Il sapore del successo: recensione in anteprima
Secondo film a tema culinario in un anno per lo sceneggiatore de La promessa dell’assassino e Locke. Il sapore del successo non parla però né di cucina né di successo, lasciando che il dramma di un genio venga sepolto da urla e schiamazzi
Cast notevole, non c’è che dire. Vi invitiamo a leggerlo qui sotto prima di proseguire. Il sapore del successo da questo punto di vista lancia a priori un segnale, ovvero che si tratta di una sfilata per volti noti ed in più territori. Gli italiani hanno Riccardo Scamarcio, i francesi Omar Sy, i tedeschi Daniel Bruhl, mentre gli anglofoni tutti gli altri, tra cui Bradley Cooper, indiscusso protagonista.
Così posta sembra una barzelletta, ma in fin dei conti il film di Wells contempla questa implicita vocazione all’universalità, passando da quello che ad oggi sembra il filtro tra i più universali di tutti, ovvero quello della cucina. Da quando lo star-system è divenuto affare da chef, personaggi come Gordon Ramsey sono oramai più famosi di Babbo Natale. Perciò il tenore de Il sapore del successo, che con la scusa della cucina in realtà parla d’altro. Per dire, sulla falsa riga di film come Amore, cucina e curry, ma con un briciolo di cinismo in più. E soprattutto, decisamente più aleatorio.
Protagonista è Adam Jones, chef stellato (la guida Michelin gliene riconosce due), estremamente sicuro di sé, tanto talentuoso nella sua arte quanto nell’auto-distruggersi, arte ulteriore in cui il nostro risulta essere non poco versato. Anni prima rispetto agli eventi del film Jones lavorava in uno dei migliori ristoranti di Parigi, salvo farla grossa e dovere ripiegare negli States, dove per “penitenza” si è autoimposto di aprire un milione di ostriche. Fatto questo si torna in Europa, deciso più che mai a guadagnarsi l’agognata e prestigiosa terza stella Michelin.La qual cosa assume in fin dei conti la portata di una rapina in banca. Adam si reca a Londra in cerca dei migliori cuochi che riesce a trovare: deve comporre la squadra che gli consenta di ottenere il bottino. Steven Knight, ottimo ne La promessa dell’assassino e Locke, a ‘sto giro ne esce ridimensionato – e sì che questo è il secondo film nel giro di dodici mesi a tema culinario dopo il già citato Amore, cucina e curry. Facendo man bassa di quanto appreso in programmi come Hell’s Kitchen o qualunque altro format televisivo a cui partecipa chef Ramsey, Il sapore del successo sembra tagliato su misura per quel pubblico, quasi questo target fosse stato studiato e sviscerato fin nei minimi particolari.
L’elemento umano si scorge, certo, nella fragilità mista a genio e delirio di onnipotenza di Adam Jones, senza però che né la sceneggiatura né tantomeno Cooper riescano a veicolare la torrenziale verve che eppure è insita nel personaggio ma inespressa già sulla carta. Tutto è così schematico, prevedibile, che non si ha mai davvero modo di stabilire un contatto con la vicenda o con i suoi attori, malgrado certe scene tocchino. Senza contare l’aspetto strettamente culinario, che sta alla cucina reale quanto quei tizi che in certi film degli anni ’80 fracassavano tastiere facendoci credere di essere degli hacker stanno all’informatica.
Spiace perché qualcosa, come già accennato, c’è e si avverte. Sarà che chi scrive verso la tematica è ben disposto, stante per «tematica» non semplicemente il cibo bensì le storie di redenzione attraverso il perfezionamento di sé stessi o di un’arte, di una facoltà peculiare o che so io. Optando per delle concessioni che odorano pure di ruffianeria, per quanto goffa, come Tony, il personaggio omosessuale di Bruhl, che non ne esce tanto meglio di Helene (Sienna Miller), entrambi non più che sottoposti al fascino ed alla veemenza di Adam. E non che le comparsate di Emma Watson o di Uma Thurman incidano più di tanto.
L’impeccabile patina, come sempre a certi livelli, non fa in questo caso che infierire sulla già discutibile resa di questa storia. Così per come raccontata, la parabola de Il sapore del successo non ci dice alcunché su alcuno dei temi che sfiora. In termini d’intrattenimento ci priva pure del piacere oserei dire pornografico della preparazione di certi piatti, senza contare quanto per tutto il film ciascuno dei personaggi, finanche quello più in vista, Adam, si tengano a distanza da noi. E beffardamente il lavoro di Wells diviene metafora di ciò che descrive, ossia l’esaltazione del successo quale sigillo di qualità, malgrado, a conti fatti, sovente le due cose non coincidano. Come in questo caso: premesse sprecate (cast in primis) al fine di ottenere un sicuro successo. Che però manca.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4.5″ layout=”left”]
Il sapore del successo (Burnt, USA, 2015) di John Wells. Con Bradley Cooper, Sienna Miller, Daniel Brühl, Riccardo Scamarcio, Omar Sy, Sam Keeley, Matthew Rhys, Emma Thompson, Uma Thurman, Alicia Vikander, Lily James e Sarah Greene. Nelle nostre sale da giovedì 26 novembre.