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La quattordicesima domenica del tempo ordinario: disponibile la colonna sonora di Cammariere e Gregoretti

Tutto quello che c’è da sapere su “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, il nuovo film di Pupi Avati al cinema dal 4 maggio 2023 con Vision Distribution.

9 Maggio 2023 17:18

Dal 4 maggio nei cinema d’Italia con Vision Distribution La quattordicesima domenica del tempo ordinario, il nuovo film di Pupi Avati descritto come uno dei film più bolognesi del regista che per l’occasione riporta sul grande schermo due attori veterani: Gabriele Lavia e Edwige Fenech.  Il film è una storia corale che si estende in un arco temporale che abbraccia 35 anni, dagli anni ’70 ad oggi. All’interno troviamo tutti i temi cari a Pupi Avati: l’amicizia, la musica, le ambizioni della gioventù, la crescita e la saggezza conquistata a duro prezzo.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario – Trama e cast

La trama ufficiale: Bologna, anni 70. Marzio, Samuele e Sandra sono giovanissimi e ognuno ha un suo sogno da realizzare. La musica, la moda, o forse la carriera. I due ragazzi, amici per la pelle, fondano il gruppo musicale I Leggenda e sognano il successo. Sandra è un fiore di bellezza e aspira a diventare indossatrice. Qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, Marzio sposa Sandra mentre Samuele suona l’organo. Quella ‘quattordicesima domenica’ diventa il titolo di una loro canzone, la sola da loro incisa, la sola ad essere diffusa da qualche radio locale. Poi un giorno di quei meravigliosi anni novanta in cui tutto sembra loro possibile, si appalesa all’improvviso la burrasca, un vento contrario e ostile che tutto spazza via. Li ritroviamo 35 anni dopo. Cosa è stato delle loro vite, dei loro rapporti? Ma soprattutto cosa ne è stato dei loro sogni?

Il cast include Gabriele Lavia, Edwige Fenech, Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo, Nick Russo e Cesare Bocci.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario – Trailer e video

Intervista a cast e regista

Pupi Avati spiega da che cosa deriva un titolo così insolito e che cosa si è riproposto di raccontare.

Ho immaginato il titolo già oltre 15 anni fa quando, raggiunta la settantina, ho iniziato una doverosa riflessione sul percorso che avevo alle spalle. La quattordicesima domenica del tempo ordinario secondo l’anno liturgico è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento e per me è il giorno in cui mi sono sposato il 27 giugno 1964. Ho pensato, ho immaginato una separazione per un lungo periodo di 35 anni dalla donna che avevo sposato, nella reciproca aspettativa di vedere entrambi realizzati i nostri sogni immaginando poi un nuovo incontro in cui verificare quanto questi sogni non si siano realizzati e di conseguenza quanto fossimo noi cambiati rispetto ad allora. Credo che in una situazione come quella attuale dell’Occidente in cui la gran parte delle unioni – sancite da matrimoni religiosi o civili o altro – hanno una vita breve perché si concludono molto spesso con separazioni e divorzi, l’immaginare cosa possa accadere di due persone che hanno usato il conoscersi reciprocamente per amarsi e successivamente il conoscersi reciprocamente per combattersi e quindi che cosa possa rappresentare per loro il ritrovarsi dopo gran parte della propria vita vissuta lontani uno dall’altra. È evidente che c’è ben poco di autobiografico in quanto la mia esperienza in ambito matrimoniale è ancora ben salda e mi auguro lo sia definitivamente. Tuttavia, immaginare e scrivere una storia come questa mi ha dato modo di verificare quanto l’invecchiare abbia prodotto in me una nostalgia sempre più esplicita nei riguardi di quella figura paterna della quale non avevo avvertito l’assenza per gran parte della mia vita. Una considerazione ancor più definitiva che può essere interpretata come una dichiarazione d’amore è nell’avvio di questa storia per cui ho individuato un luogo preciso, quel chiosco di gelati dove nella mia prima adolescenza ho condiviso con i miei sodali e coetanei di allora i miei primi sogni. Per dare un senso a questa proposta narrativa sono ricorso a quella che è la mia esperienza di vita attuale, comparandola a quella che nelle mie stesse condizioni vivono i miei coetanei, alcuni penalizzati in modo definitivo e irreversibile dalla solitudine. Credo che il condividere la cosiddetta terza età, questa stagione così complicata della propria vita con qualcuno che ti conosca e che ti stia accanto possa rappresentare un sollievo non indifferente”.

Avati racconta Come e perché ha scelto gli attori.

Il cast di questo film obbedisce a quella sfida perenne alla quale si rifanno quasi tutti i film miei e di mio fratello Antonio, tenendosi distanti da quello star system nazionale già sufficientemente presente in tanti titoli. Abbiamo quindi “inventato” un mix rischioso ed eccitante, accostando uno degli attori più prestigiosi del nostro teatro classico come Gabriele Lavia a una diva già reginetta delle commedie sexy degli anni’70 e ’80 come Edwige Fenech e inoltre abbiamo dato l’opportunità a due giovani come Lodo Guenzi e Camilla Ciraolo di affrontare dei ruoli da co-protagonisti assoluti. Non mi appare corretto esprimermi sulla qualità del film che ho realizzato tuttavia non posso esimermi dall’apprezzamento incondizionato che debbo loro. Gabriele Lavia aveva già condiviso con me nel 1983 un film di genere intitolato “Zeder” lasciandomi la nostalgia di ritrovarlo prima o poi su un mio set in un personaggio che potesse stimolarlo. Per quanto riguarda Edvige Fenech – che rappresenta la vera “provocazione” di questo cast – la scoperta che lei attendesse da anni una convocazione di questo genere mi ha profondamente lusingato. Conoscevo poi Lodo Guenzi solo come cantante del gruppo “Lo stato sociale” ma tra me e lui si è stabilita subito una misteriosa sintonia, un intenderci attraverso gli sguardi più che con le parole. Camilla Ciraolo era stata mia allieva in un Master di recitazione e si era fatta notare da subito per la sua capacità di aderire ai personaggi che le chiedevo di interpretare. Credo che questo debutto nel cinema significherà moltissimo per lei”.

Avati ricorda un momento particolare della lavorazione.

Credo che questa storia pur essendo assolutamente universale mi abbia restituito a quel rapporto con Bologna e la mia gente che al mio cinema probabilmente mancava da troppo tempo. Mi ha emozionato sommamente ricollocare in quell’angolo tra via Saragozza e via Audinot quel chiosco di gelati scomparso ormai da oltre 30 anni che è stato ricostruito con grande attenzione dallo scenografo Marco Dentici. Credo che per tutti coloro non più giovanissimi che vedranno il film ritrovare quell’immagine rappresenti una sorta di “madeleine” proustiana.

Gabriele Lavia racconta come è stato coinvolto nel progetto e chi è il personaggio che interpreta.

Io e Pupi Avati eravamo entrambi a Milano per motivi di lavoro, ci siamo incontrati, lui mi ha detto che avrebbe voluto girare un altro film insieme a me a quasi 40 anni di distanza dal nostro “Zeder” e abbiamo chiacchierato a lungo. Poco dopo ho letto e apprezzato la sceneggiatura che mi ha dato e abbiamo iniziato a girare. Mi ricordo soprattutto che faceva molto molto freddo durante le riprese e il clima piacevole del set. È stato bello lavorare con il mio regista, con suo fratello, il produttore Antonio Avati, e con tutti gli altri attori e tecnici… [Nel film] Sono la seconda metà del personaggio di Marzio, interpretato in età giovanile da Lodo Guenzi.. Dostoevskij direbbe che quando ci sono io in scena a interpretarlo, Marzio frequenta gli angoli bui della sua vita mentre quando è interpretato da Lodo frequenta quelli luminosi. Spesso però succede che l’angolo luminoso della propria vita coltiva l’angolo buio e la vecchiaia è sempre un angolo buio, non ho mai conosciuto un vecchio contento dell’età che ha. Mi verrebbe da dire che in scena io sono la delusione di Lodo Guenzi mentre Lodo è la mia illusione. La vita ti riserva queste amare sorprese, Marzio vive da anziano questa delusione, è un fallito che vive in modo dimesso ma ha ancora dentro il cuore qualcosa, non abbandona il sogno di essere un musicista. Il suo amico e sodale di sempre ha rinunciato al sogno della musica ed è diventato un potente funzionario di banca pieno di denaro, ma vive una storia infelice nella sua vita privata destinata a concludersi tragicamente invece Marzio non ha una vita privata, non ha una vita, vive una continua delusione in cui coltiva ancora una strana illusione, non si arrende ed è questa la sua forza, rappresenta un vecchio inarreso.. Quando andrà a cantare la sua canzone in un’orrida tv di paese pubblicizzando prodotti locali riceverà come paga dei buoni pasto con cui inviterà la sua Sandra a cena in una trattoria dove litigherà senza motivo con un ragazzo che poi lo stenderà subito al tappeto. Vive in un mondo per cui non riesce ad abbandonare la sua illusione. Questa a mio parere è la parte poetica di Pupi e non escludo che lui in parte si sia identificato in questo personaggio che ha voluto descrivere come un uomo molto legato alla figura del padre e a quel chiosco di gelati in cui andava da ragazzo. Non ci vuole molto a capire che in questo film ha raccontato una parte di sé. Pupi ha due anni più di me e quando uno arriva alla nostra età non mente più a se stesso, non fa più quella fatica di raccontarsi storie.

Lavia racconta come si è trovato con Pupi Avati e la collega Edwige Fenech.

Conoscevo già Edwige fin dalla sua epoca d’oro nel cinema italiano e mi ha fatto molto piacere incontrarla di nuovo riscoprendo una persona dolcissima, molto rigorosa con sé stessa – in qualche modo lo è sempre stata – perbene, gradevole, piacevole, dolce, quella che si dice una bella persona. Quando eravamo sul set mi ha colpito il suo essere schiva, timida, introversa, attentissima e rigorosissima, mentre la sera quando andavamo a cena si rilassava e si rivelava sempre molto estroversa e molto simpatica…Ha le idee molto chiare. Arrivava sul set sempre molto preparato perché ormai ha una tale tecnica per cui capisce subito quello che deve fare. Aveva un rapporto con la gente intorno a sé apparentemente distratto, ma in realtà era attento a ogni dettaglio potendo contare su un direttore della fotografia molto capace come Cesare Bastelli sempre in grado di disporre le luci in maniera magistrale. Pupi è molto introverso, ma quando deve dire le cose te le dice in faccia, instaura sempre un rapporto molto franco coi suoi interlocutori. E poi credo che non si preoccupi più troppo dell’impatto sul pubblico e che racconti le sue storie in maniera autentica, è come se arrivato a un certo punto della sua carriera e della sua vita dica “Io sono questo. Punto”. Credo che sia una conquista dell’età e degli acciacchi. Gli auguro di avere un grande successo perché se lo merita. Aveva sempre le idee molto chiare quando arrivava sul set di una location che aveva già visto e selezionato scegliendo gli ambienti durante i sopralluoghi. Sa perfettamente che il regista è l’unico che non si può permettere di non avere le idee chiare, ma deve avere risposte immediate per tutti come diceva François Truffaut durante “Effetto notte”, quindi vive nella costante angoscia di dover dare sempre una risposta fondata Anche in teatro è sempre così, bisogna sempre avere le risposte pronte, non si può dire “fammici pensare”.

Edwige Fenech racconta come è stata coinvolta nel progetto e cosa le è piaciuto del suo personaggio Sandra.

Ho ricevuto una chiamata da Pupi Avati che mi ha raccontato la storia del film al telefono e devo dire che sono rimasta molto impressionata. L’ho sempre adorato come regista e mi ha fatto molto piacere che mi stesse cercando per propormi qualcosa di molto diverso rispetto a tutto quello che avevo fatto in passato. Quando ha finito il suo racconto quasi non ci credevo, alla fine della chiamata avevo già detto di sì… Quando ho riattaccato mi sono messa a fare salti di gioia per come ero felice. Cinque minuti dopo Pupi mi ha mandato via mail la sceneggiatura che ho letto e apprezzato, ero entusiasta che mi si proponesse un ruolo così accattivante per me, rappresentava qualcosa che aspettavo da tanti anni e che non arrivava mai.. [Sandra] è un ruolo distante da me, però è molto vero e quando un personaggio è realistico inevitabilmente dopo tanti anni di esperienza inserisci nella tua interpretazione qualcosa del tuo vissuto: tutti noi nella vita viviamo alti e bassi, gioie e dolori e tutte queste varie esperienze finiscono naturalmente anche nei nostri personaggi. Ovviamente quello di Sandra non è il mio vissuto, quella donna non sono io, ma dovendo interpretarla dovevo animarla e mi sono preparata come succede sempre per tutti i personaggi, drammatici o brillanti che siano: si studia, si cerca di capire chi è la persona che devi riproporre sullo schermo, si cerca di coglierne la verità, le ombre e la luce. In fondo l’approccio è sempre con qualcuno che non sei tu e sei tu che devi dargli vita.

Fenech racconta cosa l’ha colpita di Pupi Avati e come si è trovata sul set con Gabriele Lavia.

Lo conoscevo già da diverso tempo, c’eravamo incontrati varie volte in passato, adoravo il suo lavoro e la verità che inserisce sempre nei suoi personaggi. Un suo film si riconosce perché lui ha un mondo tutto suo che io amo molto, ha una sua speciale facoltà di rendere autentica ogni figura che sceglie di rappresentare e quando dai a un personaggio questo valore e lo fai diventare vero è il massimo. Pupi ha questo dono già in fase di scrittura, ti innamori di ogni persona che racconta e quindi anche io mi sono innamorata di Sandra e degli altri personaggi, ad esempio quello magnifico di Marzio: è un uomo che non incontri tutti i giorni, ma figure simili esistono davvero con le loro illusioni un po’ perdute dietro i loro sogni. E di un personaggio simile non puoi non innamorarti, a partire dalla sua leggera follia che crea una certa poesia…[Sul set] è stata una passeggiata. Pupi lo capisci subito, si fa capire molto bene. Per me è stata una gioia infinita poter recitare per lui in un set meraviglioso: abbiamo vissuto questo film come un incanto grazie alla bellissima intesa creatasi tra tutti noi. Nei giorni in cui abbiamo girato a Bologna, stavamo insieme a cena la sera anche dopo le ore di lavoro a mangiare i tortellini e si continuava a parlare, a ridere e scherzare. È stato un regalo magnifico quello che mi ha fatto Pupi…[Con Gabriele Lavia] Siamo diventati come fratello e sorella. Ci siamo affiatarti subito, anche lui si è messo al servizio del personaggio, è un grande attore toutcourt, non solo di teatro. Sul set era diventato Marzio, non si limitava a interpretarlo, lo guardavo recitare con tanta ammirazione, è meraviglioso poter lavorare con attori di cui senti l’autenticità, recitare così con una persona di tale talento è una gioia. La verità ti aiuta tantissimo…Io e Gabriele siamo rimasti amici anche dopo le riprese e abbiamo continuato a frequentarci con sua moglie Federica, è nato un rapporto molto bello.

Fenech parla di cosa le ha trasmesso il film dopo averlo visto.

Soltanto adesso quando mi capita di vedere un mio vecchio film lo vedo come spettatrice perché sono un’altra persona fisicamente e certi ruoli delle mie commedie degli anni’70 e ’80 non potrei più farli, li vedo come se fossi un’altra ma ho avuto bisogno di tanto tempo. Ora mi sto vedendo come sono adesso e poi in questo film sono Sandra e non Edwige. È stato fatto un lavoro sulla mia immagine, il personaggio appare diverso da quella che sono nella vita reale. Ma rimango sempre io ad averlo interpretato e allora non posso vedermi con distacco, è sempre un’esperienza difficile, molti attori non amano rivedersi ma ora per me è molto più facile farlo, ho superato tante barriere, ho un’età in cui è più facile accettarmi rispetto a quanto non accadesse in passato. Naturalmente valutare il tuo lavoro è molto difficile e allora senti quello che dicono gli altri di te, ma per quello che mi riguarda non riesco a giudicarmi perché sono troppo coinvolta: avevo il compito di dare vita al personaggio e questo scopo credo che sia raggiunto. Avevo deciso di non recitare più (l’ultima volta è avvenuto nella serie tv di Riccardo Milani ” È arrivata la felicità” di cui ero anche la produttrice). Poi arrivi a una certa età e dopo una carriera molto ricca come la mia senti che ti manca qualcosa. Se non ti viene proposto niente di interessante ti consoli pensando: “ho lavorato tanto e mi metto da parte” e per me è accaduto proprio questo, fino a quando non è arrivato Pupi con il personaggio di Sandra a farmi cambiare idea. Aspettavo da anni un personaggio simile, avevo una gran voglia di dimostrare di essere all’altezza. Anche se ho interpretato tanti bei personaggi nella mia carriera nessuno mi aveva dato l’opportunità di andare in profondità, di giocare anche sul mio fisico. Quando ero più giovane non veniva in mente a nessuno, sia che si trattasse di storie drammatiche o di commedie. La cosa importante è il valore del personaggio, non mi interessa essere un accessorio del film, mi piace avere peso, essere qualcuno che dia qualcosa alla storia e al film, mi interessa dar vita a qualcuno che abbia vita altrimenti resto volentieri a fare la nonna.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario – La colonna sonora

  • Le musiche originali del film sono di Sergio Cammariere e Lucio Gregoretti (coedita e coprodotta da Edizioni Curci con Concertone), che prossimamente sarà disponibile in digitale.
  • Le musiche accompagnano durante il film i protagonisti Marzio, Samuele e Sandra, e raccontano la loro vita e lo sviluppo dei loro rapporti negli anni. Tutto ha inizio nella Bologna degli anni Settanta dove i tre, giovanissimi, inseguono i loro sogni. Marzio e Samuele, amici per la pelle, fondano il gruppo musicale “I Leggenda” e aspirano a un futuro di successo nel mondo della musica. Quando Marzio conosce Sandra, che sogna di diventare indossatrice, se ne innamora perdutamente. Anni dopo, nella “quattordicesima domenica del tempo ordinario” Marzio e Sandra si sposano mentre Samuele suona l’organo.
  • “La quattordicesima domenica” diventa il titolo della canzone incisa da “I Leggenda”, brano originale scritto dallo stesso regista Pupi Avati e da Sergio Cammariere.

Sergio Cammariere: «Lavorare con Pupi è stata un’esperienza fondamentale di crescita umana e professionale. Ci siamo conosciuti anni fa in via Margutta, aveva letto alcune mie dichiarazioni su un quotidiano dove alla domanda “con chi avresti voluto collaborare tra i grandi maestri del cinema”, avevo risposto che sognavo di scrivere una colonna sonora per Pupi Avati. Quel giorno il maestro mi disse che aveva letto quell’articolo e che non era un caso che ci fossimo incontrati. Prima di lasciarci promise che mi avrebbe cercato qualora ne avesse avuto bisogno, che aveva un’idea in mente da sviluppare. Due anni fa ricevetti la telefonata di Pupi, mi parlò di questo nuovo progetto cinematografico, della canzone che poi è diventata il tema principale del film. All’inizio gli ho proposto alcune melodie che comprendevano il titolo “la quattordicesima domenica”, poi, dopo l’uscita di Dante, cominciò il nostro rapporto telefonico ed epistolare. Dopo vari tentativi, la svolta è arrivata con la prima quartina di Pupi, che si presentava con un endecasillabo e un quinario: ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati… s’involano lontano nel silenzio terre remote…. Era quello che aspettavo, è stato l’incipit per farmi creare una melodia aderente alla metrica dettata da Pupi e nello scambio di mail, tra frasi poetiche e mp3 progressivi in un paio di settimane abbiamo chiuso il componimento lirico ed è nata una canzone, struggente e allo stesso tempo evocativa, che ricorda per certi versi Luigi Tenco».

Lucio Gregoretti: «La quattordicesima domenica del tempo ordinario è il quinto film di Pupi Avati per il quale ho avuto il piacere di comporre musica. Anche questa volta ho avuto conferma del fatto che in questo mestiere non c’è nulla di scontato, e che commetto sempre lo stesso errore. L’errore consiste nel pensare che la consuetudine renda il lavoro via via più semplice man mano che si va avanti nella collaborazione attraverso i vari film, ma non è così. O almeno non lo è con i grandi maestri come Avati per i quali ogni nuovo lavoro è una nuova avventura nella quale bisogna inventare tutto da capo, una nuova sfida nella quale non esistono abitudini o cliché. E ancor più insolito è il fatto di aver collaborato con un altro grande artista e cioè Sergio Cammariere, che non avevo mai incontrato prima, e con il quale la collaborazione è stata fluida e spontanea come se avessimo lavorato insieme da sempre. La composizione è stata come sempre impegnativa e laboriosa, ma più che mai piacevole, e alla fine abbiamo trovato delle soluzioni musicali che ci sono sembrate riuscite. Mi auguro che lo saranno anche per gli ascoltatori».

Lucio Gregoretti (Roma, 1961) ha composto colonne sonore per circa un centinaio di produzioni. Dal 2000 collabora per più di dieci anni e in maniera continuativa e assidua con la regista Lina Wertmüller per la quale ha composto musica per tre film, quattro commedie musicali e vari spettacoli teatrali; in seguito Gregoretti compone colonne sonore per film dei registi Pupi Avati (tra cui i recenti “Lei mi parla ancora” del 2021 e “Dante” in uscita nel 2022), Carlo Lizzani, Margarethe von Trotta. Ha studiato al conservatorio “Santa Cecilia” di Roma dove è stato allievo di Bruno Cagli per la storia della musica e si è diplomato in composizione con Mauro Bortolotti, ha frequentato i seminari di Luciano Berio e di Ennio Morricone all’Accademia Chigiana di Siena e ha studiato direzione d’orchestra con Piero Bellugi e Franco Ferrara.

1. LA QUATTORDICESIMA DOMENICA (P. Avati; S. Cammariere)
2. SANDRA versione archi (L. Gregoretti)
3. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA versione pianoforte e orchestra (S. Cammariere; L. Gregoretti)
4. COMPOSTO PRIMO (L. Gregoretti)
5. SANDRA versione solo chitarra (L. Gregoretti)
6. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA versione pianoforte 4 (S. Cammariere)
7. BRANO MALINCONICO (L. Gregoretti)
8. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA versione pianoforte 2 (S. Cammariere)
9. COMPOSTO PRIMO versione solo archi (L. Gregoretti)
10. LA DOMENICA MALINCONICA (S. Cammariere; L. Gregoretti)
11. PAD LA QUATTORDICESIMA (S. Cammariere)
12. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA versione pianoforte 3 (S. Cammariere)
13. SANDRA versione calma, archi e chitarra (L. Gregoretti)
14. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA scena finale (S. Cammariere)
15. TEMA LA QUATTORDICESIMA DOMENICA romantico (S. Cammariere).

La colonna sonora di “La quattordicesima edizione del tempo ordinario” è disponibile su Amazon.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario – Foto e poster