In viaggio coi fratelli Coen – settimo appuntamento con la collana Moviement
La collana Moviement di Gemma Lanzo Editore ci propone una monografia sui fratelli Coen
Mentre fior fiore di sociologi/studiosi/esperti si domandano se, come, quando e perché il post-modernismo sia giunto al capolinea, a noi, che ci interessiamo di cinema, tocca guardarci in casa. E lo facciamo con enorme piacere, nonché con estrema curiosità, dato che il fenomeno appena citato ha avuto proprio in questo medium un importante alleato. Non sappiamo voi, ma per quanto ci riguarda, quando si tratta di evocare tale corrente, non possiamo fare a meno di pensare ai fratelli Coen.
Ma che non siamo gli unici ai quali passino per la testa questi strani collegamenti è altrettanto evidente. Ultimamente uno dei casi più interessanti ci è stato fornito dalla lettura dell’ottima monografia pubblicata nell’ambito della collana Moviement, progetto istituito e portato avanti con non poca passione da Gemma Lanzo, Costanzo Artermite e dalla loro casa editrice.
Quello con i fratelli Coen rappresenta il settimo e verosimilmente non ultimo appuntamento con questa collana. Prima del “regista a due teste”, altri illustri cineasti sono stati trattati e approfonditi con la medesima dovizia e competenza. Tra questi citiamo Quentin Tarantino, David Lynch, Terrence Malick e Jan Švankmajer. Tutti strumenti che possono rivelarsi essenziali al fine di tentare un approccio all’argomento, sia per i “principianti” che per i “più navigati”.
Come accennato in apertura, però, oggi ci soffermeremo brevemente su quanto l’Editore ha raccolto riguardo ai fratelli Coen. Ciò che abbiamo anzitutto apprezzato del format della collana Moviement è l’impostazione che si è voluta dare alla sua struttura. Nei libri proposti non scorgerete neanche alla lontana la pesantezza di quei tomi, spesso pretenziosi ed autorefenziali, tipica di chi non si cura affatto dei potenziali lettori.
Chiunque, dal più digiuno al più smaliziato, può davvero attingere qualcosa di interessante dalle pagine che trovate nella monografia inerente ad uno (permetteteci di considerarlo uno solo) dei più interessanti autori degli ultimi trent’anni. E a darci ragione di ciò, non sono esattamente dei dilettanti. Debitamente tradotti, troviamo articoli apparsi in siti come il sempre puntuale Senses of Cinema (come quello scritto da Paul Coughlin), o interventi altrettanto illuminanti come quello di David Del Valle su Il Grande Lebowski.
Grazie anche ai contributi di Alessandro Baratti, Douglas McFarland, Elena Degrada e Gabriele Gimmelli, veniamo trascinati in questo vortice di intuizioni, ricordi, stralci di vita vissuta, tutto riguardante la comparsa e la successiva affermazione dei fratelli cresciuti in una famiglia ebraica in quel del Minnesota. Un viaggio sempre coinvolgente, mai banale ma al tempo stesso lungi dal proporci un approccio prettamente “accademico” all’argomento.
Questo settimo appuntamento ci invita a riflettere su componenti chiave in funzione di una corretta percezione dell’opera coeniana. Domande a cui tanti appassionati cercano risposta troveranno certamente terreno fertile tra queste pagine. Qual è il loro carattere distintivo? Da che materiale hanno attinto? Cosa, per loro, è stata fonte di maggiore ispirazione? Basta l’etichetta di un genere per definire certi loro film? Chi dei due si occupa di cosa?
A questi e ad altri quesiti si riesce a dare, se non una risolutoria risposta, un encomiabile contributo ai fini della discussione. D’altro canto, per quello che ci è parso di capire, il libro in questione punta più a stimolare un dibattito anziché elargire sentenze inequivocabili. Mediante un percorso che, come dicevamo, è strutturato in maniera abbastanza ricca e schematica, possiamo certo dire che anche il più ignorante in materia ne uscirà consapevole. Analisi, approfondimenti ed interviste sono le misure adottate, con uno stile peraltro delizioso, per riuscire nell’intento.
Missione che ci pare si possa riassumere in maniera piuttosto efficace riportando quanto proprio Gemma Lanzo scrive a pagina 58. A lei la parola.
Senza dubbio oltre all’inconfondibile creatività e alla formidabile immaginazione, le componenti fondamentali del cinema coeniano, che attraverso la scrittura ne definiscono l’originalità, sono molteplici e si esplicano tramite la diversificazione delle scelte linguistiche, il cercar sempre elementi nuovi che possano mostrare in chiave ‘leggera’ i drammi esistenziali, la lettura profonda e personalizzata della società nei diversi periodi storici, la continua collisione tra realtà estremamente diverse, il non tralasciare motivazioni più alte e trasmettere messaggi complessi di carattere sociale, etico ed esistenziale. In ultima analisi, i film dei fratelli Coen puntano diritti all’essenza dell’uomo la cui credenza profonda condiziona il suo comportamento e lo induce inconsapevolmente a prendere delle decisioni. L’umorismo serve a sdrammatizzare l’ineluttabilità della condizione umana e dei suoi risvolti. Da qui si delinea uno stile inconfondibile che ci aiuta a definire la ‘commedia alla Coen’.
Noi, probabilmente, non avremmo saputo descriverli meglio – certamente non in così pochi periodi.