La doppia vita di Madeleine Collins: trailer italiano e anticipazioni del thriller con Virginie Efira
Tutto quello che c’è da sapere su “La doppia vita di Madeleine Collins”, il thriller con protagonista Virginie Efira al cinema dal 2 giugno.
Dal 2 giugno nei cinema italiani con Movies Inspired La doppia vita di Madeleine Collins, thriller francese del regista Antoine Barraud (The Sinkholes, Portrait of the Artist) con protagonista Virginie Efira, attrice belga vista di recente nei panni di una suora del XVII secolo nel biopic storico Benedetta di Paul Verhoeven.
Trama e cast
La trama ufficiale: Judith (Virginie Efira) conduce una doppia vita tra la Svizzera e la Francia. Da una parte c’è Abdel (Quim Gutiérrez), con il quale cresce una bambina, dall’altra Melvil (Bruno Salomone), con cui ha due ragazzi più grandi. Poco a poco, questo equilibrio fragile fatto di menzogne, segreti e andirivieni va pericolosamente in frantumi. Messa all’angolo, Judith sceglie la fuga in avanti, in un’escalation vertiginosa.
Il cast di “La doppia vita di Madeleine Collins” include anche Jacqueline Bisset, François Rostain, Loïse Benguerel, Thomas Gioria, Valérie Donzelli, Nadav Lapid, Nathalie Boutefeu, Mona Walravens, Anne Lepla, Marie Caries, Caroline Deruas-Garrel, Flavia Zanon, Théo Deroo, Guy Lafrance, Ingrid Heiderscheidt, Ado chez Kurt, Didier D’Abreu.
La doppia vita di Madeleine Collins – trailer e video
Curiosità
- Antoine Barraud dirige “La doppia vita di Madeleine Collins” da una sua sceneggiatura scritta in collaborazione con Héléna Klotz (Val d’or).
- La protagonista Virginie Efira (Madeleine Collins) ha recitato anche in Il mio migliore incubo!, Per sfortuna che ci sei, 7 uomini a mollo, Elle, Tutti gli uomini di Victoria, Un amore all’altezza, Benedetta.
- L’attore spagnolo Quim Gutiérrez (Abdel) ha recitato anche in Anacleto – Agente segreto, La ragazza nella nebbia, Abracadabra, Un amore di mamma e Jungle Cruise.
- Il direttore della fotografia del film, il britannico Gordon Spooner, recita anche un ruolo nel film nei panni di Philip Collins.
Chi è Antoine Barraud?
Antoine Barraud realizza il suo primo cortometraggio, Monstre, nel 2004, seguito nel 2005 da Déluge e nel 2007 da Monstre, numéro deux, tutti presentati nei principali festival di cortometraggi francesi e internazionali. Gira quindi diversi ritratti
sperimentali di cineasti come Kenneth Anger, Shuji Terayama e Koji Wakamatsu. Nel 2011 dirige con Claire Doyon il cortometraggio Son of a gun e, in parallelo, co- produce il mediometraggio Madame Butterfly di Tsai Ming-liang. Nel 2012 produce l’ultimo film di Stephen Dwoskin Age Is… e firma il suo primo lungometraggio, Les gouffres, con Nathalie Boutefeu e Mathieu Amalric, prodotto da Les Films du Bélier. Questi due film sono presentati in prima mondiale al Festival di Locarno del 2012. Del 2015 è il suo secondo lungometraggio, Le dos rouge, con Bertrand Bonello, Pascal Greggory e Jeanne Balibar, che viene presentato al Festival di Berlino. Nello stesso anno produce, con la sua società House on Fire, O ornitólogo del regista portoghese João Pedro Rodrigues (premio per la regia al Festival di Locarno del 2016), presto seguito da Cassandro, the Exotico! di Marie Losier (che nel 2018 partecipa al festival di Cannes nella sezione organizzata dall’Acid), in collaborazione con Tamara Films. La doppia vita di Madeleine Collins è il suo terzo lungometraggio.
Intervista a cast e regista
Il regista Antoine Barraud spiega il titolo e racconta la genesi del film.
In quel nome c’è qualcosa di romanzesco, potrebbe essere il titolo di un romanzo inglese del XIX Secolo. Ancora una volta, mentire vuol dire essere un romanziere, forse inconsciamente volevo sottolineare questo aspetto. Pensavo a una donna che utilizzava la sua professione per nascondere una doppia vita. Pensavo al movimento che una tale situazione poteva generare. Una donna che si sposta, che compie degli andirivieni. Delle linee di fuga. La doppia vita al cinema l’abbiamo vista molte volte riguardare gli uomini, ma quasi mai una donna. Perché la questione dei figli, se ce ne sono, si pone immediatamente… L’ostacolo della gravidanza, visibile o no, sul quale per forza di cose mi sono scontrato molto velocemente, e che non si sarebbe posto nei confronti di un uomo, mi interessava. Mi ricordo che Danièle Dubroux, la regista del formidabile Border Line, diceva di voler sempre «difendere l’indifendibile». Nel personaggio di Judith c’è questo: tutto il tempo si trova a difendere l’indifendibile.
Barraud spiega come il film da dramma assume tutti i connotati del thriller.
Abbastanza in fretta ho capito che il film sarebbe stato quella che chiamo una struttura a lumaca: si inizia dalla Z e si arriva alla A. Ne ho preso coscienza rapidamente, ma mi spaventava un po’. Scrivo facilmente, ma delle cose più lineari… In questo caso, sapevo che era necessario un meccanismo inarrestabile. Ogni scena doveva portare uno strato supplementare, non due, non quindici: uno. Per rendere la cosa facile da digerire e in continua crescita. Amo l’idea che gli spettatori siano attivi, sempre seduti all’estremità della loro poltrona. Mi piace l’idea che vedere un film sia un’esperienza iper-partecipativa che mette lo spettatore in uno stato di prossimità con il personaggio, perché mentire è un lavoro a tempo pieno, esige un’architettura mentale complessa. Nulla deve sfuggire. Essere bugiardo o bugiarda è quasi come essere un romanziere, per forza di cose. Judith inventa continuamente delle storie, a volte non ha tempo, sembra bloccata, ma, nell’urgenza, inventa comunque, e le sue storie sono sempre sul filo del rasoio e possono metterla in pericolo…
Barraud spiega le motivazioni che lo hanno portato al casting di Virginie Efira.
Il personaggio è talmente complesso, e in certi casi quasi perverso, che serviva un’attrice che si potesse seguire a lungo senza smettere di amarla. Virginie ha la facoltà di rimanere costantemente solare: è molto bella, ma la sua bellezza non è né distante né minacciosa, è positiva. Per dirla velocemente: non ho visto che lei. Ci siamo incontrati, ne abbiamo parlato, ho visto che capiva perfettamente il film, intelligentemente, nel modo giusto, in cui interessava a me. Non c’era nulla da aggiungere. Prima di girare, ho ripreso una tecnica che avevo testato in Les gouffres: prove non del testo, bensì dei gesti. Spesso sul set non c’è il tempo di cercare i gesti giusti, e le idee che scaturiscono quando si è messi alle strette non sono sempre le migliori. Quante volte nel cinema francese un personaggio accende una sigaretta soltanto per fare qualcosa? È preferibile prepararsi in anticipo: in quella scena arrivi, disfi la valigia, qual è la gestualità che hai sviluppato con tuo marito durante vent’anni?
Il regista racconta la collaborazione con il direttore della fotografia britannico Gordon Spooner.
Con Gordon Spooner avevo già lavorato. È curioso ed entusiasta. Un alleato di peso! Abbiamo costruito un «look-book» del film abbastanza preciso. C’erano, per esempio, dei riferimenti a Kramer contro Kramer. Si pensa sia un film naturalista, ma io penso alla fotografia di Néstor Almendros, a Meryl Streep, alla mitologia del cinema e per nulla al realismo. Il suo personaggio fa due cose incredibili, tanto più all’epoca: è una madre che abbandona un bambino e che poi passa tutto il film a cercare di recuperarlo. E quando l’ha recuperato, lo rilascia di nuovo. Kramer contro Kramer fa parte dei film con grandi personaggi femminili, come Wanda, diretto e interpretato da Barbara Loden, o, naturalmente, La sera della prima di John Cassavetes con Gena Rowlands. Di Kramer contro Kramer ho mantenuto il suo aspetto autunnale, qualcosa dei costumi, delle carnagioni. Quando alla fine Meryl Streep torna per dire che lascia il bambino, è contro un muro di marmo. Si tratta di un’inquadratura molto semplice, ma molto bella. L’emozione narrativa di quel momento è complessa, inedita, stridula, universale. Ci ho pensato scegliendo il muro là dove Judith lavora in Svizzera, nel momento in cui incontra due dei suoi colleghi: non è del marmo, ma del calcestruzzo proiettato.
La protagonista Virginie Efira racconta cosa le è piaciuto della sceneggiatura e del ruolo.
Capita di rado di ricevere una sceneggiatura scritta così brillantemente, che possiede qualcosa di specifico del cinema di genere: in modo quasi matematico, ogni scena aggiunge un elemento a una personalità misteriosa della quale si scoprono, poco a poco, delle sfaccettature che non sembrano andare necessariamente insieme. C’era, dunque, un intrigo come fossimo in un thriller e poi, al di sopra, un interrogativo, mai puramente intellettuale, che si manifestava sempre attraverso la narrazione: che cos’è la propria identità? Non è costituita che dalla narrazione della propria vita? Come si incarna? Uno dei miei film preferiti degli ultimi anni è L’amore bugiardo – Gone Girl di David Fincher: un intrigo palpitante e, all’interno, una riflessione più estesa e trasgressiva sull’intimità, la rappresentazione sociale della coppia. Il cinema francese è talvolta cauto nel suo rapporto con il genere. Questa invece è stata forse la prima sceneggiatura che ho ricevuto ad andare in quella direzione…Se qualcosa ti interessa è senza dubbio perché ti permette di affrontare un terreno nuovo o, perlomeno, misterioso. Ma ho anche l’impressione che i personaggi da me interpretati potrebbero tutti parlarsi: l’eroina di La doppia vita di Madeleine Collins può avere dei punti di contatto con quella di Sibyl. Tutto ciò accade in maniera inconscia: non ci si chiede che cosa abbiamo o non abbiamo già recitato. In questo personaggio ho trovato un aspetto che mi interessava: un’identità multipla dalla quale si tolgono, un po’ alla volta, dei frammenti e un personaggio che non sa più bene quello che
resta in una tale destabilizzazione progressiva. Finora ho interpretato dei percorsi inversi: delle donne che cadono per poi rialzarsi e fortificarsi. Qui, si tratta di un personaggio forte a cui si tolgono le differenti sponde alle quali aggrapparsi. Deve trovare un nuovo cammino, quello di un’avventura e di un immaginario possibile.
Virginie Efira parla della sua esperienza sul set.
Ho avuto degli ottimi colleghi, i due coniugi, il giovane attore nel ruolo del figlio maggiore, che è straordinario. Nelle prove, succedeva qualcosa di diverso con ognuno. Antoine Barraud ci ha lasciati molto liberi, è uno spettatore entusiasta di quello che gli attori propongono. Non stabilisce un punto d’arrivo obbligatorio. Altri registi invece sì. Per cui, visto che non c’era una destinazione pienamente individuata, pur se si conosceva il contenuto della scena, il modo di giungervi poteva essere differente a ciascuna ripresa. C’era la possibilità di fare un salto nell’ignoto e, a seconda se il vostro inconscio fa le cose bene o male, di esserne alleggeriti. Talvolta bisogna sbarazzarsi dell’idea di recitare bene o male… La cosa più complicata, per me, è che quando interpreto scene di rabbia, di violenza, metto una sorta di superpotenza, come se la mia vita dipendesse da questo. È un aspetto un po’ adolescenziale, il mio corpo ne soffre, dovrei calmarmi un po’.
La colonna sonora
- Le musiche originali del film sono del compositore Romain Trouillet (Sauvage, Cyrano mon amour, De Gaulle, Il quarto processo).
Il regista Antoine Barraud sulla scelta di Romain Trouillet: È stato Martin Caraux, il supervisore musicale, a darmi il nome Romain Trouillet, che ha compreso perfettamente quello che cercavo, dirigendosi verso strumenti non necessariamente scontati, né per la suspense né per l’emozione – delle tube, dei corni, degli archi molto asciutti, e anche delle stonature. Abbiamo lavorato in questo senso…La musica che ha scritto per l’inseguimento in macchina è appagante in termini di suspense, ma senza mai perdere la linea emozionale. È un bel gioco da equilibrista su una scena di pura azione.
TRACK LISTINGS:
1. Le parc 1:29
2. Judith 1:39
3. Quelque chose à lui dire 1:18
4. Je suis quelqu’un 2:29
5. La boule à neige 1:08
6. Une nouvelle maison 1:43
7. Les cheveux détachés 1:31
8. Les mensonges 1:35
9. Gala 2:21
10. Au grand jour 2:43
11. Vulnérable 2:47
12. Train de nuit 1:40
13. L’enlèvement 2:08
14. La forêt 3:18
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