Il ragazzo invisibile: Recensione in Anteprima del film di Gabriele Salvatores
Gabriele Salvatores passa al fantasy adolescenziale. Il ragazzo invisibile è una scommessa importante, ma encomiabile più quanto ad ambizione che a risultato, che mostra tutti i limiti del nostro cinema in relazione a certi generi
Michele è un ragazzino che passa praticamente inosservato, tranne ai due bulletti che lo sottopongono a reiterate angherie. Ha una cotta per Stella, sua compagna di classe, ma impacciato e timido com’è, un approccio in tal senso risulta impensabile. Finché un giorno Michele, grazie ad uno strano costume, non scopre di avere un potere. Riparte da qui Salvatores, reduce dall’esperimento di Italy in a Day, sulla falsariga di quanto fatto da Ridley Scott precedentemente con Life in a Day.
«C’è una strada italiana per il fantasy? Si possono scrivere storie che interessino generazioni diverse, genitori e figli? Queste storie ci appartengono? Si possono raccontare senza budget multimiliardari? E c’è un pubblico italiano per un fantasy italiano? Queste sono le sfide che vogliamo raccogliere». Sono queste le dichiarazioni di Salvatores in merito a Il ragazzo invisibile. D’altronde va senz’altro riconosciuta al regista di origini partenopee l’immutabile tensione al cambiamento, al mutare pelle, reinventando sé stesso perciò il proprio cinema. Un unicum nell’ambito del nostro cinema, così spesso ancorato a schemi incrollabili, non importa quanto perdenti.
E la domanda certamente stuzzica: è concepibile, prima ancora che possibile, un fantasy italiano? Emerge qui la voragine tra la lodevole ambizione di voler tentare una strada atipica dalle nostre parti, con la realtà del risultato, ovvero la resa finale dell’impegno produttivo. Il ragazzo invisibile soffre di tanti, troppi difetti che si porta dietro in maniera quasi congenita. Un film per ragazzi (qualcuno dirà adolescenti, ma non ne saremmo così sicuri) a tema supereroi. Ambientato a Trieste. Da dove cominciare?
Abbiamo fatto implicitamente riferimento a talune tare genetiche, se così possiamo definirle, per un film che appare palesemente incastrato tra i suoi due propositi, ovvero quello di unire il filone adolescenziale (predominante) e quello più votato al cinecomic. Uno dei possibili appigli ci sembra tuttavia rintracciabile nei vari fenomeni letterari traslati al cinema con più o meno successo, da Harry Potter in giù, finendo con Hunger Games. Qui, è vero, non c’è un’opera di riferimento (se non il progetto parallelo della graphic novel), ma in qualche misura pare si tenti di battere quella strada, tentando di offrire una variante nostrana che possa però fare a meno di ingombranti ed esosi diritti da riconoscere allo scrittore di turno. Dall’altro lato abbiamo la fonte più immediata, quella che rimesta nei fumetti, e specialmente sui fumetti trasposti al cinema (Spiderman più di tutti?).
In entrambi i casi Il ragazzo invisibile si dimostra non all’altezza, poco rileva l’incisivo sforzo tecnico che vuole l’invisibilità di Michele resa su schermo in maniera organica, con effetti speciali all’altezza. Su tutti è la recitazione a lasciare l’amaro in bocca, pur con tutte le attenuanti che possiamo e dobbiamo concedere ai giovani attori; ai quali però non si crede per un istante, non a caso limitatissime sono le battute di Michele, addirittura inferiori ai comprimari considerato il periodo di permanenza davanti alla macchina da presa. All’ultimo Festival di Venezia è stato presentato No One’s Child, film bosniaco che si è aggiudicato il Premio del Pubblico alla Settimana della Critica. Crowd-pleaser quanto si vuole, ma è innegabile l’apporto notevole dei suoi protagonisti, per lo più ragazzini, che in quel film fanno la differenza. Certo, in troppi casi, tornando a noi, non contribuisce in alcun modo la scrittura dei vari personaggi; al che torniamo ai difetti di cui sopra, perché in tal senso il vero peccato è l’inesperienza, dato che dalle nostre parti non siamo abituati a rapportarci con figure di questo tipo.
A questo vanno aggiunte una serie di scelte registiche sinceramente ambigue, come il personaggio di Andreij (Christo Jivkov), il cui ingresso in scena ha un che di parodistico, à la Maccio Capatonda: metallaro over 30, non vedente ma con il dono di leggere nel pensiero. Per un po’ appare in lontananza, con queste profondità di campo che ottengono l’effetto di strappare un sorriso non voluto. E d’altro canto in certi contesti scadere nella parodia è un attimo, per via di codici che, nonostante tutto, solo ad Hollywood riescono a maneggiare in maniera accettabile. Il ragazzo invisibile perciò assume la scomoda forma del «vorrei ma non posso», quella che per primi mette a disagio noi spettatori, nient’affatto edificati da uno spettacolo capace di mettere in mostra in maniera così palese i nostri limiti in quest’ambito.
È tutto perduto, già adesso? Non saremmo così disfattisti. Il ragazzo invisibile è ahinoi un prodotto francamente modesto, troppo modesto; ma ciò non significa che non sia valsa la pena rischiare. Certo, ci meraviglierebbe qualora gli autori ci dicessero che il loro intento fosse stato da principio quello di evidenziare i nostri limiti, ma è altresì vero che da qualche parte bisogna pure cominciare, ed in tal senso va premiata senza riserve la scommessa di un cineasta (Salvatores) che ancora una volta prova a spingersi un po’ più in là. Nondimeno, non renderemmo un buon servizio nemmeno a chi ha lavorato su questo film non evidenziando quanto i margini di miglioramento siano talmente ampi che si fa prima ad elencare i pregi.
Tra questi, la già citata resa degli effetti speciali limitatamente al ragazzo invisibile: perfettamente integrata al contesto, con il quale Michele interagisce peraltro, senza mai tradire alcuna arretratezza tecnologica, anzi, visto che di anacronismi in tal senso non se ne rilevano affatto. Per il resto, anche qui ci siamo espressi: pollice alto per l’iniziativa, ossia l’idea di intraprendere quest’ardua avventura.
In futuro (perché speriamo davvero che non si sia trattato di un caso isolato), toccherà per esempio assimilare meglio i codici a cui abbiamo alluso poco sopra: basti pensare alla gestione di uno dei capisaldi strutturali di ogni storia incentrata sui supereroi, ossia la gestione tra la figura pubblica (l’eroe vero e proprio, quando indossa la maschera o il costume) e quella privata, piuttosto raffazzonata ne Il ragazzo invisibile, sebbene in qualche misura il rapporto che s’instaura tra Michele e Stella, prima che questa scopra il segreto, funzioni. Oltre a questo si dovrà senza dubbio riservare un’attenzione ben maggiore al comparto recitativo, perché come far funzionare una storia le cui interpretazioni non sono interessanti, prive di mordente, piatte?
Al netto di questi appunti, che come tali riportiamo (visto che i consigli non spetta a noi fornirli), l’operazione va per forza di cose valutata nell’ampio quadro mediante il quale ci siamo accostati a questo scritto sin dalle prime righe. Da spettatori, italiani, vorremmo che dalle nostre parti si osasse sempre di più, e non di rado siamo disposti a lamentarci per la pavidità di autori e produttori; al contempo, però, tali autori e produttori necessitano invariabilmente di un pubblico che riconosca meriti e demeriti, premiando o punendo a seconda dei casi. Si riparta da qui, perciò, dalla voglia di guardare al di là del nostro recinto. Consapevoli però che, allo stato attuale, la strada da percorrere è ancora tanta.
Voto di Antonio: 5
Voto di Federico: 5+
Il ragazzo invisibile (Italia, 2014) di Gabriele Salvatores. Con Ludovico Girardello, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Christo Jivkov, Noa Zatta, Assil Kandil, Filippo Valese, Enea Barozzi, Riccardo Gasparini, Vernon Dobtcheff, Vilius Tumalavicius, Vincenzo Zampa e Ksenia Rappoport. Nelle nostre sale da giovedì 18 dicembre.