James Gray da Little Odessa a The Immigrant. Profumo di Palma d’Oro?
Per il giovane regista newyorkese si tratta della quarta partecipazione al Festival di Cannes, che sia la volta buona per la Palma d’Oro?
James Gray a 43 anni è al quinto film e alla quarta partecipazione al Festival di Cannes: il “bambino prodigio” nato a New York da una famiglia di immigrati polacchi di origine ebrea, esordì a soli 25 anni con Little Odessa (1994), un film ambizioso e dal cast eccezionale ambientato nell’omonimo quartiere di Brooklin dove vivono gli ex immigrati di origine ucraina (ricordate il successivo Lord of War con Nicolas Cage?). Cupo, affascinante, con un grande Tim Roth e un’ammaliante Vanessa Redgrave, senza dimenticare Edward Furlong, il film meritò un Leone d’Argento a Venezia, ottenendo il Premio speciale per la regia. Un bell’esordio, non c’è che dire.
Gray divenne immediatamente un regista di culto, ma la sua produttività può essere paragonata a quella di Malick e prima di rivederlo dietro la macchina da presa ci sarebbero voluti sei anni, quando iniziò il suo lungo e affiatato sodalizio con Joaquin Phoenix (e in minor misura con Mark Wahlberg), dirigendolo in The Yard. Ancora New York, la Grande Mela e i suoi sobborghi, un fil rouge che accompagna tutta la produzione di Gray dall’esordio all’ultimo The Immigrant. Questa volta siamo negli anni ’80 e la storia racconta di due fratelli (Phoenix e Whalberg) invischiati in affari illeciti: un racconto semi-autobiografico, basato su uno scandalo di corruzione per appalti alla metropolitana che coinvolse anche il padre del regista. Il film sancì l’esordio del regista a Cannes, ma la Palma d’Oro andò a Dancer in the Dark del danese Lars von Trier. Da lì a il terzo film, I padroni della notte (We Own the Night), il passo fu breve, anche se trascorsero altri sette anni: ancora New York, ancora due fratelli, ancora Phoenix e Whalberg, ancora gli anni ’80. Una grande colonna sonora per un film che ricorda le atmosfere e i temi di Carlito’s Way, le notti sfrenate, le feste, la cocaina: ottime interpretazioni, tra cui quella dell’inossidabile Robert Duvalle, una nuova nomination a Cannes ma ancora nulla da fare.
Da lì in poi la carriera di Gray accelerò e l’anno successivo usci Two Lovers: Joaquin Phoenix e Gwyneth Paltrow protagonisti di una storia d’amore impossibile nel quartiere ebreo della Grande Mela, dove un giovane accetta il proprio destino, soggiacendo alle aspettative della famiglia e della società, rinunciando ai propri istinti per fare “la cosa giusta”. Un film delicato e intenso al tempo stesso, che abbandona le tematiche dei bassifondi, per concentrarsi sull’ipocrisia della società con cui ognuno di noi deve fare i conti. Nuova nomination alla Palma d’Oro, che però andò a un film francese (e la Francia non vinceva da vent’anni), Entre les murs di Cantet.
Oggi Gray ci riprova, con The Immigrant e i suoi disperati emigranti polacchi (come la famiglia del regista) che combattono ogni giorno nella New York degli anni ’20: Joaquin Phoenix questa volta è accompagnato da Marion Cotillard, una delle attrici della nuova generazione più apprezzate dalla critica e chissà se la giovane francese non possa essere l’arma in più per Gray, alla sua quarta presenza sulla Croisette.