Il Rito – Recensione in Anteprima
Il Rito (The Rite, USA, 2011) di Mikael Hafström. Con Anthony Hopkins, Colin O’Donoghue, Alice Braga, Toby Jones, Ciarán Hinds, Rutger Hauer, Maria Grazia Cucinotta, Chris Marquette, Torrey DeVitto, Marta Gastini, Andrea Calligari, Marija Karan, Arianna Veronesi.Quando L’Esorcista apparve sul grande schermo nei lontani anni ’70, non ci volle molto per capire quanto tale tematica
Il Rito (The Rite, USA, 2011) di Mikael Hafström. Con Anthony Hopkins, Colin O’Donoghue, Alice Braga, Toby Jones, Ciarán Hinds, Rutger Hauer, Maria Grazia Cucinotta, Chris Marquette, Torrey DeVitto, Marta Gastini, Andrea Calligari, Marija Karan, Arianna Veronesi.
Quando L’Esorcista apparve sul grande schermo nei lontani anni ’70, non ci volle molto per capire quanto tale tematica ben si prestasse a questo mezzo. Trattandosi di un argomento che già di suo tendeva a destare una strana e particolare attenzione, il polverone alzato da quel film, diventato un cult, contribuì a fornire un quadro piuttosto eloquente riguardo all’intera questione.
Non è quindi un caso se a questo filone hanno inteso rifarsi una miriade di pellicole, alcune tentando un approccio un attimino più veritiero, altri optando per una rivisitazione non sempre azzeccata, se non addirittura fuorviante. Opere che hanno preferito relegare le loro premesse a semplici spunti per metter su un impianto da horror, mentre altre che si sono poste il problema cercando di rimanere quanto più fedeli ai fatti.
Ebbene, Il Rito appartiene a quest’ultima frangia. Ultimo, in ordine di tempo, nell’ambito di un genere così particolare, il film è fortemente ancorato a fatti realmente accaduti. Lo si riporta a chiare lettere già nelle prime battute, ma siamo convinti che il solito, a tratti invincibile scetticismo rimarrà comunque duro a morire. Il cinema rimane uno strumento potentissimo, ma non è poi così scandaloso che anche lui, talvolta, debba limitarsi ad allargare le braccia con sorriso beffardo, come a dire: “Che ci posso fare? Io c’ho provato…“.
Michael Kovak (Colin O’Donoghue) è un giovane ragazzo che decide di entrare in seminario per prendere i voti sacerdotali. Tuttavia la sua scelta, di tutta prima, non pare poggiare su di una vocazione così forte. Figlio di un becchino, sin dalla sua infanzia ha avuto a che fare con un padre molto particolare (Rutger Hauer), immerso in un contesto che definire tetro è un eufemismo. Comunicando la sua decisione ad un amico, Michael, scoraggiato, dice: “Nella mia famiglia le vie sono due: o diventi becchino, o diventi prete“.
Tuttavia, come accennavamo poc’anzi, qualcosa comincia a scricchiolare. Il giovanotto non si sente più “all’altezza” della toga, messo in guardia da una Fede che, a quanto pare, comincia a venire meno. Al suo posto subentra uno strano scetticismo, conturbante, oseremmo dire. Il fascino che suscitano queste sensazioni supera la loro repulsione, ed allora Michael decide di mollare tutto. Ma il suo superiore, conscio delle potenzialità del ragazzo, decide di spedirlo a Roma… dopodiché potrà decidere in via definitiva.
Il motivo è presto detto: partecipare ad un corso sull’esorcismo che si tiene in Vaticano. La mira del più anziano e navigato sacerdote è chiara, ancorché velata, ossia far sì che l’indeciso acquisisca una percezione molto più veritiera circa l’Avversario. Insomma, il percorso di Michael e quello del film cominciano a convergere proprio a partire da questo punto, inoltrandosi in una via che procede al contrario: conoscere il Male per arrivare al Bene.
Conoscerlo, sì… ma non parteciparvi! Sono tante le eresie che si sono vivacemente susseguite nell’arco della storia, e non da meno sono quelle secondo cui praticare il Male sia l’unica soluzione per giungere al Bene. Ma poiché non sta noi speculare su certe cose, passiamo avanti.
Giunto nella Città Eterna, Michael conosce un esorcista, tale padre Lucas (Anthony Hopkins). Sarà lui, seppur non in maniera totalmente diretta, ad iniziarlo ad una maggiore consapevolezza riguardo all’utilità di una figura come la sua. Padre Lucas vede in quel ragazzo confuso un suo coetaneo, vissuto parecchi anni prima… vale a dire sé stesso. L’anziano prete conosce quell’inquietudine, quegli atavici e comprensibili dubbi che lasciano disarmati dinanzi a questioni così capitali.
Ed in realtà non risulterà quasi mai facile inquadrare inequivocabilmente la figura di padre Lucas. Scettico? Credente? In bilico tra le due definizioni? Alla fine, a nostro parere, il termine che gli calza meglio, volendo necessariamente appellarci ad una definizione, è una ed una soltanto: uomo. Piaccia o meno, è l’umanità dei nostri protagonisti ad uscirne “rivalutata”, ma non nel senso di “esaltata”. Parliamo di quell’umanità che sa di avere dei limiti, pur magari non conoscendoli. Un’umanità radicale, pronta a mettersi costantemente in discussione, senza dare nulla per scontato.
E Il Rito non si tira indietro dall’ardua impresa di costruire uno scenario che ci restituisca un’umanità ‘seria’, non ‘urlante’ e ‘capricciosa’. Non negando la sua natura apparentemente contraddittoria, ma che tale lo è solo a seguito di uno “spaesamento” la cui genesi ha origini antiche quanto l’uomo stesso. Senza servirsi, come afferma padre Lucas “di colli che si torcono o zuppe di piselli“, elementi che, per quanto strutturalmente appiccicati al genere, rischiano di mortificare eventi che di grottesco hanno solo la loro difficile collocazione – ovviamente secondo le nostre, a dire il vero piccole, categorie di pensiero.
E’ quindi vana la presunta lotta che contrappone Scienza da una parte e Fede dall’altra, laddove l’unica gerarchia vigente e quella relativa alle competenze. L’idea, magari non del tutto esaustiva, è che l’improponibilità di simili argomentazioni tenda a riassumersi in strane metafore. Tuttavia l’efficacia dell’esempio si dimostra da sé, quindi perché non servircene? Immaginate di negare l’esistenza di un automobile perché un giardiniere non sa costruirne una, né dargli una sistemata: per quello servono ingegneri e meccanici. Di certo non basta mettere un bullone nel terreno e annaffiarlo per assistere ad un seppur lento fiorire di una Ferrari rossa fiammante…
Hafström ricrea uno scenario straordinario ma verosimile, quindi, se non talvolta addirittura credibile. Preferisce l’impatto meramente psicologico a quello visivo, pur servendosi di entrambi i canali. Ma se nel caso dell’impatto sulla psiche spinge sull’acceleratore senza colpo ferire, visivamente lavora su poche componenti, per lo più funzionali al messaggio. Poche, in tal senso, sono le libertà che il regista si concede, mettendo comunque in guardia lo spettatore. E’ questo il caso delle pseudo-visioni di Michael, prontamente relegate a “semplici” incubi.
E poiché tutto si riassume, sostanzialmente, in una lotta contro “ciò che non si vede”, sarebbe apparso poco opportuno dare forma all’invisibile. A quanto espresso, aggiungiamo un’interpretazione decisamente appropriata sia da parte di Anthony Hopkins (ampiamente calato nel personaggio) che di Colin O’Donoghue, i cui ruoli, a tratti speculari, prendono forma in un rapporto che impreziosisce l’intera pellicola.
Prima di chiudere, però, preferiamo congedarci con la quasi paradossale domanda di padre Lucas, che, se vogliamo, condensa un po’ tutto il vigore narrativo del film:
La cosa interessante degli scettici è che sono sempre in cerca di prove. La domanda è, se le trovassero, cosa cambierebbe sulla Terra?
Il Rito uscirà nelle nostre sale venerdì 11 Marzo. Qui trovate il trailer italiano.
Voto Antonio: 7,5
Voto Federico: 5