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Stasera in tv: “Io, noi e Gaber” su Rai 3

Rai 3 stasera propone il docufilm di Riccardo Milani (Grazie ragazzi), un ritratto intimo e appassionato di Giorgio Gaber.

1 Gennaio 2024 10:43

Io noi e Gaber, su Rai 3 il docufilm di Riccardo Milani (Grazie ragazzi) che traccia un ritratto intimo e appassionato di Giorgio Gaber, che include ad un tempo la sua storia personale e una sinfonia di voci di colleghi e artisti che lo hanno vissuto e amato.

Io noi e Gaber – Trama e trailer

La trama ufficiale: Girato tra Milano e Viareggio, nei luoghi della vita di Giorgio Gaber, “Io, noi e Gaber”è il ritratto più che mai vivo e incisivo del Signor G., al centro di una delle pagine più preziose della storia culturale del nostro paese. Un viaggio esclusivo che attraversa tutte le fasi della sua carriera artistica: dai primissimi esordi nei locali di Milano al rock con Adriano Celentano, dal sodalizio artistico e surreale con l’amico Jannacci agli iconici duetti con Mina e alle canzoni con Maria Monti. Dagli anni della popolarità televisiva al teatro, con l’invenzione, insieme a Sandro Luporini, del Teatro Canzone, piena espressione del suo impegno politico e culturale. Sullo sfondo, come locus amoenus che tutto muove e in cui tutto converge, si staglia il Teatro Lirico di Milano, simbolo del vicendevole amore tra Gaber e il pubblico milanese, e che oggi porta il suo nome Teatro Lirico Giorgio Gaber.

Attraverso la voce di familiari e amici, Riccardo Milani traccia un ritratto intimo e appassionato che include ad un tempo la sua storia personale attraverso una sinfonia di voci di colleghi e artisti che lo hanno vissuto e amato. Il docufilm vede la partecipazione speciale di Gianfranco Aiolfi, Massimo Bernardini, Pier Luigi Bersani, Claudio Bisio, Mario Capanna, Francesco Centorame, Lorenzo Jovanotti Cherubini, Ombretta Colli, Paolo Dal Bon, Fabio Fazio, Ivano Fossati, Dalia Gaberscik, Ricky Gianco, Gino e Michele, Guido Harari, Paolo Jannacci, Lorenzo Luporini, Roberto Luporini, Sandro Luporini, Mercedes Martini, Vincenzo Mollica, Gianni Morandi, Massimiliano Pani, Giulio Rapetti – Mogol, Michele Serra.

Il cast tecnico: Fotografia di Saverio Guarna / Montaggio di Francesco Renda / Suono di Adriano Di Lorenzo

Giorgio Gaber ha recitato in Juke Box, Urli D’amore (1960) di Mauro Morassi; Gli imbroglioni (1963) di Lucio Fulci; Il minestrone (1981) di Sergio Citti; Rossini! Rossini! (1991) di Mario Monicelli.

“È stato un lavoro lungo e intenso, al quale la Fondazione ha partecipato rimanendo sempre vicina al regista e alla troupe. Abbiamo avuto il privilegio di assistere ad un vero e proprio lavoro cinematografico, il vero cinema applicato al racconto della storia artistica e della vita di Giorgio Gaber, che ci auguriamo possa restare a disposizione di tutti per sempre, proprio come i film classici. Un’opera realizzata con grande passione, rispetto e ammirazione per la figura di Gaber, come se fosse in qualche modo sempre presente, come se aleggiasse sul lavoro di tutta l’equipe” le parole di Paolo Dal Bon, Presidente della Fondazione Gaber.

Promosso dalla Fondazione Gaber, il docufilm è prodotto da Atomic in coproduzione con RAI Documentari e Luce Cinecittà.

Note di regia

Giorgio Gaber è stato una persona importante della mia vita. Da piccolo mi ha divertito con l’allegria di Goganga, Il Riccardo o La Torpedo blu, e dal liceo in poi mi ha fatto alzare la testa e avere uno sguardo sul mondo segnando il mio percorso di formazione. Raccontarlo per me è stato soprattutto un modo per ringraziarlo per tutto quello che nei decenni mi ha dato e, soprattutto, ha dato a tutti noi. Gaber è stato tante cose.

È stato un grande musicista, un grande cantante, un conduttore televisivo, un attore, un uomo di teatro inventore di un genere, un artista di impegno civile. Un uomo che ha parlato a tutti e con il quale tutti hanno fatto, e forse devono fare ancora, i conti. Ha parlato alla società civile e alla politica, ha parlato alla destra e alla sinistra, ai movimenti e alle singole persone. Ha avuto sempre il coraggio di fare scelte scomode per le quali correre dei rischi e pagare dei prezzi. Ha mantenuto intatto il coraggio del pensiero, il coraggio di indignarsi, rincorrendo solo la giustezza delle cose e non il giudizio dettato dalla moda.

Ascoltare Gaber oggi è importante quanto “vederlo”. Vedere il suo corpo esprimere la sua rabbia, vedere la sua passione civile, vedere e ascoltare il suo coraggio nel non avere né autocensure opportuniste, tantomeno censure di nessun tipo. Gaber è di fatto un esponente della cultura del nostro paese che ha avuto la capacità e la volontà, di essere popolare.

Viaggiando dalla risata, al divertimento e la leggerezza, fino all’impegno, l’analisi, la passione, la rabbia, l’accusa. E tutto questo solo per la gente, per le persone, per quella società che riusciva a guardare con lucidità e affetto anche quando prevaleva la rabbia feroce nel raccontarne le aberrazioni. E se una cosa più di altre mi porto dietro, da quando lo andavo a vedere nei concerti in cui ci diceva cosa fossimo diventati, è stata la lucidità nel giudizio su tutte le cose della vita, dalla politica alla sanità, dall’amore alla giustizia. Un senso etico profondo e necessario che ho cercato di coltivare sempre.

Perché la stagione di Gaber ha attraversato decenni importanti della storia del nostro paese, anni meravigliosi e terribili in cui la passione per un mondo più in armonia e più giusto era viva e diffusa. È stata una voce importante per tutti noi anticipando tutto quello che in questi decenni si è avverato, prevedendo che l’ideologia del mercato avrebbe schiacciato oggi tutte le altre. Segnando una disperata continuità tra lui e Pier Paolo Pasolini. Per questo, tra le rarissime certezze della vita, ce n’è sicuramente una: Gaber ci serve ancora e ci serve adesso.

Grazie a Dalia, che mi ha proposto questo lavoro su suo papà Giorgio, dandomi felicità e responsabilità. L’ho amato sempre e ora ancora di più. Grazie ai produttori e ai distributori. Grazie alla Fondazione Gaber e al suo presidente Paolo Dal Bon preziosa e appassionata memoria dell’opera di Giorgio Alla famiglia Luporini, a Sandro in particolare, novantenne lucido e appassionato. Grazie a tutte le persone che, ognuna a modo suo, hanno voluto partecipare a questo viaggio per applaudirlo ancora. [Riccardo Milani]

Giorgio Gaber – Note biografiche

Adriano Celentano e Giorgio Gaber 1966 (Photo by Archivio TV Sorrisi e Canzoni\Mondadori via Getty Images)

Cos’è, cosa dice, scrive e fa un intellettuale, in una stagione confusa come la nostra? È uno che mentre gli altri sembrano fare i conti con le cose più spicciole guarda un po’ più in là e un po’ più dentro. Le parole di tutti non gli bastano, per lui vogliono dire un’altra cosa. Perciò le deve riscoprire, ripulendole da ovvietà ed equivoci. Perché l’intellettuale vero le parole le usa tutte, le più semplici come le più difficili, e non ne teme nessuna.

E poi l’intellettuale, quello vero, lo distingui perché ama il pensiero ma ancora di più ama la realtà. Ed è lì che diventa scomodo. Le parole, i pensieri, le ideologie, le misura con la realtà. E dunque di volta in volta diventa spiacevole per qualcuno. Quando un intellettuale non spiace più a nessuno non è che serva a molto.

Giorgio Gaber, come intuì qualche tempo fa lo scrittore e critico Luca Doninelli, è un intellettuale, forse l’ultimo della sua generazione. Quando oggi scrive: “La mia generazione ha perso” non è per finta ma nemmeno per autolesionismo. Grida che qualcosa è finito, qualcosa che era un sogno grande, e di tanti. Lui, che era nato come cantante di successo, entertainer di classe, lui che andava in tournèe con Mina e aveva un posto da titolare in tivù come a Sanremo, ci aveva creduto. E aveva mollato tutto per il teatro, l’impegno, il sociale. Parole consumate, oggi. Ma per chi negli anni 60 aveva cantato, e fatto cantare, successi come Non arrossire, La ballata del Cerutti, Porta Romana, Mai mai mai Valentina, E allora dai, Torpedo blu, Il Riccardo, Barbera e Champagne, La balilla, era stata una vera svolta.

Ma c’è di più. Gaber è stato ed è anche oggi, oggi che il suo interlocutore si è ormai frammentato in mille direzioni, un intellettuale collettivo. Altra parola consumata, che ci rimanda l’eco di antiche ideologie. Ma se la applichiamo a Gaber la definizione vuole semplicemente dire che insieme a Sandro Luporini in questi anni ha sentito e cantato per molti, suscitando emozioni e disappunti, esami di coscienza e commozioni, persino “inni” chissà se davvero compresi (“libertà è partecipazione”).

Poi Giorgio Gaber ama il rigore della forma, nella scrittura e in palcoscenico. Usa i mezzi di comunicazione per quello che sono e che valgono. Infatti la sua lingua è netta, semplice, diretta. Non ha complessi d’inferiorità verso la cultura alta, narcisistica, autoreferenziale degli intellettuali all’italiana. In teatro ha promosso un’audace convivenza di forme, dal monologo alla canzone, dalla pièce di prosa fino ai bis con la chitarra. E volta per volta, a seconda della necessità, la sua parola si è fatta sberleffo, richiamo, dileggio, emozione, disincanto, amarezza.

Si è sentito per anni insieme a un’intera generazione e poi di colpo solo, sempre più solo. Credeva di aver conquistato una certa opinione pubblica ma poi l’ha sentita sempre più distaccata, impermalosita, alla fine persino polemica. In compenso, in oltre quarant’anni di carriera, ha continuato a scoprire nuovi interlocutori e sempre nuovo pubblico, divenendo intramontabile campione d’incassi a teatro e, a sorpresa, di nuovo gran venditore di dischi alla svolta del secolo. Ma come si costruisce, nel tempo, un intellettuale vero?

[Per la biografia completa redatta da Massimo Bernardini clicca QUI]

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