Jonas Mekas, muore a 96 anni una delle figure chiave del cinema indipendente americano
Non aveva alcuna intenzione di andare in pensione, espressione che affermava di non capire nemmeno. Attivo fino all’ultimo, solo la morte ha potuto mettere un punto al lavoro di una delle figure di spicco nel cinema americano del secolo scorso, ma anche di quello attuale
Oramai era difficile immaginarlo senza quella coppoletta che teneva sulla testa da qualche anno a questa parte. Jonas Mekas muore a 96 anni, grande quasi quanto quel cinema che ha bazzicato a modo suo, senza mai farsi integrare da logiche che non sono soltanto e banalmente commerciali. Capostipite dell’avanguardia americana, di stanza a New York, Mekas, dunque il suo lavoro, ne è un po’ la memoria storica.
Raramente, infatti, è possibile identificare un autore col proprio lavoro; non chiamatelo artista, termine che non gradiva particolarmente, preferendogli quello più appropriato di filmer (nemmeno filmmaker), ossia uno che si limita a riprendere, registrare. Eppure anche tale etichetta finisce col non dire abbastanza, non solo perché, oltre a circa sessanta film, ha anche pubblicato una cosa come venti poesie; no, il punto è che Mekas, dal nostro punto di vista, appare come una persona che ha vissuto a pieno la propria esistenza, facendo ciò che ha ritenuto di dover fare senza preoccuparsi di dare a sé stesso un titolo.
L’approccio cosiddetto diaristico con cui si è imposto nel tempo è a sua volta, consapevolmente o meno, precursore di quel fenomeno venuto fuori tutto sommato di recente e che risponde al nome di YouTube – per essere più specifici, diciamo che semmai si pone quale antesignano di quella pratica, comunque diversa, che è il vlogging. Era avanti Mekas, e come tutti coloro che lo sono davvero, non ha mai dato l’impressione di averlo deciso a tavolino («faccio ciò che faccio perché devo farlo; è la mia natura, è parte di me», ebbe a dire in un’occasione).
Lituano, quando si trasferì nella Grande Mela trovò i soldi per procurarsi una Bolex e da lì ebbe inizio tutto. Ha scritto di critica cinematografica, co-fondando prima una rivista, Film Culture, poi un archivio, l’Anthology Film Archives, che nell’East Village continua a proiettare film sperimentali. Come scrisse Bilge Ebiri nella sua preziosa conversazione con Mekas, quest’ultimo «non scriveva i suoi film: li faceva, li mostrava e sarebbe persino opportuno dire che li viveva».
Chissà quanti modi ci sarebbero per chiudere un pezzo del genere, posto che sarebbe piacevole scriverne ancora. Ma siccome il dovere s’impone, al momento non trovo miglior modo per congedarsi che una frase che disse lui stesso allorché incalzato con una domanda sul futuro del cinema d’avanguardia, specie a fronte della sfida posta dalla rete. Mekas diede la sua risposta, dopodiché chiosò: «What survives is not only art». Ciò che resta non è solo arte.