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Il quinto potere: Recensione in Anteprima del film su WikiLeaks

Dopo il documentario di Alex Gibney, ecco il primo film incentrato sulla vicenda WikiLeaks. La storia di Julian Assange a partire dal diffondersi del fenomeno raccontata dal “socio” Daniel Domscheit-Berg ne Il quinto potere

pubblicato 22 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:16

C’era una volta Gutenberg e c’era chi prima ancora di lui si ingegnava, attraverso svariate epoche, di trasmettere qualcosa. Non importa cosa, trattasi comunque di informazioni: che fosse l’uomo della caverna con le sue rappresentazioni di caccia o Lutero con i motivi del suo dissenso. E questo ci comunica a sua volta Bill Condon nelle prime battute del suo Il quinto potere (in originale The Fifth Estate). La prende larga il regista newyorkese, che però non ha tutti i torti nell’individuare nella vicenda WikiLeaks un passaggio epocale inerente all’attuale mezzo di comunicazione più diffuso, ossia internet, introducendolo di conseguenza.

La storia è quella di Julian Assange. Anzi no, è quella di Daniel Domscheit-Berg, il cui libro ha contribuito in maniera rilevante alla costruzione di questo film. Perché in fondo una prospettiva andava abbracciata, diffidare sempre da chi si proclama obiettivo al 100%. Tuttavia non è il punto di vista a minare in qualche modo la resa de Il quinto elemento. Per certe cose bisogna rivolgersi altrove, ed infatti sono altre le cose che non vanno.

Condon sa di trovarsi dinanzi ad una storia che non può essere raccontata come tutte le altre; troppo attuale, troppo diversa dalle altre. Ecco allora far riferimento a tutta una serie di escamotage appartenenti ad altra tipologia di lavori, quelli più affini a contesti documentaristici per esempio. Scritte e grafiche a go go, per ogni cosa: che si tratti di introdurci un luogo oppure una famosa testata giornalistica. Qui emergono le prime increspature di una sceneggiatura alquanto debole per sorreggere un incipit di questo genere.

Julian (Benedict Cumberbatch) e Daniel (Daniel Bruhl) si spostano da una parte all’altra del globo (Europa per lo più, ma non solo) con una velocità ed un’estemporaneità analoga a quella dei dati che viaggiano attraverso queste corsie invisibili per poi far capolino in uno dei miliardi di computer sparsi per il mondo. Per necessità, è chiaro: bisogna stringere accordi, incrementare il numero di server, fornire volto e sostanza a quella che sin dall’inizio viene definita l’organizzazione. C’è una mission, c’è un responsabile… peccato che, a dispetto delle più vivide apparenze, manchi tutto il resto. WikiLeaks, la si prenda come si vuole, è Julian Assange, e quest’ultimo è WikiLeaks. Eppure nessuna delle due entità assume mai una forma concreta, oseremmo dire tattile. Questo ci restituisce Il quinto potere, che sovrappone le due cose ad ogni piè sospinto, mettendoci a parte di una delle più tremende verità di fondo.

In un contesto in cui è la Verità il reale motore, la molla su cui fare leva per dare un senso all’immane progetto che è stato messo in piedi, l’unico frammento che si riesce a cogliere con una certa sicurezza è il profilo di quest’australiano ossigenato e cinico nell’accezione più ampia del termine. La sua non è una semplice vocazione, bensì un’ideologia, l’ideologia della trasparenza. Per questa Julian è disposto a relegare tutto in secondo piano, qualsiasi cosa, persino le vite di tantissime persone. E quanto la personalità del suo fondatore abbia influito ad ogni livello sulla sfuggente struttura di WikiLeaks è ciò su cui in fondo si base l’intera operazione.

Cumberbatch non lavora male, sebbene quel suo accento (che per ovvi motivi non ci sarà dato afferrare nelle nostre sale) talvolta appare un po’ troppo marcato. Ma come già detto, i veri limiti si devono rintracciare da altre parti. Uno dei vizi a priori di questo film è quello di dare per scontate troppe cose, forse per la già menzionata attualità della vicenda. Tuttavia si fa spesso fatica a seguire il filo del discorso, mentre veniamo incalzati da nomi, riferimenti, situazioni che non di rado sfuggono ad un’opportuna contestualizzazione. Mentre cerchiamo di collocare uno di questi elementi, eccoci alle prese con un altro, ed un altro ancora. Ne esce fuori un ritratto denso ma di non facile lettura perché essenzialmente confusionario. La stessa idea di mettere in scena questo altro mondo che è in pratica quello della rete non è malvagia affatto, se non fosse che ad un certo punto Condon vi calca troppo la mano perdendone il controllo.

Così procede Il quinto potere, il quale se non altro ci conferma due cose. La prima è che non abbiamo ancora capito quale debba essere l’approccio al cosiddetto 2.0, a questa nuova fase di internet che vuole essere raccontata, trasposta sul grande schermo. Per ora si sta ancora cercando di prendere le misure, sebbene l’impressione è che manchi il metro adatto. La seconda, non meno rilevante e a conti fatti strettamente collegata alla prima, è che l’intera questione WikiLeaks rappresenta un soggetto estremamente buono, così accattivante che potrebbe adattarsi da solo. Se non fosse, è questa è la notizia, che ad oggi risulta ancora infilmabile. Tanto potente da non piegarsi al racconto sul grande schermo. Affibbiate a tale fenomeno la definizione che più vi aggrada, magari paradosso. Sta di fatto che Il quinto potere non si avvicina nemmeno a scoperchiare questo vaso di Pandora. Purtroppo.

Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 5
Voto di Gabriele: 4

Il quinto potere (The Fifth Estate, USA, 2013) di Bill Condon. Con Benedict Cumberbatch, Daniel Brühl, Anthony Mackie, David Thewlis, Alicia Vikander, Peter Capaldi, Carice van Houten, Dan Stevens, Stanley Tucci, Laura Linney, Moritz Bleibtreu, Hera Hilmar, Jeany Spark, Jamie Blackley, Michael Jibson, Pascaline Crêvecoeur, Lydia Leonard, Anatole Taubman, Michael Culkin e Alexander Beyer. Qui trovate la lettera di Assange a Cumberbatch, mentre qui la risposta di quest’ultimo al fondatore di WikiLeaks. Nelle nostre sale da giovedì 24 ottobre.