Il Labirinto del Silenzio di Giulio Ricciarelli: Recensione in Anteprima
Giulio Ricciarelli debutta come regista portando agli Oscar la verità sulla Germania del boom economico, tra passato da dimenticare e l’orrore di Auschwitz da nascondere al mondo.
Nella Germania del 1958, ovvero nel pieno del boom economico tedesco e a 13 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’ottimismo esasperato che travolse il Paese faceva a pugni con l’inaccettabile negazionismo storico, che vide le atrocità compiute all’interno del campo di concentramento di Auschwitz nascoste sotto la sabbia. Volutamente negate, ‘coperte’. Il Processo di Norimberga che si tenne tra il 1945 e il 1946 processò e giudicò ventiquattro dei più importanti capi nazisti catturati o ancora ritenuti in vita, ma fu orchestrato e voluto dagli alleati. 10 milioni di nazisti si trovavano in Germania negli anni di Adolf Hitler, possibile che fossero tutti spariti dal giorno alla notte?
Tutto cambia nel 1958, a Francoforte, quando un giovane e ambizioso procuratore, Johann Radmann, indaga su una soffiata giornalistica che vorrebbe un’ex guardia di Auschwitz fare l’insegnante in una scuola elementare della città. Contro tutto e tutti, Radmann inizia così ad interessarsi al caso, scoprendo un vero e proprio complotto governativo per celare i crimini perpetrati dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Passo dopo passo, e grazie anche ai documenti in mano ad un sopravvissuto ebraico ai campi di concentramento, Radmann apre finalmente gli occhi, vedendo quello che la maggior parte dei suoi connazionali non crede neanche lontanamente possibile. Migliaia di soldati delle SS, infatti, molti dei quali con un’avviata e tranquilla carriera di successo nel servizio pubblico, parteciparono attivamente alle sconosciute atrocità commesse ad Auschwitz. Appoggiato da un coraggioso Pubblico Ministero Generale, Radmann trascorse 5 anni della propria vita a raccogliere prove e testimonianze, dando così vita al celebre processo di Francoforte che cambiò in modo radicale il modo in cui la Germania guardava al suo passato.
Sembrerà incredibile, ma fino ai primi anni ’60 pochissimi tedeschi sapevano cosa fosse Auschwitz e quali atrocità fossero state compiute al suo interno. Nell’anno in cui l’Ungheria vola agli Oscar con lo straordinario e devastante Il Figlio di Saul, anche la Germania guarda al nazismo e ai campi di concentramento con questo Il Labirinto del Silenzio, film inchiesta che scoperchia le colpe di un Paese che nel pieno del boom economico, tra sottogonne e rock’n’roll, preferì tacere, insabbiare, depistare, minacciare. L’indegno passato era ancora troppo recente per poter essere assorbito attraverso un dibattito, tanto da meritarsi un colpevole silenzio. Ricciarelli, aiutato da un cast perfettamente amalgamato tra promettenti giovani e celebri volti del cinema tedesco, ha costruito un film verità incalzante, dal montaggio ritmato e dai personaggi forti, inaspettatamente umoristico e storicamente dettagliato. Voluto, è evidente, lo stacco estetico tra l’orrore di Auschwitz che viene finalmente a galla dopo un decennio di occultamenti e i colori pastello di un Paese che prova a risorgere dalle ceneri, dimenticando quel passato così vicino. Una patinatura scenografica che se inizialmente stride con la tragica ossatura della storia, pian piano prende senso proprio nel sottolineare il paradosso storico che quella Germania stava volutamente vivendo.
‘Vuoi che ogni singolo giovane tedesco debba chiedersi se suo padre fosse un assassino oppure no?‘. E’ intorno a questa domanda, posta dal Pubblico Ministero Capo al giovane Procuratore Radmann, che ruota l’intera vicenda. Il Cancelliere Federale Tedesco Konrad Adenauer aveva imposto una dottrina secondo la quale si doveva far scendere l’assoluto silenzio sul passato nazista. Ma in nome della legge un Procuratore osò sfidare l’intera classe politica, riportando a galla quei crimini che una volta ‘confessati’ ed ‘ammessi’ dagli stessi tedeschi diventarono finalmente verità storica. Chi giudica chi, cosa sia giusto e cosa sbagliato, sono quesiti che Ricciarelli pone tra le mani del suo protagonista, ovvero un bravissimo Friederike Becht, autentico eroe che fece diventare la Germania il primo Paese al mondo a portare i suoi criminali di guerra in un’aula di tribunale. Tra bugie e sensi di colpa, Radmann fece la Storia, onorando quei migliaia e migliaia di ebrei uccisi ad Auschwitz, da allora diventato ‘fabbrica della morte’.
Ciò che stupisce, nel vedere Il Labirinto del Silenzio, è la sua intelaiatura quasi di stampo commerciale (forse troppo?), perché il film di Ricciarelli ‘intrattiene’, fatto di non poco conto dinanzi ad una pellicola che affronta tematiche tanto serie e drammatiche. Una scelta precisa e al tempo stesso rischiosa, perché perennemente in bilico tra commozione e indignazione, sentimentalismo e spettacolarizzazione (evitabili gli incubi horror del protagonista), leggerezza e documentazione storica. Più che un giudizio negativo sui tanti che all’epoca preferirono negare e tacere, su chi fosse colpevole o innocente, Ricciarelli pone l’accento sull’importanza della mancata obbedienza, quando questa si tramuta in disumano orrore, e sulla necessità dell’informazione, che ha l’obbligo di educare le nuove generazioni sul nostro triste passato. Affinché non si ripeta. La vergogna che la Germania tutta continuava a provare nel ’58 per le atrocità commesse nei campi di concentramento venne di fatto spazzata via da un’ondata di verità che travolse tutto e tutti, chiudendo a doppia mandato quel labirinto del silenzio qui ricostruito con rigorosa enfasi da un debuttante regista italiano.
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
Il Labirinto del Silenzio (Im Labyrinth des Schweigens, drammatico, 2015, Germania) di Giulio Ricciarelli; con Friederike Becht, Peter Cieslinski, Josephine Ehlert, Elinor Eidt, Alexander Fehling, Christian Furrer, Thomas Hessdörfer, Robert Hunger-Bühler, Hansi Jochmann, Johannes Krisch, Andreas Manz, Robert Mika, Lukas Miko, Mathis Reinhardt, Teresa Rizos – uscita giovedì 14 gennaio 2016.