Il Luce: luci e immagini del passato che fanno pensare, e sono un richiamo a quelle del presente
Aperta a Roma la Mostra dedicata ai 90 anni dell’Istituto Luce, al Vittoriano di Roma
Sono andato alla inaugurazione della Mostra dedicata ai 90 anni del glorioso Istituto Luce, glorioso perché vedere l’Italia di ieri fa spesso bene, e fa pensare. La storia del Luce comincia durante il fascismo, per sua volontà, del 1924 assume via compiti educativi e poi di informazione, oltre che di raccolta-archivio, da allora per molti anni, fino agli anni Sessanta, con l’acquisizione dei cinegiornali e più tardi ancora con i documenti del Washington Archivies, i documenti che intitolai “Combat Film” quando con Roberto Olla curammo alcune trasmissioni in Rai (io dalla seconda serie con il mio nuovo titolo); e soprattutto 24 vhs e poi dvd che ebbero un successo che continua: migliaia di copie vendute, ancora oggi.
Il Luce è una istituzione preziosa, lo è stata, lo è. Un’altra istituzione importante nel settore è indubbiamente Teche Rai, che dal 1954 in poi possiede il meglio della grande, estesa produzione Rai (con gravi cancellazioni però avvenute nel tempo).
La Mostra è ben fatta, e tra i curatori c’è Gabriele D’Autilia, un grande esperto di fotografia e non solo, a cui ha dedicato libro che ha avuto la cortesia di farmi avere (mi ha promesso anche il catalogo della Mostra, e spero di avere anche questo, materia di studio e di piacere visivo). Con D’Autilia abbia avuto un lungo periodo di colleganza universitaria, collaborando con Guido Crainz, storico della contemporaneità.
In quella sede abbiamo avuto modo di riflettere sui documenti del Luce, e non solo. Quindi posso dire senza dubbi che la qualità della Mostra è “anche” merito suo, che ha lavorato con Roberto Cicutto, responsabile e guida del Luce. L’Italia del Luce è meravigliosa. Come meravigliosa?, può chiedersi chi la riporta al fascismo, alle sue scelte, alla creazione del consenso, con la seduzione della immagini; c’è un libro di Ernesto G. Laura che lo denuncia fin dal titolo “L’immagine bugiarda”.
Ma la domanda è legittima, come si potrebbe dire anche per quel che era l’Italia nel dopoguerra, nonostante le distruzioni e le devastazioni della seconda guerra mondiale; e i disastri della politica democratica nella edilizia e nell’urbanistica, non solo nella grandi città. Le immagini del neorealismo ( i film di Rossellini, De Sica, Visconti, De Santis, Lattuada…) sono meravigliose. E non mancano, anzi foto, e documentari di straordinario valore. In che cosa, dunque, consiste la “meraviglia” a cui mi riferisco, a molti anni di distanza dal 1924 in poi, confermando i giudizi storici sul fascismo che non hanno bisogno di “revisioni”?
Mi riferisco alla “meraviglia” per una bellezza dovuta ai registi spesso senza nome, ai fotografi, agli operatori o direttori della fotografia nel cinema (dizione che ha preso piede definitivamente), ai tecnici e ai macchinisti che hanno “fatto” quella enorme archivio di immagini, e di loro si vanta giustamente il Luce, e ci vantiamo noi che, come mi è capitato, abbiamo usato quella bellezza per i lavori, film e documentari, per la Rai; compresi i miei naturalmente, in molti anni di regie per “La Grande Storia” e per “La storia siamo noi”.
Ecco il punto. La Mostra consente qualcosa che non era mai successo: fare confronti tra quei documenti ben conservati, curati da addetti invisibili e poco nominati, veri artefici nella Mostra, insieme a chi l’ha pensata e realizzata. La “grande bruttezza”, specie delle televisioni pubbliche o private, non fa rimpiangere il Ventennio, anzi, ma mette in “Luce” che si sta perdendo il rispetto per la qualità delle immagini, per la professionalità di chi lavora nelle riprese e nella conservazione dei documenti.
Le televisioni, a cui si accodano le nostre fiction e gran parte del cinema italiane, lasciano molto a desiderare su questo piano. Si può recuperare la “meraviglia”? Le immagini sono spente o generiche. Posso dire che i media tv hanno eliminato i primi piani delle persone, proponendo generiche sventagliate; e aggiungo che l’uso dei documenti è di affastellamento e di errore storico e formale. Gli esempi sarebbero infiniti. Spero che la Mostra al Vittoriano provochi una presa d’atto della necessità di cambiare. Siamo in tempo. A meno che si comincia a pensare che la “meraviglia” dei documenti debba essere spenta per sempre.