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Il diritto di uccidere: trailer italiano con Helen Mirren e Alan Rickman

Il thriller sui retroscena della guerra contemporanea arriva al cinema con Helen Mirren e l’ultima interpretazione di Alan Rickman

di cuttv
pubblicato 4 Luglio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 09:30

Mentre cresce il dibattito sull’uso dei droni per gli omicidi mirati, il premio Oscar Gavin Hood si prepara a portarne al cinema dinamiche ispirate dal suo dibattito legale, politico ed etico con Il diritto di uccidere (Eye in the Sky, Gran Bretagna, 2016) e un cast che conta Helen Mirren nei panni del colonnello inglese Katherine Powell e l’ultima interpretazione di Alan Rickman in quelli del Generale Frank Benson.

Protagonista è il colonnello inglese Katherine Powell, che dirige a distanza un’operazione contro una cellula terroristica a Nairobi. Il suo “occhio” sul campo è un drone pilotato in Nevada dal giovane ufficiale Steve Watts, ma quando diventa inevitabile sferrare un attacco entrambi realizzano che anche una bambina innocente finirebbe tra le vittime. Mentre nessun politico nella “war room” londinese vuole prendersi la responsabilità di una decisione, una drammatica serie di eventi fa precipitare la situazione.

Il thriller sui retroscena della guerra contemporanea, sceneggiato da Guy Hibbert e prodotto tra gli altri da Colin Firth, per eOne Films, Entertainment One Features e Raindog Films, dopo la presentazione in anteprima al Toronto International Film 2015, inaugura la prossima stagione cinematografica di Teodora che lo distribuisce nelle nostre sale a partire dal prossimo 25 agosto.

Il diritto di uccidere: Note di regia

Una sfida allo spettatore
Sono da tempo a conoscenza di vari aspetti della guerra dei droni avendo girato un film sulle attività militari americane, “Rendition”. Ho letto molto sull’argomento e continuo a tenermi aggiornato su quello che sta succedendo nelle forze armate occidentali, ma prima di girare “Il diritto di uccidere” ancora non avevo approfondito i temi legati ai cosiddetti omicidi mirati. Il copione di Guy Hibbert mi ha colpito da subito: Guy si è documentato andando anche a una grande fiera di armi a Parigi dove i droni erano ovunque e gli stessi militari gli spiegavano che non c’è mai stato un vero dibattito pubblico su questa nuova forma di guerra. L’aspetto più brillante della sua sceneggiatura sta proprio nel non essere semplicistica e nell’essere capace di invitare lo spettatore a un confronto genuino. I dilemmi che i personaggi sono costretti ad affrontare sono reali e non facilmente risolvibili e le riposte che provano a dare sono profondamente umane, permettendo al pubblico una connessione emotiva con quello che accade. Come regista cerco sempre di non fare prediche, piuttosto di presentare delle domande in una forma cinematografica tesa e viscerale, che appassioni lo spettatore e al tempo stesso sfidi le sue nozioni di bene e male.

Propaganda
Da un punto di vista strategico una domanda fondamentale è se gli attacchi dei droni, che inevitabilmente causano vittime tra i civili, generino in realtà così tanto sentimento anti-occidentale che qualsiasi successo ottenuto nel colpire degli individui pericolosi abbia un rovescio della medaglia, ossia una crescente animosità contro l’Occidente. È una domanda che riguarda uno strumento molto importante in qualsiasi guerra, quello della propaganda. Stiamo creando una propaganda negativa attraverso l’uso dei droni? I droni sono una strategia vincente? Quali sono le conseguenze dell’uso di questa tecnologia?

Cancellare l’umanità dell’altro
In ogni caso si può parlare di statistiche e tecnologie fino allo sfinimento, ma una cosa resta chiara: in qualsiasi guerra, le parti in causa tendono a cancellare l’umanità l’una dell’altra. In che altro modo saremmo capaci di uccidere? Cancellando l’umanità dell’altro si rischia di perdere la propria e di usare la forza senza essere consapevoli che il nostro impulso alla violenza non necessariamente è al servizio dei nostri stessi interessi a lungo termine. Un punto a favore della sceneggiatura è che ci fa passare molto tempo con Alia, la bambina che rischia di finire colpita dall’attacco. Il fatto di seguire la sua vita così da vicino ci ricorda che siamo simili, che siamo umani e che lei non è solo una statistica.

Realtà e finzione
Abbiamo iniziato a lavorare al film tre anni fa e l’argomento che affronta è diventato più attuale che mai. Nel settembre del 2015 un drone inglese ha ucciso per la prima volta due cittadini britannici collegati allo Stato Islamico in Siria e il dibattito legale e politico sull’evento, sulla stampa come in Parlamento, rispecchiava esattamente quanto accade ne Il diritto di uccidere. Mentre giravamo una cosa simile era già accaduta invece agli Stati Uniti nel 2011 nello Yemen, con l’uccisione attraverso un drone di Anwar al-Awlaki, cittadino americano, seguita due settimane più tardi da quella del figlio sedicenne. All’epoca avevamo quindi immaginato uno scenario che anticipava quanto in questi giorni sta accadendo nel mondo reale. È quanto ci ha confermato anche Chris Lincoln-Jones, il consulente militare inglese, per 25 anni ufficiale della Royal Artillery: lui e Chris Hercules, militare americano e pilota di droni, ci hanno aiutato a dare al film un’autenticità straordinaria in ogni dettaglio.

Helen
Inizialmente per il personaggio di Helen Mirren, il colonnello Powell, era previsto un uomo, ma ho proposto a Guy di farne una donna. All’inizio era scettico ma poi mi ha dato ragione e la scelta di Helen è stata perfetta: è una forza della natura e con un’attrice come lei, anche quando il suo personaggio sta prendendo una decisione moralmente discutibile, tu comunque riesci a credere nella sua sincerità e nella sua motivazione, finendo per provare empatia anche se non sei d’accordo con quello che fa.

Batterie scariche
Riguardo alla tecnologia usata nel film, il Reaper Drone, con la sua dotazione di missili e telecamere, è identico a quelli usati maggiormente oggi nelle azioni di guerra. Per i MAV (Micro Aerial Vehicles), ossia l’uccello e il coleottero, abbiamo personalizzato il design per evitare accuse di violazioni di copyright da parte delle aziende che li stanno sviluppando. In realtà il drone a forma di uccello è già una realtà, mentre quello a forma di coleottero è ancora in corso di sviluppo. Ho avuto l’occasione di parlare con un tecnico delle imprese che stanno lavorando su questo tipo di tecnologia e mi spiegava che il vero problema dei MAV non è la telecamera, poiché ne esistono di piccolissime, né il riuscire a farli volare e manovrarli, quanto piuttosto la batteria. Questi droni microscopici consumano un’enorme quantità di energia e le batterie attuali non gli permettono una grande autonomia. Abbiamo sfruttato quest’idea anche nel film: quando si esaurisce la batteria del coleottero non sappiamo più cosa succede nel rifugio dei terroristi.