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In solitario: Recensione in Anteprima del film con François Cluzet

Un’estenuante competizione velica fa da sfondo alla vicenda di uno sportivo che è anche un uomo. Da e su tali premesse si sviluppa e poggia In solitario, film d’esordio di Christophe Offenstein, con François Cluzet

pubblicato 14 Novembre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 07:21

La Vendée Globe è, a detta di molti addentro nel settore, la più significativa tra le competizioni in ambito velico. Trattasi di una regata per barche a vela che consiste nella circumnavigazione completa dell’Antartico, con partenza e arrivo a Les Sables-d’Olonne, Francia. Ciò che rende ancora più particolare questa competizione è che deve essere condotta in solitario, senza alcun punto d’attracco né assistenza esterna. Una prova estenuante che si svolge tra Novembre e Febbraio, sì da permettere ai partecipanti di affrontare i Mari Antartici durante l’estate australe.

Film d’esordio che è più una sfida non da poco quella del capo operatore Christophe Offenstein, per la prima volta dietro la macchina da presa nei panni plenipotenziari del demiurgo. Non esageriamo, ma è chiaro che il passaggio è importante. Incalzato sul perché di questo soggetto come primo lungometraggio, Offenstein avverte che In solitario rappresenta una sfida in linea col suo temperamento, aggiungendo che un “film fisico” come questo era proprio ciò di cui aveva bisogno.

Intelligente la scelta di scaraventarci direttamente a danze cominciate, con il protagonista Yann Kermadec (François Cluzet) chiamato a sostituire all’ultimo minuto l’amico Franck, a causa di un incidente in moto che hai coinvolto quest’ultimo. Non il primo arrivato, certo, tuttavia trattasi della prima volta per Yann, tanto attesa ed agognata, alla Vendée Globe.

Una gara che si rivelerà ancora più ardua di quanto preventivato, poiché Yann poco dopo la partenza dovrà far fronte ad un imprevisto nell’accezione più ampia del termine. Mentre fa sosta alle Canarie per via di un lieve danno, nell’imbarcazione si intrufola il giovane Mano (Samy Seghir). Da quel momento in avanti, in un modo o nell’altro, l’avventura di Yann si capovolge.

C’è da dire che Offenstein riesce a reggere bene un contesto monocromo in termini di ambientazione; sì perché In solitario si svolge pressoché interamente all’interno della barca a vela, salvo qualche piccola digressione sulla terra ferma, ossia col centro operativo dell’intera spedizione. Non solo. Con il dipanarsi della trama veniamo poco alla volta iniziati alla vita di Yann, senza troppe speculazioni. Il punto è che il protagonista, un eccellente Cluzet (qui mattatore indiscusso), ad un certo punto deve dividersi tra queste due vite: quella lasciata in Francia, al momento in stand-by, e quella che sta sperimentando sui mari e sugli oceani agitati. La sua diviene, dunque, un’opera di equilibri precari, costantemente messi a repentaglio dal più banale degli eventi.

Sebbene il titolo del film tenda a giocare col contenuto della trama, vale a dire con quanto di fatto accade, nondimeno risulta veritiero a prescindere. Yann fa fondo a una forza che non può che derivargli dal profondo, energie che sono anzitutto di carattere spirituale. Perché se una regata del genere è provante per il fisico, ancor più, a certe condizioni, lo è per lo spirito. Qui spiccano le doti dell’attore francese, che riesce in maniera del tutto centrata nel compito di restituire questo travaglio interiore del protagonista, in bilico tra il suo ardente desiderio di stupire tutti in gara e l’umanità di uomo che non è per niente il classico burbero dei mari, benché la sua stabilità venga stravolta in corso d’opera.

Un film che in tal senso procede senza exploit, quasi fosse a sua volta un video-diario di questa avventura che trascende il nobile agonismo sportivo, oscillando dalle parti dell’esperienza tout court. Che sarebbe stata tale comunque, perché attraversare il mondo da soli a bordo di una barca a vela non è certo una passeggiata; tuttavia In solitario racconta di una storia nella storia, che ne acuisce il senso e la portata.

Discutibili alcune scelte relative alla colonna sonora, che non di rado ci ricordano certi spot pubblicitari a Resort o villagi vacanza in genere; dovuti probabilmente alla volontà di “alleggerire” il tono del film, che nonostante tutto cerca sempre di sfuggire ad una seppur latente propensione al dramma. In tal senso ponderata invece la scelta inerente alla durata, poco più di un’ora e mezza che regge più che discretamente per la prima ora, salvo poi rischiare di ribaltarsi proprio quando oramai sentiamo l’epilogo sempre più vicino.

Insomma, quando la verve sia dell’aspetto sportivo che di quello umano comincia a scemare, quasi a svanire, tutto quell’ondeggiare dell’imbarcazione, le continue comunicazioni con la Francia, l’ennesima manovra, etc. assumono una piega leggermente diversa: dapprima parte integrante del contesto, essenziale addirittura, sul finire sospetta di quella ripetitività che non sta soltanto nel venirci mostrata in continuazione, quanto nel fatto che a tutte queste situazioni vengono progressivamente alternate sempre meno informazioni. Proprio lì, o poco dopo, il film volge al termine. Missione compiuta? Beh, se non altro trattasi di una storia sostanzialmente positiva e che si lascia seguire nonostante un’ambientazione a rischio, mantenuta competentemente sullo sfondo di una vicenda principalmente umana prima ancora che sfrenatamente sportiva.

Voto di Antonio: 6

In solitario (En Solitaire, Francia, 2013) di Christophe Offenstein. Con François Cluzet, Samy Seghir, Virginie Efira, Guillaume Canet, Arly Jover, Karine Vanasse, José Coronado, Dana Prigent e Jean-Paul Rouve. Nelle nostre sale da giovedì 21 novembre.