Home Berlinale - Festival internazionale del cinema di Berlino La Comune: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

La Comune: recensione in anteprima del film in Concorso a Berlino 2016

Trasposizione semi-autobiografica da parte di Thomas Vinterberg, che torna in Danimarca dopo la parentesi inglese. The Commune è film dal potenziale notevole, ma che, tradendo le sue stesse premesse, lascia il più inesplorato

pubblicato 18 Febbraio 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 08:37

Dopo Far From The Madding Crowd, formale e rigorosa trasposizione del romanzo, Thomas Vinterberg torna in Danimarca, e per di più lo fa attingendo ad una storia personale. Perché anche lui, come i protagonisti di Kollektivet, ha vissuto in una comune, ovvero una casa condivisa da più famiglie o persone. Chi però al concetto di comune, legato alla Scandinavia, pensasse già ad ammucchiate et similia freni i bollenti spiriti. Ed un motivo in realtà c’è.

Siamo negli anni ’70 ed un’iniziativa di questo tipo è ancora roba da pionieri, un salto nel vuoto visto nemmeno di buon occhio. Erik, insegnante di Architettura Razionale, eredita un appartamento di 450 metri quadri. Le spese sono però troppo alte e non gli resterebbe che vendere l’immobile, se non fosse per l’idea di Anna, sua moglie nonché famosa giornalista televisiva: perché non invitare a vivere con noi anche altre persone?

Dopo un primo momento d’esitazione, Erik decide che questa è la cosa giusta da fare, ed allora partono i colloqui, finché non si raggiunge il numero desiderato. Tutti dispongono di un profilo potenzialmente interessante, sebbene di lì a poco ci rendiamo conto che la comune è per lo più un espediente, dato che i veri protagonisti sono e rimarranno Erik ed Anna. Il primo conosce infatti una sua alunna e se ne innamora; Anna sembra accettare pacificamente il tradimento, ed anzi, propone un’ulteriore, brillante idea: perché non far entrare anche lei nella comune?

Da questo momento in avanti tutto verte su questo triangolo amoroso. Vinterberg nutre un profondo rispetto per i suoi personaggi, a tal punto da ritenerli buoni o neutri anche allorquando si prodigano in azioni quantomeno discutibili. Di tutta prima è interessante, anche al fine di penetrare un certo clima culturale, il modo in cui le dinamiche si sviluppano a partire dall’ingresso della nuova ragazza di Erik; Anna incarna un certo tipo di donna estremamente cordiale, incapace di dire alcunché di fuori posto. Di lì a poco tale repressione emotiva cede, e con essa la maschera.

Il punto è che lei è l’ago della bilancia, la vera protagonista, attorno alla quale, da un certo punto in poi, orbita tutto il resto. Ogni sviluppo, conflitto e quant’altro che coinvolge gli altri membri fa capo a lei; si cerca di comprenderla mentre tenta disperatamente di far quadrare i conti, di restare fedele a sé stessa, ai suoi principi, a ciò che insomma l’ha spinta in origine ad imboccare la strada della convivenza con più persone. E la risposta sembra essere che non era possibile, non allora almeno, perché il mondo da cui ciascuno veniva era tarato su altri parametri. Anna abbassa la guardia e crolla malamente.

Ma si tratta sempre di lei. Dei meccanismi della già citata convivenza emerge poco o nulla, ma d’altronde non ce ne sarebbe nemmeno il tempo nello spazio di un solo film, tanti sono i personaggi e con essi le situazioni ipotizzabili. A sprazzi emerge la difficoltà nel mantenere certi equilibri, con scompensi talvolta grotteschi, come quando si stabilisce di votare se valga la pena votare per cacciare una persona. Storture dell’eccesso di democrazia.

Altro punto in cui qualcosa sembra mancare è sul fronte della collocazione temporale; dopo i primi venti minuti quasi ci si dimentica che siamo negli anni ’70, malgrado la bella colonna sonora. Ogni tanto, addirittura, si viene colti da quell’estemporaneo, scomodo rimando ad un prodotto confezionato per altri canali che non il cinema (rischio a dire il vero corso già col suo Via dalla pazza folla, in cui però è riuscito a stemperare la patina con una forma di altro spessore); inoltre è altresì vero che The Commune è pure una pièce teatrale. Non mancano le risate, ci siamo, il che, se vogliamo, acuisce quel senso d’incompiutezza, poiché in tal senso le scene migliori riguardano gli altri componenti e le loro interazioni.

Tutto è in potenza in The Commune, come anche un’altra traccia notevole che, manco a dirlo, coinvolge la figlia di Anna, che parallelamente alla comune in cui vive cerca di costruirsi un’altra “famiglia”, sebbene non si abbia il tempo di capire se è per slegarsi da quel contesto oppure per integrare qualcuno che le stia vicino. Perché sì, The Commune è anche un film sulla solitudine, il che in fondo non è poi così paradossale. Gira che ti rigira ciascuno tende ad anteporre sempre le proprie di esigenze ed il compromesso talvolta è semplicemente irrealizzabile, perciò non resta che ripiegare su sé stessi o sul partner, prendendo le distanze da coloro che, qui e adesso, rappresentano l’ostacolo alla propria realizzazione.

Ma ripeto, sono tutti spunti per lo più. Notevoli, certo, ma non sufficienti a far lievitare come si deve il tutto. Trine Dyrholm sarà anche una seria pretendente all’Orso per la migliore attrice (anche se qui si tifa per la Huppert), ma per meriti che poco hanno a che fare con un film che regala una sola scena da portarsi dietro: un primo piano di Anna, il personaggio della Dyrholm, che registra il lento ma inesorabile crollo della donna, con quegli occhi che gradualmente arrossiscono, si gonfiano, si riempiono di lacrime e ne lasciano cadere una, una soltanto che le riga il volto. Cosa abbia tutto ciò a che fare con la comune continua a sfuggire. Nè basta, anzi peggiora le cose, quel pre-finale cinico, gratuitamente cinico, ancora più discutibile se si pensa che serve ad introdurre la vera e propria conclusione: la vita andrà avanti in quella comune, tutti si sforzeranno di farcela, malgrado tutto. Ma siamo sicuri che, giunti a quel punto, c’interessi ancora qualcosa della comune? E se al massimo riusciamo ad augurare il meglio ad Anna non è esclusivamente per simpatia. È che non avremmo comunque avuto altra scelta.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”5.5″ layout=”left”]

La comune (The Commune – Kollektivet, Danimarca, 2016) di Thomas Vinterberg. Con Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Helene Reingaard Neumann, Martha Sofie Wallstrøm Hansen e Lars Ranthe.

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