Home Curiosità Kill Me Please: foto e curiosità della commedia nera di Olias Barco

Kill Me Please: foto e curiosità della commedia nera di Olias Barco

Kill Me Please ha conquistato il Festival di Roma 2010 portandosi a casa il primo premio e finalmente arriva anche da noi, il 14 gennaio 2011. La commedia grottesca arriva dal Belgio, è diretta da Olias Barco e interpretata da Saul Rubinek, Benoît Poelvoorde, Virginie Efira, Aurélien Recoing, Bouli Lanners, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Zazie

di carla
pubblicato 10 Gennaio 2011 aggiornato 1 Agosto 2020 16:08


Kill Me Please ha conquistato il Festival di Roma 2010 portandosi a casa il primo premio e finalmente arriva anche da noi, il 14 gennaio 2011. La commedia grottesca arriva dal Belgio, è diretta da Olias Barco e interpretata da Saul Rubinek, Benoît Poelvoorde, Virginie Efira, Aurélien Recoing, Bouli Lanners, Virgile Bramly, Daniel Cohen, Zazie De Paris.

Ecco la trama: il dottor Kruger (Aurelien Recoing) ha una clinica specializzata nella morte assistita. Ogni paziente spiega i motivi che lo spingono a suicidarsi ed hanno anche l’occasione di esprimere un ultimo desiderio. Il dottore non si aspetta un tale successo ma quando arriva un gruppo di stravaganti aspiranti suicidi…

Una curiosità: il film doveva intitolarsi Dignitas, il vero nome dell’associazione svizzera per l’eutanasia assistita. Dopo il salto trovate un’intervista al regista e il resto delle foto. Qui potete vedere il trailer italiano.

Kill Me Please: foto e curiosità della commedia nera di Olias Barco
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Intervista col regista Olias Barco

Qual è stata la genesi di questo film?
Dopo SNOWBOARD, il mio primo film, volevo suicidarmi. Il mio amico sceneggiatore Stéphane Malandrin mi disse: “Piuttosto, gira un film.” Ho cercato i finanziamenti in Francia, ma mi guardavano tutti come se fossi Django, il cavaliere nel film di Corbucci che fugge dal suo cimitero e si trascina la bara dietro di sé. Ho scoperto che esiste un paese che accoglie i rifugiati artistici: il Belgio. Vi sono fuggito con mia moglie e i miei figli, prima che mi rimettessero nella bara. E fu a Bruxelles che nacque il film.

Questo è un film sul suicidio ?
Sono sempre stato affascinato dai suicidi di massa, come quello che è avvenuto in Giappone. Pensavo a una trama su questo tema quando Virgile Bramly mi ha detto che c’era un’associazione benefica in Svizzera chiamata Dignitas che aveva come scopo quello di fornire assistenza medica per l’eutanasia. Ne ho parlato con Stéphane Malandrin, lo sceneggiatore con cui collaboro di solito, che ha adorato questa idea.

È un film sulla clinica Dignitas in Svizzera?
No. Innanzitutto, si dovrebbe tenere in considerazione che la Dignitas non è esattamente una clinica. La morte a volte avviene nella stanza da letto di un appartamento, a volte in una camera d’albergo, a volte anche in una macchina, perché hanno problemi con le autorizzazioni. Volevo immaginare come sarebbe stata la clinica ideale per l’eutanasia assistita. Una clinica in cui andresti a morire con un bicchiere di champagne in mano, in un posto meraviglioso, con la possibilità di far esaudire il tuo ultimo desiderio. È un film sull’anticipazione, che inventa un paese in cui questa clinica è diventata ufficiale, riceve fondi dallo Stato, ha obblighi di prestazione e regole terapeutiche e amministrative severe.

Si sta divertendo con un tema serio?
Il mio film di riferimento è La Grande Abbuffata di Marco Ferreri, che era stato contestato a Cannes nel 1973, eppure affronta la condizione umana così bene, con ironia e umorismo
dark. Quello che sciocca del film di Ferreri non è tanto l’eccesso del banchetto di cui godono i personaggi, quanto la serietà con cui lo fanno. Certo, si riempono fino a scoppiare, ma lo fanno seriamente, con grande concentrazione. Il film diventa divertente per l’eccesso di serietà, perché spinge i confini di una logica inevitabile eppure quasi ossessiva: mangiamo fino a morire. Il cameraman e l’assassino segue la stessa logica: guardiamo la televisione fino a morire.

Allora qual è il tema del suo film? “Siamo svizzeri fino a morire?”
Potrebbe essere [ride]. No, il film non riguarda la Svizzera… O forse sì, alla fine la riguarda, se si considera che la Svizzera è – nella coscienza collettiva – la terra dell’igiene, della pulizia e della normalità. Un paese che vuole controllare tutto così bene che tenta di controllare l’incontrollabile; che vuole imporre l’ordine su ciò che non può essere ordinato, per esempio dedicando un posto ai drogati nel bel mezzo della città, o permettendo a una beneficenza come la Dignitas di gestire, ai confini della legge, il suicidio delle persone. In effetti è di questo che parla il film: il desiderio di controllare l’istinto di morte alla fine ci ucciderà. Viviamo in un mondo in cui occorre “mantenere ordine e pulizia”. Quindi in conclusione, “Manteniamo l’ordine fino a morire !”

Il suo film è una farsa?
La farsa presenta una forte dose di volgarità e buffoneria che non è presente in questo film. Anzi… no, non è vero, forse ha ragione lei. In questo film la farsa in effetti esplode sulla scena. Le finestre della clinica si aprono all’improvviso come se ci fosse un vento intenso, un tornado e l’istinto di morte esplode in faccia all’uomo che vuole controllarlo.

È un film splatter?
Affatto ! Non è neanche un film d’azione. È una commedia dark sul modo in cui la nostra società vuole gestire la morte degli altri. Se lasciassimo fare, le multinazionali o i principali gruppi industriali, probabilmente integrerebbero unità per l’eutanasia medicalmente assistita nei loro reparti delle risorse umane. Il film tratta anche della nostra illusione di una morte pulita.

Foto © Olivier Donnet, Fonte intervista PressBook sul sito Archibald.