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Stasera in tv: “Illusioni perdute” di Xavier Giannoli su Rai 3

Su Rai 3 l’adattamento del 2021 del regista francese Xavier Giannoli del capolavoro dello scrittore Honoré de Balzac, con un cast che include Benjamin Voisin, Cécile de France, Vincent Lacoste e Xavier Dolan.

16 Febbraio 2024 09:50

Illusioni perdute, su Rai 3 l’adattamento datato 2021 del regista francese Xavier Giannoli (Marguerite), che porta sullo schermo quella che è considerata da molti l’opera migliore dello scrittore Honoré de Balzac.

Illusioni perdute – Cast e doppiatori

Benjamin Voisin: Lucien de Rubempré
Cécile de France: Louise de Bargeton
Vincent Lacoste: Étienne Lousteau
Xavier Dolan: Raoul Nathan
Salomé Dewaels: Coralie
Jeanne Balibar: Marchesa d’Espard
Gérard Depardieu: Dauriat
André Marcon: Barone du Châtelet
Louis-Do de Lencquesaing: Finot
Jean-François Stévenin: Singali

Doppiatori italiani

Lorenzo De Angelis: Lucien de Rubempré
Chiara Colizzi: Louise de Bargeton
Alessandro Campaiola: Étienne Lousteau
Davide Perino: Raoul Nathan
Mariagrazia Cerullo: Coralie
Alessandra Korompay: Marchesa d’Espard
Luca Biagini: Dauriat
Antonio Palumbo: Barone du Châtelet
Francesco Prando: Finot
Pietro Biondi: Singali

Illusioni perdute – Trama e trailer

Lucien (Benjamin Voisin) è un giovane poeta in cerca di fortuna. Nutre grandi speranze per il suo futuro ed è deciso a prendere le redini del proprio destino abbandonando la tipografia di famiglia e tentando la sorte a Parigi sotto l’ala protettrice della sua mecenate. Rifiutato dalla società aristocratica parigina per le sue umili origini e la sua relazione pericolosa con la baronessa, si ritrova solo, senza un soldo, affamato e umiliato e cerca vendetta scrivendo articoli controversi. All’interno della Parigi tanto ambita, trova un mondo cinico dove tutto – e tutti – possono essere comprati e venduti.

Curiosità sul film

  • Il regista Xavier Giannoli (Marguerite, Corpi impazienti, Superstar, L’apparizione) dirige “Illusioni Perdute” da una sua sceneggiatura scritta con Jacques Fieschi (Quello che gli uomini non dicono) e Yves Stavrides (Blanc de Chine) dal racconto di Honoré de Balzac.
  • La trama del film si concentra principalmente sulla seconda parte del romanzo “Illusioni perdute” intitolato “Un grande uomo di provincia a Parigi”.
  • Il film ha vinto 7 Premi César (Miglior film, attore non protagonista a Vincent Lacoste, promessa maschile a Benjamin Voisin, adattamento a Xavier Giannoli e Jacques Fieschi, fotografia a Christophe Beaucarne,  scenografia a Riton Dupire-Clément, costumi a Pierre-Jean Larroque).
  • L’attore francese Benjamin Voisin (Lucien) ha recitato anche in Bonne pomme – Nessuno è perfetto (2017), The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde (2018) diretto da Rupert Everett, l’acclamato Estate ’85 (2020) di François Ozon e ne Il ballo delle pazze (2021) diretto da Mélanie Laurent.
  • Il titolo di lavorazione del film “La Comédie humaine” è un riferimento a “La commedia umana”, un insieme di scritti di Honoré de Balzac composto da 137 opere comprendenti romanzi realistici, fantastici e filosofici, ma anche racconti, saggi, studi analitici, e novelle a volte raggruppate in un solo titolo.
  • Il personaggio di Nathan d’Anastazio, interpretato da Xavier Dolan, è in realtà una sintesi di tre personaggi del romanzo: Raoul Nathan, un giornalista intrigante, Daniel d’Arthez, uno scrittore laborioso e Melchior de Canalis, un poeta di successo.
  • “Illusioni perdute” è costato 17.5 milioni di dollari.

Il romanzo originale

Illusioni perdute (Illusions perdues) è un romanzo di Honoré de Balzac dedicato a Victor Hugo e pubblicato tra il 1837 e il 1843 in tre parti (I due poeti, Un grande uomo di provincia a Parigi e Eva e David, quest’ultimo conosciuto anche come La sofferenza dell’inventore). È la decima opera delle Scene di vita di provincia (Scènes de la vie de province), il secondo degli svariati cicli narrativi dell’ambiziosa serie de La Comédie humaine. A giudizio di molti scrittori e studiosi (tra cui Marcel Proust), “Illusioni Perdute” è la migliore opera in assoluto dell’autore. Le opere di Balzac hanno influenzato molti scrittori famosi, tra cui i romanzieri Émile Zola, Charles Dickens, Gustave Flaubert e Henry James, i registi François Truffaut e Jacques Rivette e filosofi come Friedrich Engels e Karl Marx.

La sinossi ufficiale del libro: “Illusioni perdute” è un ciclo di tre romanzi che hanno per protagonista un giovane provinciale, ambizioso, costretto a scontrarsi con le difficoltà dell’autoaffermazione. Fragile testimone del suo tempo, senza alcuna volontà di affrontarlo veramente, ha un animo nobile incapace di dedicarsi all’arte della sopraffazione: le sue illusioni sono destinate a infrangersi contro la spietatà società parigina. Tra autobiografia e indagine sociologica, filosofia e analisi delle passioni, realismo e immaginazione visionaria, Balzac affronta un tema intimamente legato alla propria esperienza diretta, al proprio difficile rapporto con la realtà della società borghese: il tema delle “illusioni perdute”, destianto ad assumere nelle opere successive toni sempre più amari.

Il libro è disponibile su Amazon.

Film tratti o ispirati dai romanzi di Balzac

La locanda rossa (L’Auberge rouge), regia di Camille de Morlhon – da “L’albergo rosso” (1910)
La figlia dell’avaro, prodotto dalla Roma Film – dal racconto “Eugenia Grandet” (1913)
The Magic Skin, regia di Richard Ridgely – dal racconto “La pelle di zigrino” (1915)
La storia dei tredici, regia di Carmine Gallone – dal racconto omonimo (1917)
Eugenia Grandet: la figlia dell’avaro, regia di Roberto Roberti – dal racconto “Eugenia Grandet” (1918)
Slave of Desire, regia di George D. Baker – dal racconto “La pelle di zigrino” (1923)
L’artiglio rosa (Honor of the Family), regia di Lloyd Bacon – dal raconto “Il cugino Pons” (1931)
L’uomo senza nome (Mensch ohne Namen), regia di Gustav Ucicky – dal racconto “Il colonnello Chabert” (1932)
Eugenia Grandet, regia di Mario Soldati – dal racconto omonimo
I ribelli della Vandea (Les Chouans), regia di Henri Calef – dal racconto “Gli Sciuani” (1947)
L’amabile ingenua (The Lovable Cheat), regia di Richard Oswald – dal racconto “Mercadet Le Falseur” (1949)
Mio figlio il forzato (Der Bagnosträfling), regia di Gustav Fröhlich
La ragazza dagli occhi d’oro (La Fille aux yeux d’or) – dal racconto omonimo (1961)
Illusioni perdute (Illusions perdues) – dal racconto omonimo (1964)
La bella scontrosa (La Belle Noiseuse), regia di Jacques Rivette – dal racconto “Il capolavoro sconosciuto” (1991)
Il Colonnello Chabert (Le Colonel Chabert), regia di Yves Angelo – dal romanzo omonimo (1994)
La cugina Bette (Cousin Bette), regia di Des McAnuff – dal romanzo omonimo (1998)
La duchessa di Langeais (Ne touchez pas la hache), regia di Jacques Rivette – dal romanzo omonimo (2007)

Intervista al regista

Come è nato il desiderio di adattare Illusioni Perdute al cinema?

Ho scoperto il romanzo quando avevo circa 20 anni, praticamente l’età di Rubempré. Stavo studiando Lettere e ho avuto la fortuna di avere un insegnante di nome Philippe Berthier, diventato da allora un grande specialista de La Commedia Umana. Ho frequentato la Sorbona per stare nel quartiere dei cinema. Non sapevo ancora come ma volevo dedicarvi la mia vita. Tutto si ricollegava al cinema, in un modo o nell’altro… Allora ho cominciato ad accumulare note, riferimenti visivi, studi di critici marxisti o, al contrario, di esteti reazionari, poichè i critici di ogni schieramento avevano rivalutato Balzac. E per quanto mi ricordi, ho sempre avuto l’idea di fare un adattamento cinematografico delle Illusioni. Ma non voglio colorare le immagini del romanzo, plagiare goffamente la narrazione in un adattamento accademico. L’arte si nutre di ciò che brucia. Il cinema è per natura la trasfigurazione di una realtà o di un libro. Altrimenti a che serve?

Quali sono state le vostre scelte per questo adattamento?

Ho scelto di concentrarmi sulla seconda parte del romanzo: Un Grand homme de Province à Paris, l’Odissea del giovane provinciale che scoprirà nella città mostro «il dietro le quinte» e le coscienze dei suoi abitanti. L’intervento di Jacques Fieschi sulla sceneggiatura è stato molto importante per aiutarmi a cogliere il senso del film. Mi ha fornito un approccio sensibile ai personaggi, mi ha aiutato ad umanizzare le loro relazioni quando Balzac mi sembrava troppo beffardo e punitivo.

Il personaggio di d’Arthez non compare nel film…

Nel romanzo, d’Arthez è in qualche modo il contrappunto morale di Lousteau. È un giovane e ombroso scrittore, puro, che incarna la virtù, il lavoro, la pazienza, l’esigenza morale. Una sorta di santo laico che appartiene al gruppo del Cenacolo, un’assemblea di giovani che in poche parole rifiutano di compromettersi facendo patti con il mondo che va verso la corsa impaziente al profitto e al riconoscimento. Nel romanzo, Rubempré è un pò indeciso tra Lousteau e d’Arthez, tra il vizio e la virtù, ma trovavo questa distribuzione drammatica troppo semplice in un film, troppo didattica. E poi filmare la semplice virtù mi annoiava… Se d’Arthez è in qualche modo la cattiva coscienza di Rubempré quando si lascia corrompere, preferivo che questa lacerazione fosse interiore, che Rubempré potesse avere una coscienza, anche se piena di illusioni, delle proprie rinunce. Lo spirito di d’Arthez circola quindi diversamente nel film. Diversi personaggi vedono Lucien rovinarsi e glielo dicono, lo avvertono… ma lui si rovina nonostante tutto… Per vendetta, avidità, facilità, incoscienza, innocenza, istinto di sopravvivenza, piacere… Tutte queste «note» sono sulla sua partitura e formano il tema: il giovane uomo imbarcato in questo movimento del mondo dove tutti i valori che strutturavano la società fino ad allora sono stati scartati come carte da gioco, poste su un tavolo dove tutti imbrogliano. Ma l’importante per me era non dare uno sguardo moralista o punitivo su questa storia. Balzac è allo stesso tempo affascinato e spaventato da questa nuova società che apre la strada al liberalismo economico. Si pone da umanista preoccupato più che da moralista.

Il regista parla della colonna sonora del film.

Dopo aver esplorato il libro e la sua storia per anni, ho avuto bisogno di liberarmene, di concentrarmi su ciò che il testo mi ispirava come sensazioni, come sentimenti, un po’ come ciò che potrebbe suscitare una musica. Ed è ascoltando molta musica che ho sentito il romanzo diventare cinema. È la musica che mi ha riportato a ciò che si cerca al di là delle parole nell’industria cinematografica, soprattutto quando si tratta di un adattamento letterario. Alcuni brani si sono imposti per caso ai miei gusti. Vi trovavo un modo originale di affrontare il lavoro di adattamento, come per esempio quel pezzo di Vivaldi «L’inquietudine» che si sente in apertura del film. È una musica barocca del XVIII secolo rielaborata in uno stile «romantico» da Karajan. Epoche diverse scoprono così un’armonia segreta, come la nostra con quella di Balzac. Max Richter è andato ancora più lontano «riscrivendo» liberamente Le Quattro stagioni di Vivaldi, come per esprimerne lo spirito e la modernità senza tradire l’opera… Ascoltavo anche e soprattutto il concerto per 4 pianoforti e orchestra di Bach, la sua incredibile architettura «corale» dove i temi sembrano dialogare da un pianoforte all’altro. Pensavo a tutti quei personaggi, all’armonia che c’era nell’adattamento per legare tutte quelle linee di vita, tutte quelle voci, tutti quei toni, il tragico e il comico. È così che si è imposto il «movimento», la sensazione estremamente fisica del movimento, sia esso musicale o semplicemente quello dei corpi nei saloni, nei vari quartieri di Parigi, ma anche il grande movimento di una civiltà in piena evoluzione. Bisognava esprimere questa velocità e questo movimento, farne una messa in scena.

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