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La ragazza del treno: recensione in anteprima

Emily Blunt non riesce a risollevare questa fiacca trasposizione dell’omonimo best seller. La ragazza del treno è sin troppo pulito per affondare a pieno nella perversa complessità della sua storia e dei suoi personaggi

pubblicato 29 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 04:30

Rachel (Emily Blunt) tutte le mattine prende il treno direzione Manhattan. Tutte le mattine osserva fuori, già fiaccata dall’alcol, e non riesce a fare a meno di provare un misto di rabbia, tenerezza e invidia nell’osservare i coniugi Hipwell che si scambiano effusioni in balcone. Lei non li conosce eppure crede di sapere tutto sul loro amore, idealizzato a tal punto da immaginarlo perfetto. Nello stesso quartiere vive l’ex-marito di Rachel, Tom (Justin Theroux), che ha avuto una figlia da un’altra donna e con la quale convive. Le cose si complicano quando Rachel s’accorge che l’uomo abbracciato a Megan Hipwell non è suo marito.

Trasposizione dall’omonimo romanzo di Paula Hawkins, il regista Tate Taylor fatica non poco ad estirpare la radice letteraria di La ragazza del treno. Che la cosa fosse o meno voluta, il film soffre parecchio questo andamento così regolare, rotto solo da cicliche schermate in nero che ci portano di volta in volta indietro di un sei mesi, una settimana, qualche giorno e via discorrendo. Soluzione discretamente anti-filmica, che spezza troppo un ritmo di per sé già piuttosto pacato. Qualcosa riesce a recuperare in termini di atmosfera, lungi però dal compensare l’eccessiva “tranquillità” attraverso cui la storia si dipana.

Rachel soffre di vuoti di memoria, e quando improvvisamente Megan scompare la ragazza del treno si trova nello stesso posto in cui la giovane signora Hipwell è stata vista per l’ultima volta. Forse. Forse perché tutto il film consiste nella ricostruzione anzitutto interiore di quanto avvenuto non solo la sera della scomparsa di Megan, bensì anche in altre occasioni che potrebbero far luce su determinate cose di cui però Rachel non ricorda alcunché. Strano che capire cosa realmente sia accaduto, da un certo punto in avanti, diventa sempre meno interessante, vuoi perché s’intuisce dove la vicenda intenda andare a parare, ma specialmente perché La ragazza del treno zoppica piuttosto vistosamente lungo il percorso mediante il quale ci accompagna alla risoluzione del mistero.

La Blunt è brava come sempre malgrado poco possa fare per risollevare la situazione. Le carte vengono rimescolate in continuazione e questo parrebbe essere un chiaro segno circa il fatto che si fosse di fretta nel raggiungere l’epilogo. Alla base del film di Taylor c’è il chiaro messaggio secondo cui niente è mai come sembra, la qual cosa regge solo in parte davanti all’assenza di personaggi abbastanza rotondi, interessanti. No, purtroppo quasi nessuno di loro lo è, anche laddove sia spinto da moti percepibili. Scritti molto male i personaggi maschili, proprio per questa mancanza di vita che non li anima, oltre a dare adito ad una visione piuttosto limitata dell’universo maschile, che non ne esce affatto bene da questo ritratto – mi si dirà che quello, al massimo, è un problema del romanzo, ma per noi spettatori la fonte non esiste: davanti a noi c’è solo il film e dunque qualcuno che ha deciso di girarlo adeguandosi o meno a del materiale preesistente.

Ad ogni modo, La ragazza del treno risente perciò di questa sua impronta fortemente impregnata di “letterarietà” in un duplice senso, pressoché opposto se vogliamo: troppo ancorato alla letteratura quanto allo svolgimento, mentre invece al film manca proprio ciò che il libro può trasmettere meglio, o che quantomeno può prendersi più tempo per soffermarvisi con maggiore incisività, ossia la psicologia dei personaggi. Senza, la vicenda appare pericolosamente svuotata, non in toto ma in misura comunque rilevante. Non aiuta l’epilogo, che poco di per sé incide sulle difficoltà riscontrate fino a quel momento, ma che per certi versi appone una chiusa smodata anzitutto nei toni.

La ragazza del treno è infatti molto più perfettino di quanto le circostanze imporrebbero; per tutto il film manca quel senso di tormento, depravazione e finanche perfidia che eppure mi sembrano inquadrare piuttosto bene il tenore degli eventi. Rilasciare il tutto solo alle ultime battute significa caricare il finale di un peso sproporzionato rispetto a quanto avrebbe dovuto corrispondere, ossia per lo più la risoluzione del mistero. Da quegli ultimi sussulti, che in realtà assumono più connotati di vere e proprie urla, si vuole invece far passare anche l’anima di questa vicenda, ovvero ciò di cui il film è in larga misura sprovvisto. A tratti, e grazie alla Blunt, qualcosa aleggia, ma neanche il tempo di coglierlo che tutto rientra in quella sorta di inappropriata ordinarietà che contraddistingue il lavoro di Taylor.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

La ragazza del treno (The Girl On the Train, USA, 2016) di Tate Taylor. Con Emily Blunt, Haley Bennett, Rebecca Ferguson, Justin Theroux, Luke Evans, Edgar Ramirez, Laura Prepon, Allison Janney, Darren Goldstein, Lisa Kudrow, Marko Caka, Lana Young, Mauricio Ovalle e Ross Gibby. Nelle nostre sale da giovedì 3 novembre.