isola, in un continuo passaggio da un secolo all’altro, o meglio in un intreccio di piani cronologici: sono accostati i ricordi del memorabile tour di Goethe e i filmati emozionanti delle rappresentazioni classiche a Siracusa quando ancora il culto della classicità non era stato sfigurato da strampalate invenzioni registiche.
Abbiamo visto, in bianco e nero, le vaporiere che procedevano gagliardamente dove ora arrancano le tradotte per i disperati. Abbiamo visto i volti puliti dei canterini folkloristici che ancora non sapevano di spot pubblicitari. Lo sguardo del regista predilige le sponde ancora libere dall’invasione del cemento, i volti decisi dei lavoratori che incantarono Luchino Visconti.
E così dalla Calabria severa di tradizioni doriche alla Campania sorridente di Totò, alla sacra maestà romana, alla infinita arte toscana, ai ricordi storici della costa adriatica, all’aria già continentale di Torino, già asburgica di Trieste e Trento: montagne e castelli, fabbriche e volti umani: dei divi del cinema o dei popolani o degli anonimi faticatori che costruirono ferrovie, ponti arditi o che soccorsero i sinistrati delle catastrofi che ci hanno colpito in cento anni. Il tutto senza retorica, con schiettezza di visione e con acume di osservazione, da paragonarsi alle pagine di Piovene o Stoppani e dei numerosi poeti che vengono spesso citati. La bellezza del canto italiano si accosta alle musiche immortali che esso ha ispirato. Abbiamo visto le immagini di film che hanno fatto la storia del cinema nel mondo, con un linguaggio, originale di oggi, che si può accostare ai brani più alti dei nostri prosatori perché non ha bisogno di barbarismi e neologismi per far rivivere il tesoro inesauribile della cultura italiana.