Jafar Panahi ha girato un altro film in segreto durante la prigionia in Iran
Condannato a 6 anni di carcere, Panahi per 20’anni non può fare cinema: ma ha già girato un altro film, dopo This is Not a Film. Parola dell’amico Kiarostami.
Gli ultimi due-tre anni sono stati un po’ “strani” per il cinema iraniano. Da una parte l’emozione e gli applausi per Una separazione di Asghar Farhadi, il cui viaggio è culminato con l’Oscar come Miglior film straniero. Dall’altra lo sdegno e il dolore per la situazione di Jafar Panahi, uno dei registi iraniani contemporanei più importanti. Situazione che non gli ha impedito, a suo rischio e pericolo, di girare un “diario” sulla sua prigionia: This is Not a Film, presentato a Cannes 2011.
Arrestato già l’estate del 2009 per aver partecipato alla commemorazione per Neda Agha Soltan, la giovane donna uccisa durante le proteste per le elezioni di giugno, Jafar Panahi è nuovamente arrestato nel marzo 2010 mentre gira un corto a Teheran (The Accordion, presentato a Venezia). Il mondo del cinema si mobilita, ad iniziare dal Festival di Cannes, che virtualmente mette il nome del regista fra i giurati della competizione ufficiale. Durante la conferenza stampa di Copia Conforme del collega Abbas Kiarostami, sulla Croisette, viene data la notizia che Panahi ha iniziato in carcere lo sciopero della fame.
Il 25 maggio, Panahi viene rilasciato dietro il pagamento di una cauzione. Dovrebbe poi essere uno dei giurati ufficiali del Festival di Berlino 2011, questa volta fisicamente presente per davvero, ma è nuovamente incarcerato dal regime di Ahmadinejad. Il regista viene condannato a 6 anni di prigione, e per 20′anni non potrà assolutamente scrivere sceneggiature e girare film. Il tutto è reso ancora più grave dal divieto di lasciare il paese in questo eterno lasso di tempo.
Presentando il suo ultimo lavoro al New York Film Festival, Like Someone in Love (da noi Qualcuno da amare; qui la nostra recensione da Cannes), l’amico e collega Abbas Kiarostami ha dichiarato però che Panahi è riuscito, come nel caso di This is Not a Film, a girare un altro film. La pellicola, di cui Kiarostami non specifica la “natura”, potrebbe essere presentata ad un festival tra poco (Roma? Berlino?). E riguardo alla condizione di girare film in Iran dichiara:
Qualcuno resta in Iran e subisce la censura, lavorando come meglio può. Altri, come me, decidono di lavorare da un’altra parte [Copia Conforme è girato in Italia, Like Someone in Love in Giappone, ndr]. Ognuno fa quel che può. Ovviamente, la situazione è difficile per chiunque.
All’ultima Mostra di Venezia, nella sezione Orizzonti, è stato presentato The Paternal House, ultimo lavoro del regista Kianoosh Ayyari. Si tratta di un duro atto d’accusa verso la condizione femminile in Iran, narrato attraverso l’omicidio di una figlia da parte del padre; omicidio che si “ripercuote” sulla famiglia nel corso degli anni. La conferenza stampa del film fu cancellata per motivi ignoti: ma al Lido si diceva che ad Ayyari fosse stato impedito di uscire dal paese.
Nonostante tutte le resistenze e gli impedimenti del regime, il nuovo film di Panahi non potrà che segnare un altro colpo alla censura. Conferma che, quando è così scoperta, può essere combattuta con la stessa arma che tenta di zittire: l’arte. Geniale, inarrestabile Panahi.
Fonte: indieWIRE