Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk: recensione in anteprima
Istanbul fa da sfondo ad un’ossessionata storia d’amore, sospesa tra realtà e finzione come in fondo lo è stessa città turca. Accattivante viaggio nella memoria storica di uno dei centri urbani più complessi al mondo, tra sperimentazione ed amore per il racconto
Quando Innocence of Memories (titolo originale di Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk) finisce è un po’ come risvegliarsi, aprire gli occhi e non essere sicuri se il sogno che si è appena fatto sia piaciuto o meno. Già questo mi sembra un risultato significativo, cui va dato atto a Grant Gee, regista britannico che si è cimentato in questo complesso lavoro di traposizione del libro scritto dal Premio Nobel Orhan Pamuk. Un viaggio attraverso una Instanbul spettrale, buia, evocata e mai del tutto reale.
D’altronde Innocence of Memories parla di una viscerale storia d’amore consumatasi trent’anni fa, raccontata attraverso ricordi materiali, per così dire. Spieghiamo meglio. Pamuk ha raccolto una cospicua mole d’oggettistica di vario tipo con cui i due amanti, Kemal e la cugina più piccola Fusun, sono venuti a contatto nel corso degli anni; dopodiché ha inaugurato un Museo, detto dell’Innocenza per l’appunto, cinque piani che raccontano questo tormentato amore.
Il film di Gee non è di quelli che si lasciano guardare con noncuranza o che accarezzano lo spettatore ma che; al contrario, richiedono parecchio. La tendenza alla sperimentazione lo rende un oggetto complesso, che ha però il merito di spingere un po’ più in là i confini del documentario, così come delle trasposizioni dalla Letteratura al Cinema. Le immagini sono a supporto del testo, non viceversa, il quale a sua volta è strutturato in maniera atipica. Insomma, il progetto è ambizioso, motivo per cui si tratta di cogliere quelle invettive che un’operazione di questo tipo porta in dote.
In termini di narrazione l’espediente più intrigante riguarda il luogo: Instanbul, inizialmente contesto, poco alla volta diventa la vera protagonista. La macchina da presa percorre le strade dell’antica città turca così come Pamuk si aggira nei sentieri della sua memoria e di quella di Kemal, mettendoci a parte non solo della vicenda tra i due giovani, ma di come Instanbul sia cambiata nel tempo. E si avverte una sovrapposizione che poco alla volta diviene sempre più chiara: l’amore che Kemal coltiva per Fusun contempla delle analogie con quello che lo scrittore ha per la sua città.
Pamuk lo dice apertamente: tutto ciò che sono lo devo ad Istanbul, e senza di lei sarei nulla. Ma lei, Istanbul, è cambiata nel corso del tempo, tanto che l’immagine che se ne ha oggi non rispecchia i ricordi di chi l’ha vissuta decenni addietro. È senz’altro accattivante questo lavoro di memoria storica, che improvvisamente muta in memoria urbana, specie in relazione ad una città trasformatasi come poche al mondo, ma che malgrado tutto vive sospesa tra ciò che è stata è ciò che vorrebbe essere.
Certo, insistendo su questa linea ci troviamo di fronte ad una gigantesca metafora, di cui però non si deve aver paura. Anzitutto perché è lo sviluppo stesso a fomentarla, paventando a più riprese, sebbene in maniera implicita, che la burrascosa relazione tra i due cugini possa essere frutto dell’immaginazione dello scrittore. D’altronde è così meticolosa la disposizione di sigarette, pettini, vestiti, foto e quant’altro che solo l’ossessione spiegherebbe un simile scenario. Un gioco di finzioni che si mescolano, esperimento che ci consegna una storia sfuggente, volutamente tale.
Opere come Innocence of Memories si situano in un momento storico particolare, e proprio per questo non si possono liquidare così impunemente. Il fatto stesso che ci troviamo sprovvisti di strumenti per analizzarle o “valutarle” come con tanti altri prodotti, dovrebbe indurci a tenere desta la nostra attenzione, cercando di capire se lì in mezzo non vi sia qualche embrione di ciò che il raccontare per immagini si appresta a diventare. L’attenzione per certi vessi ossessiva ai dettagli, tipica della carta intesa come letteratura, sta lì a suggerirci una commistione che non è mero ritorno. Non a caso di questo viaggio nella notte (cit.) restano impresse le televisioni dei vari locali, tutte sintonizzate sull’intervista a Pamuk, così come quella sorta di aneddoto sui cani che si aggirano nelle prime mattinate, quando sono loro a comandare in città.
Il linguaggio di cui si serve Grant Gee non è affatto conciliante, come sempre accade quando si tenta di passare allo step successivo. Quel che è certo è che Innocence of Memories sia anzitutto documento, qualcosa di diverso però rispetto al senso che noi siamo soliti attribuire a tale termine. È più l’onirico e conturbante resoconto di un’esperienza, quella che si fa ricordo e che in quanto tale non è mai netta come può esserlo la classica registrazione di eventi reali. Di certo non si tratta d’innovazione per l’innovazione, poiché emerge il tentativo di farsi seguire anziché di rompere chissà quale legame con la forma classica. A fregarci è l’abitudine, che rende un esperimento di questo tipo meno leggero di quanto potrebbe plausibilmente essere.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
Istanbul e il Museo dell’innocenza di Pamuk (Innocence of Memories, Regno Unito/Turchia, 2015) di Grant Gee. Uscita evento Nexo Digital martedì 7 e mercoledì 8 giugno 2016.