Jake Gyllenhaal: “Servono due cose: fortuna e gentilezza”
Jake Gyllenhaal parla di carriera e di affetti
Oggi, 7 novembre, esce al cinema il film thriller Prisoners. Dopo avervi regalato ieri un’intervista con il regista Denis Villeneuve, oggi vi propongo quattro chiacchiere con Jake Gyllenhaal, estratte dall’articolo di IoDonna che esce in edicola sabato 9 novembre.
Subito prima di Prisoners lei ha girato un film più piccolo con lo stesso regista, Enemy. Piuttosto insolito…
Ma tra i due film ho recitato in teatro a new York per cinque mesi. E dopo sono subito passato al set di Prisoners. Il rapporto con Denis villeneuve è molto intenso. Mi fido totalmente di lui e lui di me. Non abbiamo paura di litigare, di scontrarci, anche violentemente, perché fra noi c’è una grande e reciproca ammirazione. È il tipo di rapporto con un regista che ho sempre cercato. Mentre giravamo Enemy, che è uno dei miei film che amo di più, Denis mi ha offerto Prisoners. Ho capito che mi piaceva così tanto lavorare con lui che avrei accettato di fare qualunque cosa. Per me l’intesa con il regista è persino più importante della sceneggiatura e del mio ruolo.
Quando non lavora che cosa fa? Come trascorre le sue serate?
Negli ultimi tempi, preparando il mio prossimo film. in questo periodo mi dedico moltissimo al lavoro. Dopo i trent’anni sono diventato più tranquillo. E cerco di stare il più possibile con i miei. La famiglia è terribilmente importante per me, con loro posso rilassarmi. La loro onestà e il loro amore rappresentano tutto, sono stati la mia scuola di vita. Infatti da due anni vivo a new York perché volevo che fossimo vicini. Mia sorella ha due bellissime bambine che crescono velocemente e io non voglio perdere questo momento delle loro vite. Sono a solo tre fermate di metrò e vado da loro appena posso.
Le è ancora possibile usare il metrò? La lasciano in pace?
(Ride) Me lo chiedono in molti… Sì. Al massimo mi dicono: “Continua a lavorare seriamente, mi raccomando”. tutti lavorano sodo a new York.
Suo padre è cristiano e sua madre ebrea. Lei è religioso?
Credo soprattutto nella spiritualità. I miei mi hanno insegnato l’umiltà… e a provare di dividere con gli altri ciò che si ha. Mi sono avvicinato al buddismo negli anni dell’università, ma essenzialmente credo nel messaggio di amore insito in molte religioni.
Crescere nell’ambiente dello spettacolo l’ha preparata ad affrontare meglio i “rischi” del suo mestiere?
Credo di sì e ho visto quanto questo lavoro può condizionare la vita di chi lo fa. Anche se recito da quando avevo dieci anni, mi sono reso conto solo da poco di quanto ancora io abbia da imparare. Alcuni mi considerano un veterano, invece io ho l’impressione, a 32 anni, di aver iniziato da poco. Comincio a conoscermi ora. E dire che, se il pubblico mi vede circa in un film all’anno, io sto con me stesso ogni giorno. (Ride)
Quanto conta la fortuna?
Molto. Due cose sono essenziali: una grande fortuna e la capacità di essere gentile, buono con tutti… sperando che gli altri lo siano con te. Credo che tutti si sforzino di fare del proprio meglio e cerco sempre di ricordarlo quando qualcuno mi fa arrabbiare.